venerdì 18 aprile 2025

FAMMI UNA DOMANDA!

UNA COSA SOLA 


"Per i bambini e le bambine moken, il silenzio è un segno di rispetto e un modo per comunicare con gli animali. Il destino degli inuit è legato a doppio filo a quello dell’oceano Artico. Popoli come gli ngāti hau, gli anangu o gli mbuti hanno lottato per decenni affinché i loro luoghi sacri – fiumi, montagne, boschi – venissero rispettati. La vita collettiva di questi popoli si basa sul principio della reciprocità, ovvero sulla solidarietà e sul mutuo aiuto, sulla moderazione e sulla gratitudine per quel che si ha. 

Le comunità indigene si prendono cura della natura perché la percepiscono come un essere vivente in cui vivono e che vive in loro, che è parte di loro stessi: è famiglia, madre, sorella, antenata." 

Questo si legge nella introduzione a questo libro, dal titolo così ricco di significati. 
La parola origine racchiude tanto la complessità del pianeta su cui viviamo e nello stesso tempo allude al fatto che ogni creatura che lo abita parte da un medesimo ingrediente condiviso, la polvere delle stelle. Una sola origine per tanti popoli differenti. 
Se si riflette su questo, accade che contemporaneamente siamo di fronte a tante diversità, eppure, davanti a un punto di inizio che è unico. 
Ah, se i più potesse tenere a mente questo pensiero... forse sarebbe tutto più semplice. 
Ma. 
Nel grande libro Origine, pubblicato per la prima volta da una delle più significative case editrici di lingua spagnola, Libros del Zorro Rojo, il ragionamento e lo studio decennale fatto da Nat Cardozo, magnifica illustratrice che lavora in Uruguay, su questo concetto così importante e complesso ha come esito questa magnifica galleria di ventidue diversi volti di bambini o bambine.


Ognuno di questi diventa ritratto di una appartenenza a un territorio, a una cultura. 
Ventidue popoli, detti originari, ossia che si sa abbiano abitato il luogo in cui vivono ancora oggi, fin dal principio, fin dall'origine appunto. 
Una selezione durissima e dolorosa deve essere stata per Nat Cardozo, visto che, gli studi di antropologia, attestano che a oggi le popolazioni originarie sono più cinquemila. 
Da piccole comunità di poche migliaia di individui, fino a più di un milione, tutti loro sono tenuti insieme non solo dalla comune radice "stellare", ma anche e soprattutto dal senso di rispetto e gratitudine nei confronti della natura che li circonda. E, purtroppo, nell'essere tutti tenuti socialmente ai margini da parte delle società più forti, nell'essere stati oggetto di allontanamento dalla loro terra, di imposizioni di credo religiosi diversi dai loro, di lingue che non sono quella originaria. 
Leggere per credere. 


Il libro, questo prezioso catalogo di facce e paesaggi, nelle sue pagine è così organizzato: in quella di sinistra, un titolo che allude alla popolazione e poco sotto la sua collocazione geografica e qualche dato sul numero di appartenenti alla comunità e la lingua parlata. Poi su due colonne c'è una narrazione che racconta il territorio, l'alimentazione, le abitudini, i rapporti all'interno del gruppo e le relazioni con ciò che li circonda. E ancora più in basso, perfettamente speculare alle quattro righe su geografia, popolazione e lingua, ci sono altre quattro righe in cui si regala al lettore un altra piccola informazione. 
A destra, l'intera pagina è occupata dal volto di bambini e bambine, attraversato ogni volta da un paesaggio differente.
Sfogliandolo si scopre che tra i !Kung vale la regola di non affezionarsi a oggetti o utensili, perché il loro nomadismo attraverso il deserto del Kalahari gli ha insegnato che è meglio "viaggiare leggeri" e si scopre anche che un sopracciglio piò diventare l'ombra di un baobab e le colline in lontananza sono capelli crespi. Si impara che il nomadismo acquatico della ragazzina moken, le fa dire che la barca su cui vive, il kabang, una vera e propria casa galleggiante, se ben curata sarà in grado di portarla dove lei vorrà. Solo in alcuni periodi dell'anno è saggio abbandonarla, ossia quando è più sicuro costruire e abitare piccole capanne sulla terraferma, aspettando che il monsone passi. E i coralli le circondano un orecchio.


Anche il bambino Evenki, nella taiga della Siberia, è nomade perché lui e la sua gente, popolo di pastori, seguono le renne e per le quali cercano i percorsi più sicuri. Dormono in tende e partono che non è ancora l'alba per andare a caccia, non prima di aver chiesto all'anima dell'animale che si vorrebbe catturare di stipulare con il proprio cacciatore un patto di lealtà. Il fiume al disgelo gli attraversa la fronte.
Nel mondo della bambina Cherokee sono sette i punti cardinali per orientarsi e tre i livelli dell'universo. E come darle torto: est ovest nord sud il sopra il sotto e il centro, e poi un mondo superiore, uno inferiore e uno di mezzo, in cui vivere. E due bisonti pascolano sulle sue sopracciglia.
Una meraviglia dietro l'altra, viso dopo viso, luogo dopo luogo. 
Ed è proprio in questo modo di concepire l'immagine che non posso non pensare a tre cose. 
La prima, Tullio Pericoli e ai suoi paesaggi. 


Ma la chiave, geniale, è proprio lì: i volti delle persone sono paesaggi. 
E qui entra la terza grande cosa: noi siamo la nostra storia. 
Io ci credo fermamente, e di questo mi sono convinta leggendo uno dei migliori libri di sempre (ovviamente fuori commercio), Gli ultimi giganti di François Place, pubblicato - sarà un caso? - da L'Ippocampo. 
Tutta la superficie del loro corpo, la loro pelle, era coperta di tatuaggi, che cambiavano nel corso del tempo, raffigurando, di fatto ridisegnando con i loro segni, gli accadimenti vissuti da ciascuno di loro. 
Va da sé che l'uomo troppo curioso che li ha scoperti, ha portato alla loro scomparsa. 
Beh, mi pare che qui il cerchio - quasi - si chiuda. 
Stando a quanto scrive Nat Cardozo, con la supervisione di María José Ferrada, c'è da chiedersi quanto il destino di Inuit, Bribri, Musuo, Ngati Hau e gli altri quasi cinquemila popoli originari sia affine a quello degli ultimi giganti... 

Carla 

"Origine", Nat Cardozo, testi a cura di María José Ferrada L'Ippocampo 2024

mercoledì 16 aprile 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DEL BENE E DEL MALE 


Martyn, narratore e protagonista di questa storia, ha un cognome che già prima di nascere lo condanna a una vita difficile: si chiama Pig, Martyn Pig ...e vorrei vedere voi! 
Ma al cognome si è ormai abituato, come a tutti i conseguenti sfottò: le risate, i grugniti, gli appellativi (porco, maiale, faccia di lardo, mangia letame…). Pure al resto della sua vita si è abituato: a un quartiere squallido, a una città grigia dove si trascinano esistenze deprivate, alla solitudine, ai cieli grigi, a una madre che se n’è andata già da tempo e a un padre alcolizzato molesto e violento. 
Una esistenza data per scontata, come se in alcun modo sarebbe potuta essere diversa, uno sguardo così lucido da rasentare l’ironia. 
Martyn ha (quasi) 14 anni e ci racconta la sua storia a ritroso, quando tutto è già successo, un anno prima, la settimana che precedeva il Natale: da un mercoledì al mercoledì successivo. 
Tutto è già successo, dunque, e questo "tutto" sta per "tanto", anzi "troppo".  Come sempre, Kevin Brooks ci porta sull’orlo di un baratro dove cerchiamo di restare in equilibrio mentre lui ci scazzotta ben bene all’altezza dello stomaco per vedere quanto siamo disposti ad abitare tra le pagine di periferie aride e adolescenze dolenti, dove se vuoi capirci qualcosa, se vuoi sopravvivere, devi rinegoziare a ogni passo, in ogni pagina, cosa è giusto e cosa non lo è. 
Grigio è il colore di questo racconto, neanche il sangue di chi è morto riesce a colorare la storia, solo grigio, lo stesso grigio delle strade, dei volti anonimi dei vicini, dei passanti, dei negozi. Giusto per dare un’idea provo qui a riportare gli aggettivi con cui Martyn, nello spazio di sei pagine, descrive cose e persone mentre fa un giro in città per recarsi al TuttoSottoCosto: spaventoso, collassato, scheletrico, sgradevole, irritante, orribile, insopportabile, appiccicoso, paralizzante, estraneo, sgraziato, discordante, untuoso, folle, freddo, umido, fradicio, sbronzo, strappato, imbrattato, biancastro
E certamente me ne è sfuggito qualcuno. 
In un paesaggio di tal fatta, umano e urbano, interno ed esterno a Martyn, accade quello che non doveva accadere: nella giornata di quel mercoledì di un anno prima, per evitare l’ira del padre strafatto di alcool come sempre e come sempre violento, Martyn cerca di schivare l’aggressione - una spinta per difendersi - la caduta - la testa sulla pietra del camino. Il padre muore già nel primo capitolo e mi permetto qui di raccontarlo perché è nei capitoli, dunque nei sette giorni, successivi che tutta la storia accade. 
E quello che accadrà sarà determinato da due elementi: la passione per i romanzi noir e polizieschi di Raymond Chandler e Arthur Conan Doyle, e l’amicizia con Alex, la giovane vicina di casa che diventerà coprotagonista degli eventi. Ispirato da Philip Marlowe e da Sherlock Holmes e motivato dall’innamoramento per la bella Alex, Martyn costruirà la sua strategia e il tentativo di riscatto da una situazione senza uscita. “Le cose non succedono così e basta, ci sono delle ragioni. E le ragioni hanno le loro ragioni. E le ragioni delle ragioni hanno una ragione. E poi le cose che succedono fanno succedere altre cose, diventano delle ragioni a loro volta. Niente va dritto per la sua strada, non è mai così semplice.” 
Dentro un determinismo schiacciante Martyn cercherà di inserirsi tra gli eventi costruendo un cinico meccanismo di precisione senza mai svelare in anticipo il suo piano a chi legge. 
Un racconto in prima persona che si sposta dal passato al presente e viceversa, fatto dialoghi in presa diretta che si mischiano a ricordi di infanzia; e mentre si legge si è presi da un flusso continuo di racconto e ci pare di assistere alla scena come se accadesse in quel momento sotto i nostri occhi, poi ogni tanto Martyn si rivolge direttamente a noi, allora ci si ricorda che non si è testimoni di qualcosa che accade nel presente ma che è tutto, tanto, troppo, già accaduto. È solo nell’Epilogo che riusciamo a tornare stabilmente in noi, nel presente di lettori e lettrici chiamati in causa dal narratore. 
Una scrittura magistrale. Un giallo, una detective story, un romanzo sociale, un romanzo di formazione dove ogni svolta del racconto è inaspettata e quello che ti aspetti ti prende allo stomaco: tra illusione e disillusione, ingenuità e strategia, Kevin Brooks ti porta fino all’ultima pagina dove tutto si riapre in un giudizio impossibile, dove bene e male, amicizia e tradimento si ridisegnano come non potevi immaginarti. Ogni adolescenza è impegnata a ridiscutere e ridefinire il bene e il male, a contestarne i luoghi comuni per ricostruirne il senso individuale e collettivo. Questa storia apre uno spazio ampio ed estremo capace di accogliere domande e riflessioni fuori da ogni risposta preconfezionata. 
Per lettori e lettrici con stomaci forti e con una quindicina di anni alle spalle. 

Patrizia 

Noterella al margine. La copertina è disegnata Truly Design, un collettivo di artisti torinesi che con una palette ridottissima di colori e con un disegno super geometrico riescono a dare profondità e movimento alla scena. Una pur veloce ricerca in rete mostra la loro capacità di ridisegnare gli spazi creando volumi e profondità illusorie e pur credibili. Il nostro Martyn si è forse imbattuto in uno dei loro murales? 

 “Martyn Pig”, Kevin Brooks, trad. Benedetta Reale, Giralangolo 2025 

 

lunedì 14 aprile 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

SBRENG

La ragazza da odiare, Lee Kkoch-Nim (trad. Sara Bochicchio) 
La Nuova Frontiera 2025 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 14 anni) 

"Ji Ju-yeon? Non so molto di lei, a parte che è una tipa vivace, abbastanza brava nello studio e con un bel faccino. Però tutti dicono che lei e Park Seo-eun fossero molto legate. Erano sempre insieme, si dai tempi delle scuole medie. Non riesco a capacitarmi che sia potuta accadere una cosa del genere tra due amiche del cuore. Comunque, questa intervista verrà trasmessa per davvero? A che ora?" 

La voce che sta raccontando quanto è successo è quella di una studentessa di prima superiore. Lei, come moltissimi altri, non ha visto niente, ma frequenta la scuola dove è avvenuta la morte di Park Seo-eun, una liceale di poco più grande di lei. 
Il suo corpo è stato trovato una mattina nello spazio retrostante la scuola. Qualcuno, affacciandosi a una delle grandi finestre della scuola, guardando in basso ha visto Park Seo-eun riversa a terra, senza vita e ha urlato, dando l'allarme generale. 
Accanto al suo corpo, resti di un mattone in frantumi, con ogni probabilità l'oggetto che l'ha colpita e uccisa. Dopo una breve indagine, viene sospettata dell'omicidio (al suicidio si è pensato solo per un attimo, ma sul suo corpo le tracce del colpo ricevuto non lasciavano dubbi) la sua amica del cuore Ji Ju-yeon. 
La ragazza è stata vista correre via dalla scuola intorno all'ora della morte dell'amica, sul suo cellulare ci sono messaggi che alludono a una litigata tra le due, le sue impronte sui frammenti del mattone... E lei che riesce a ricordare poco e niente di quegli attimi fatali. 
Intorno a questi che sono i fatti, pesa la percezione diffusa che tra le due l'amicizia fosse diventata burrascosa e che forse il loro rapporto fosse molto diverso da quello che l'apparenza mostrava. 
Questa è la storia di una ragazza, studiosa, diligente, ricca e di buona famiglia che viene arrestata perché fortemente sospettata di aver ucciso Park-Seo-eun, la sua amica con cui condivideva tutto dai tempi delle medie... 

Quarta e significativa uscita nella collana Oltre, per La nuova Frontiera. 
Sbreng. 
Centonovanta pagine costruite attraverso il racconto di diversi personaggi che ruotano intorno alla morte di una studentessa, per ragioni diverse. La voce di ciascuno fa vita a sé e la si ritrova nei singoli capitoli, il cui titolo ha la sola funzione di informare il lettore su chi stia parlando. 
Attraverso questa sequenza di voci, la situazione si evolve, si chiarifica, si annebbia, prende una direzione, per poi prenderne un'altra esattamente nel modo in cui ciascuno di noi potrebbe ascoltare i racconti di altri, che di un unico fatto danno la loro personale visione, scambiandola inevitabilmente per l'unica realtà possibile. 
Le voci sono quelle dell'avvocata Kim, che non ha mai perso un processo e che il facoltoso padre della sospettata le ha messo a fianco per essere sicuro in tal modo di uscirne illeso, la sua reputazione e i suoi affari, insieme alla figlia e alla moglie. A seguire quella dell'avvocato d'ufficio, quando la prima decide di punto in bianco di rinunciare al mandato. 
I due genitori dell'imputata. 
Il profiler che la polizia convoca, vista la riluttanza dell'imputata a confessare. E la sua confusione mentale sui momenti cruciali del suo alibi. 
Varie compagne di scuola. 
Il proprietario del negozio dove la vittima lavorava part time per aiutare la madre vedova ad arrivare alla fine del mese. 
La madre della vittima. 
Il fidanzato della vittima. 
Il personale scolastico: dalla coordinatrice al custode e alcuni insegnanti del hagwon. 
E nelle ultime vertiginose pagine, la voce di una testimone, finalmente, e di una testimone oculare. Questa è l'ossatura magnifica del racconto, che ricorda in questo originale modo di raccontare una storia un altro libro epocale, Il bambino Oceano, di Jean-Claude Mourlevat. 
Anche lì un forte non detto, che si svela lentamente come accade qui. 
Lasciato da parte l'aspetto stilistico, rimane altrettanto "magnifica" e "raggelante" la storia che si racconta e le questioni che pone. 
Un microcosmo di adolescenti, nella maggioranza ragazze, che competono per trovare il loro posto nel mondo e una loro dimensione affettiva che le appaghi. Ai blocchi di partenza sono in parecchie, una di loro partirà ma al traguardo non arriverà mai, perché "qualcosa" ha fermato la sua corsa. Uno spaccato di società contemporanea che lascia senza fiato per la lucidità di analisi. 
Scomodo, perturbante, doloroso, mette sul tavolo tante di quelle questioni che è davvero difficile non pensarci per giorni e giorni, una volta chiuso il libro. 
Le insicurezze, le fragilità di uomini e donne e di ragazzi e ragazze, la dipendenza assoluta dal giudizio altrui al quale non siamo progettati per sottrarci. Giudizio che, nella contemporaneità, è talmente a portata di mano che permea ogni più piccolo spazio comunicativo e che, così pervasivo e potente, diventa l'unica percezione della verità in cui credere. 
Ecco, la verità. Talmente forte è l'impatto del mondo che ci circonda, che è davvero semplice e più confortevole affidarsi al pensiero mainstream che elaborare una propria conclusione che ci porti alla verità. Costa meno e si vive meglio, al suo riparo. Ma resta da chiedersi: questo che conseguenze porta nella percezione che abbiamo di noi stessi? Fino a che punto siamo disposti a credere e a difendere quella che consideriamo la nostra singola verità, quando tutto quello che ci circonda sembra volerla negare? E quali strumenti abbiamo che ci rendono capaci di discernere il vero dal falso? 
Insomma, domandine così. 

Carla 

Noterella al margine. C'è un dettaglio che non va ignorato in questa storia tutta coreana, e allo stesso tempo universale. Le ultime righe che l'autrice dedica al lettore, in cui si legge una gentilezza tutta orientale, che sarebbe utile tenere a mente... 
"Ho imparato che uno scrittore ha una certa responsabilità verso i personaggi che popolano i suoi romanzi. Per questo mi sforzo di avvicinarmi a loro in punta di piedi. Tuttavia, per questa storia ho pensato che avrei dovuto iniziare destinando Seo-eun a una morte nefasta. Mi dispiace, e le chiedo scusa."

venerdì 11 aprile 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

PRIMA È, MEGLIO È...

La valle dei Mumin
, Alex Haridi, Cecilia Davidsson, Cecilia Heikkilä 
(trad. Alessandra Scali) 
Iperborea 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Poi Mamma Mumin si mise a raccontare di quando era piccola, dei tempi in cui i Mumin vivevano nelle case degli esseri umani - preferibilmente dietro le loro stufe di maiolica. 
'Magari qualcuno di noi ci vive ancora' disse 'nelle case che hanno mantenuto le stufe di una volta. I termosifoni non fanno proprio al caso nostro'. 'Ma a quei tempi gli umani lo sapevano che c'eravamo anche noi?' chiese Mumin. 
'Sì, alcuni sì.' rispose Mamma Mumin. A volte se erano da soli e sentivano un brivido sulla nuca, allora capivano che eravamo lì con loro.'" 

Ora la vita dei Mumin è molto diversa. 
Per esempio, adesso come adesso, il piccolo Mumin, per mano a Mamma Mumin sta camminando ormai da giorni nella grande foresta in cerca di un luogo adatto dove costruire una casa che li accolga entrambi per il loro letargo invernale. Con i piedi a mollo per la grande inondazione dovuta alla grande pioggia, avanzano a fatica. 


Loro non sopportano il freddo (per questo le stufe di maiolica), ma fortunatamente Mamma Mumin nella sua borsetta ha sempre quattro cose essenziali: zucchero, caffè, polverina contro il mal di pancia e calzini asciutti. Mentre avanzano a fatica, papà Mumin non è con loro perché è partito per uno dei suoi viaggi ed è scomparso da un bel po', non restano soli a lungo: sul cammino incontrano Sniff, che al loro invito, decide con entusiasmo di seguirli. 


Saranno loro tre a incontrare nella palude il Serpente Gigante, e poi Tabacco che, con la sua musica, ammalia il Serpente. Intorno a fuoco, i quattro girovaghi bevono assieme un bel caffè, ma all'invito a unirsi al piccolo gruppo, Tabacco rifiuta: lui è uno spirito troppo libero per farsi coinvolgere nella ricerca di un posto asciutto e di una casa. Magari si ritroveranno più in là. Magari. 
Il loro viaggio prosegue, tra alti e bassi - è proprio il caso di dirlo. Attraversano giardini in cui il latte scorre e lo zucchero filato è al posto della neve e i fili d'erba sono caramelle, vengono poi sbattuti sulle rive di un fiume impetuoso fino al momento in cui trovano tracce importanti di Papà Mumin, nonché un paio di occhiali persi dal vecchio Marabù che per gratitudine... Basta! 

In questo libro succedono molte cose inaspettate. 
La prima e la più eclatante: sopra il titolo La Valle dei Mumin non compare il nome Tove Jansson come autrice, ma tre cognomi differenti. Due autori del testo e una illustratrice. Il suo nome è "solo" il punto di partenza...
La seconda e altrettanto eclatante: un romanzo dei Mumin si è trasformato in un racconto illustrato.
Breve spiegazione di quello che sta capitando in Svezia: sotto l'occhio vigile e attento degli eredi di Tove Jansson (la sua nipote in testa, che firma una sorta di attestato di affetto nei confronti di Tove e della sua opera, auspicando che tutti i bambini che ci sono e che verranno ne possano godere) tre autori si sono metaforicamente messi sulle spalle la grande mole dei suoi romanzi per bambini (in originale: 9 romanzi) e li hanno trasformati in qualcosa di molto simile a un lungo albo illustrato (il testo è ben più lungo), perché appunto possa accedere quello che Sophia Jansson auspica nella letterina iniziale, A te che stai leggendo...: più Mumin ci sono, meglio è. 


Breve spiegazione di quello che sta succedendo nel versante italiano è diretta conseguenza di quello che accade in Svezia: i romanzi di Tove Jansson stanno in casa Salani, ma questi lunghi racconti illustrati per più piccoli hanno trovato la loro 'stufa di maiolica' a casa Iperborea. 
E in perfetta armonia, come piacerebbe ai Mumin, creaturine gentili per eccellenza, accade che Salani pubblichi proprio ora il romanzo finora inedito in Italia, Il piccolo Troll e la grande pioggia, che è anche il primo che Tove Jansson abbia scritto, e che Iperborea pubblichi il racconto di Haridi, Davidsson, e Heikkilä alle matite, che è di fatto il racconto illustrato del romanzo suddetto, e che, per ovvie ragioni è pensato per lettori più piccoli. 
La terza cosa inaspettata e felicissima è averci pensato e, mi verrebbe da dire, aver osato. Da questa terza cosa scaturiscono tutta una serie di considerazioni più generali. 
La più istintiva, in quanto amante dei Mumin, è valutare che più Mumin ci sono in giro, meglio sarà per l'intera comunità dei lettori. E ancora: prima si entra in contatto con il loro magnifico mondo pieno di gentilezza e pace e armonia meglio sarà per la suddetta comunità. In questo senso, quando si svela l'operazione editoriale che c'è a monte viene proprio da pensare che questi 'alboni' illustrati siano propedeutici ai suoi romanzi. Si comincia a frequentare queste creature fin dalla prima infanzia, ci si affeziona, e poi dopo tre o quattro anni che sono stati lì a sedimentare negli immaginari di ciascuno, li si ritrova in un libro di più di centocinquanta pagine, che racconta per filo e per segno quello che qualcuno ci aveva letto ad alta voce, rannicchiati....(cfr la letterina di Sophia Jansson). Va da sé che anche il romanzo può essere letto ad alta voce, e ascoltato rannicchiati, ma questa è un'altra storia. 
Una ulteriore considerazione che viene da fare riguardo a questi racconti illustrati concerne la loro struttura. In questa loro forma abbreviata, così rispettosa del loro genitore, è possibile cogliere ancora più evidente la capacità di Tove Jansson di costruire, attraverso un continuo gioco di tensione e rilassamento, una piacevolezza e uno spessore emotivo davvero magnifico.


Neanche un briciolo delle caratteristiche proprie dei romanzi dei Mumin qui è andato perduto: c'è lo spirito della scoperta, dell'avventura, c'è il piacere di fare comunità, famiglia, famiglia allargata, c'è il rispetto e la fiducia reciproci, c'è la magia dei luoghi, c'è una natura forte, c'è la dolcezza diffusa e l'accoglienza programmatica nei confronti di chiunque, c'è la gentilezza, c'è il gusto per la libertà sopra ogni vincolo e convenzione; c'è l'ignoto del fuori e la pace delle case, c'è la giusta dose di freddo e di calore. 
 Nulla è rimasto indietro, c'è proprio tutto: anche i calzini asciutti. 
Lunga vita ai Mumin! 

 Carla

mercoledì 9 aprile 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

DI NASCITE, MAESTRE E GUFI 


Inizierei a scrivere del nuovo romanzo di Rob Buyea, già autore dell’acclamato Il maestro nuovo (Bur), descrivendo e proponendo un gioco che la nuova maestra di quarta elementare di Carter Avery propone la prima volta che incontra i suoi alunni, alla fine della terza: ognuno di loro deve scrivere tre cose su di sé, ma due devono essere vere e una deve essere falsa. Chiaramente l’ordine delle frasi deve essere casuale, in modo da rendere più difficile per gli altri capire quale sia la falsità. 
Ms. Krane, la maestra, dopo aver ascoltato i propri alunni, legge le sue tre frasi: 
 1. Amo i libri 
 2. Sono incinta 
 3. Non mi piacciano i bambini 
Essendo Ms Krane magra e con due occhi da gufo, Carter si convince che non le piacciano i bambini, come d’altro canto già sospettava. 
Devo dire che questo gioco l’ho trovato molto divertente, e ho cominciato a praticarlo anch’io. Il libro prometteva molto bene, ed ero solo a pagina 20. La maestra di Carter non trascina dietro di sé solo la maldicenza di essere cattiva, ma ha pure una grande voglia sul volto davanti alla quale Carter non frena la lingua, chiedendole subito che cosa le sia successo. Ms Krane spiega di essere nata così, con quel ‘nevo vinoso’ stampato sul viso, e si spinge un po’ più in là, spiegando ai bambini che questa cicatrice viola che si è ritrovata alla nascita, le ha reso la vita difficile. 
Carter capisce subito cosa intende la maestra, perché anche lui da quando è piccolo piccolo non riesce a stare fermo e per concentrarsi deve impiegare molte energie, motivo per cui tutte le insegnanti del passato lo hanno rilegato per ore e ore nel corridoio, fuori dall’aula, incapaci di gestirlo. 
Questa è la prima caratteristica che accomuna i due personaggi cardine del libro, Carter e Ms. Krane, entrambi si sono ritrovati a gestire una parte di sé che in qualche modo infastidisce gli altri. 
La seconda è la solitudine. La maestra è in realtà stata cacciata dalla scuola per aver deciso di avere un figlio senza un padre – sì, ok, adesso sapete che la falsità su di lei era che non le piacessero i bambini – e così si ritrova in una scuola nuova, in una nuova città, senza nessun amico né parente. 
Carter vive con la sorella maggiore e la nonna da quando i genitori sono morti in un incidente. Lui non è precisamente solo, perché il suo mondo fuori dalla scuola è colmo di adulti amorevoli, dall’autista del bus, al fattore dove con la nonna va a comprare le uova. Carter è però solo a scuola, dove la sua iperattività e la fatica che fa a contenere le parole e le frasi che pensa, lo isolano sempre più, soprattutto dai suoi compagni. 
Ms. Krane capisce subito Carter, entra in sintonia riuscendo a contenerlo e allo stesso tempo dandogli la parola, senza bloccarlo, ma indirizzando la sua sprizzante energia: gli permette di sedersi vicino alle finestre, per guardare fuori e per stare vicino alla teca della raganella Mimo, gli dà una sedia girevole, gli offre uno strumento tecnologico per scrivere dettando. 
Carter riconosce in Ms. Krane un’alleata e per la prima volta è contento di andare a scuola. La maestra legge albi illustrati e romanzi, usa parole nuove su cui Carter e Mr. Wilson, l’autista, si arrovellano. Tutto procede a gonfie vele fino al giorno in cui arriva il supplente dell’amata maestra. 
Rob Buyea torna a raccontare, come pochi sanno fare, le dinamiche di classe e in particolar modo entra nella testa di un novenne che deve gestire non poche difficoltà relazionali. Carter è una pallina instancabile che corre tra un adulto e l’altro a tessere relazioni perché è lì nel mondo adulto che lui, finalmente, si sente bene. E quello che davvero fa di rivoluzionario Ms. Krane, è agevolare in Carter la relazione coi suoi compagni, in particolar modo con Missy, sua saputella nemica, perché per quanto il mondo adulto possa proteggerti, poi un giorno te la dovrai vedere da solo coi tuoi pari. 
Il libro, adatto a lettori dai 9 anni, ha molti piani di lettura accattivanti, dal piano lessicale – Ms. Krane ha in grembo un bambino avuto in modo ‘artificiale’, ma se artificiale vuol dire fatto dall’uomo, allora tutti nasciamo in modo artificiale, pensa Carter – a quello narrativo con tutti gli agganci che i libri letti in classe dalla maestra permettono di fare. 
E’ anche un libro proprio sul concetto di nascita e crescita. Ms. Krane sta per mettere al mondo un bambino, e perché non prendere spunto da questo evento reale e un po’ misterioso per studiarlo? E così arrivano a scuola delle uova fecondate e delle incubatrici e guarda caso nella fattoria dove la classe va in gita, una mucca mette al mondo un vitellino. Dalla nascita come evento forte, sanguinoso, alla nascita come cura delicata e amorevole – voi lo sapevate che le galline girano le uova da covare tre volte al giorno per scaldarle in modo uniforme? 
Sarà che io ho anche il debole per le galline, ma tutta questa riflessione sulla nascita, sull’origine e sulla crescita, dona al libro uno sguardo ampio che va al di là della relazione tra Carter e Ms. Krane. 
Buyea ama molto la scuola, e ama moltissimo gli insegnanti, categoria di cui ha fatto orgogliosamente parte prima di dedicarsi in modo esclusivo alla scrittura. Questo amore per l’insegnamento e per gli alunni trasuda da ogni riga, ed è un’altra meraviglia da assaporare. 

Valentina

 "Io e la mia maestra Gufo", Rob Buyea, trad. Beatrice Masini, Rizzoli, 2025

lunedì 7 aprile 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ESPRESSIVO COME UN SASSO

Tre sassi, Olivier Tallec (trad. Tommaso Gurrieri) 
Edizioni Clichy 2025


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Lassù in cima vivono tre sassi. 
Sono sempre stati lì, in cima alla montagna. 
Ogni mattina il vento gli fa venire i brividi, ammirano le cime delle montagne, contano le pecore nella valle e guardano spuntare le piante aromatiche. 
Lì possono vivere una bella vita da sassi. 
E tutti giorni aspettano il passaggio delle grandi taccole." 

Le grandi taccole sono brave a prevedere il tempo che cambia. Quando le vedi, puoi star certo che dopo poco inizierà a piovere. E anche quel giorno va così: passa la taccola e arriva il temporale. 
Questa volta è un temporale molto violento che con un fulmine squarcia la grande roccia dove i tre sassi vivono da sempre. E li fa precipitare. 
La loro corsa si ferma in un nido, quello della taccola. 
Il panorama non è molto diverso, a parte che lì protetti, i tre sassi non hanno più i brividi del vento. 


Ma quando la taccola si accorge della loro presenza, li sbatte fuori e loro precipitano ancora più in basso. Tra il muschio e l'erba non si sta poi male, anche se non si sente più il vento, né si vedono crescere le erbe aromatiche. Ma si possono contare le pecore e guardare le cime delle montagne. Ma dal basso. 
Nel momento in cui i tre sassi possono dirsi ormai felicemente inseriti nel loro nuovo scenario, arriva una talpa, che di nuovo, con il suo scavare alla cieca, li fa precipitare ancora più in basso, in una radura e da lì la lepre fa il resto perché li piazza nelle acque di un torrente. Ed è lì che incontrano la lingua di un cane molto assetato che li spinge verso il precipizio e da lì... 

Una delle caratteristiche dei disegni di Olivier Tallec è l'espressività. 
Lo sguardo di Lupo e Lupetto, o quello di Scoiattolo, o ancora le sue pecore, il suo bambino che incrocia lo sguardo del cane. Ma hanno occhi anche i suoi alberi.
È un efficace modo di trasmettere senso senza dover tirare fuori neanche una parola. 
I neonati lo sanno bene perché anche per loro interpretare lo sguardo è misura necessaria di sopravvivenza. Come andare in bici, una volta che lo sai fare è per sempre: leggere le espressioni di un volto è cosa che si impara da subito ed è bene non dimenticarla, anzi è meglio tenerne sempre conto. Può servire. 
Ma qui i protagonisti assoluti della storia sono tre sassi, quanto di meno espressivo ci sia al mondo. Eppure. 
Tallec accetta la sfida e correda i tre di espressione. Due occhioni tondi su ciascuno. 


Occhi che spiccano nelle magnifiche tavole piene di sfumature di verdi e di blu, sia che siano rocce sfaccettate di alte montagne, o picchi isolati come Meteore, sia che siano foreste o prati, sia che siano acque correnti. Dal blu al verde, passando per il verde petrolio.
E come se non fosse sufficiente, a quegli stessi tre sassi gli dà anche carattere e, in qualche modo, solletica il lettore a immaginare il  tipo di ruolo che ognuno parrebbe avere e quindi sulle loro relazioni reciproche.


Le uniche cose che l'immagine ci dice è che sono di dimensione e colore diversi. 
In compenso sappiamo che in cima allo sperone di roccia dove vivono da sempre, sono felici. Perché da lì possono vedere (!), possono percepire il vento, visto che hanno dei brividi. La loro superficie è sensibile quanto la nostra pelle, vista l'espressione che assume il sasso maggiore nei confronti dell'insetto che gli cammina sopra, noncurante. 
Sanno anche contare e sanno leggere i segni della natura: taccola=temporale in arrivo. Tutto ciò che è stato detto finora è materia necessaria perché la storia dei tre sassi diventi quella che è, ossia si trasformi in un racconto in grado di far sorridere, ma di dire anche molto altro. 
Su cosa sia questo molto altro, forse si può tacere, mentre sulle modalità che usa per arrivare a una conclusione degna di questo nome, val la pena di spendere due parole. 


È noto a tutti, che le fiabe in cui la ripetizione di una situazione è di fatto la spina dorsale della stessa, dai Tre porcellini in su, sono quelle più adatte al pubblico dei più piccoli. Per loro è di grande soddisfazione apprendere una reiterazione di un gesto, di una situazione, e si sentono immediatamente ingaggiati a partecipare. Si tratta di un sistema infallibile per la comprensione, la memorizzazione e per la comicità intrinseca. 
Insomma, ripetere funziona sempre, basta cambiare piccoli dettagli. 
Tallec tutto questo lo sa molto bene e se ne serve per dire con assoluta leggerezza quel molto altro. 
I sassi, infatti, precipitano dallo sperone, poi dal nido, poi dal muschio, poi dalla radura, poi nel torrente... 
E ogni volta, il testo diventa un ritornello. 
Un ritornello che fa ridere, che suona e che dice, per l'appunto, anche molto altro.
Sarò muta come un sasso. 

Carla

venerdì 4 aprile 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

"FARE IL PRESENTE PIÙ CHE PERFETTO"

Non si dice sayonara, Antonio Carmona (trad. Mirta Cimmino) 
Emonsraga 2025 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 10 anni) 

"Un evento inaspettato veniva a scombussolare la nostra monotona quotidianità: qualcuno ci telefonava. Papà ha espirato a lungo, poi ha sollevato con forza il telefono. 
Ha impostato una voce sicura per esclamare:
'Pronto?' 
Poi si è fatto piccolo piccolo. 
Un demone o un'arpia gli stava urlando contro. 
Non capivo, ma sentivo una voce che sbraitava con tutta la sua forza all'altro capo del filo. Mio padre ha resistito alla pioggia di rimproveri, e ha assentito con dei piccoli suoni gutturali. 
Quando ha riagganciato, la sua mano è rimasta appoggiata sul telefono. Era frastornato." 

Dopodomani sarebbe arrivata dal Giappone, Sonoka, un'anziana vedova che, per combinazione è la madre della sua moglie morta nonché nonna della sua figlia lì presente. Ed è molto, ma molto arrabbiata. Da quattro anni, ossia dalla morte improvvisa di sua moglie, lui non è stato capace di chiamarla nemmeno una volta e, men che meno, di andarla a trovare in Giappone con la nipotina. 
Il dolore per la morte improvvisa e prematura della sua amatissima pianista giapponese, madre della sua piccola Elise, l'ha reso un pezzo di pietra. Ha smesso di vivere pur continuando a farlo. In casa ho posto delle regole ferree, divieti insormontabili: nominare la mamma, parlare giapponese, leggere manga e guardare anime ed entrare nella stanza del pianoforte. Poi ha smesso di annaffiare il ciliegio portato dal Giappone per essere piantato in quel giardinetto francese da sua moglie, ha buttato tutti i suoi spartiti, tutta la musica, tutte le foto. Così vive, inebetito dal dolore, e per la sua bambina che lo guarda sempre nella paura che anche lui si rompa del tutto fa lo stretto necessario: principalmente cucina torte di cipolle, che forse possono diventare la giustificazione di qualche lacrima che sfugge a tanto rigore. Poche parole e vaghe, lo sguardo spesso assente. Così è dunque l'accordatore di pianoforti che aveva fatto innamorare la giovane pianista giapponese a tal punto da seguirlo fino in Francia e con lui mettere su famiglia. 
Ma poi il dopodomani dell'arrivo della nonna da Giappone diventa oggi. 
E lei, dopo averlo preso ad ombrellate sulla porta di casa, entra nella vita di genero e nipote e, una a una infrange tutte le regole... 
Questa è la storia di bambina brava a fare i puzzle, di un uomo triste e apparentemente inconsolabile, di una signora anziana che è ancora capace di guardare avanti e soprattutto decisa a purificare quella casa così piena di mestizia e silenzio. E tra loro tre splende Stella, bambina decisamente sopra le righe, ma magnifica nell'essere la migliore amica di Elise. 

Il nocciolo della questione intorno a cui ruota questo bel romanzo d'esordio di Antonio Carmona (già pluripremiato in Francia in procinto di diventare soggetto per un film) sono le diverse modalità che hanno le persone per superare la perdita di una persona cara. 
Questione universale su cui sono stati versati fiumi di inchiostro. Ma quello che succede qui sembra prendere una strada imprevedibile, nel suo essere terribilmente concreta. E anche allegra!
In altre parole, a me pare che l'abilità di Carmona sia quella di far accadere (o non accadere) le cose e quindi fermarsi sempre un passo prima di ogni riflessione teorica o peggio di ogni giudizio morale o soluzione d'accatto.
Sembra dirci: ora ti faccio vedere come, di fronte a un lutto, si reagisce in due angoli molto lontani del mondo, poi sarai tu lettore, eventualmente, a elaborare una teoria in merito. Ammesso che tu lo reputi necessario. 
Il suo bello è che c'è un gran silenzio di giudizio, mentre sono i sentimenti, ma soprattutto i fatti e le azioni a farsi avanti. 
E allora se da lettrice mi si chiede di elaborare un pensiero sulla questione, la prima cosa che mi pare interessante è per l'appunto il differente approccio del francesissimo padre di Elise rispetto a quello della giapponesissima nonna Sonoka. 
Si assiste a uno scontro tra culture, tra Occidente e Oriente, che è davvero interessante e degno di ulteriore riflessione. 
A tal proposito, tutto l'immaginario che la piccola Stella, con la sua passione per il mondo dei cartoni giapponesi, porta con sé è un buon terreno per i lettori più giovani a cui effettivamente il libro è diretto. Io, come assoluta ignorante di manga e anime, mi sono astenuta dall'andargli dietro per non perdere il bandolo della matassa. 
Comunque, manga a parte, percepisco chiaro lo scontro, o incontro che sia, tra due modi di stare al mondo. Due culture agli antipodi convivono sotto lo stesso tetto per le due settimane di permanenza della nonna in Francia. 
Le cose stanno così: il padre di Elise non riesce a vedere altro che l'assenza. 
Ed è tutto rabbia, rancore, silenzio, dolore solitario, distacco, lontananza e rimozione.
La nonna, invece, è tutta tesa a cercare di percepire in ogni angolo la presenza della sua giovane figlia: tra le mura di casa, nell'aria, negli oggetti, nel ricordo. 
In mezzo a questa collisione culturale c'è lei, l'io narrante della storia: Elise.
Una ragazzina che finora ha vissuto l'assenza della madre sostanzialmente solo attraverso lo sguardo del padre; almeno fino al momento in cui, il loro menage doloroso ma consueto, non si inceppa con l'arrivo della vecchia Sonoka. 
A quel punto l'aria per la bambina davvero si purifica un bel po' (incensi a parte). 
Si riappropria di uno spicchio significativo di libertà e affettività che, ovvio, fa bene a tutti, padre compreso. 
Forte di questa riconquistata autonomia di sentimenti e di sguardo sulle cose, lungi dal soccombere, anzi con la voglia di scavalcarle, diventa sempre più urgente per Elise la domanda chiave. 
Per lei è come l'aria, sapere. 
E quando tutto è detto, allora davvero si può ricominciare. 

Carla

mercoledì 2 aprile 2025

ECCEZION FATTA!

…il piede che si informicola è sempre tuo… 


Le tre ragazze che cambiano -  Franca, Carmela e Tommasina - sono tre sorelle. Un giorno la maggiore, Franca, registra la perturbante sensazione che qualcosa in lei sia cambiato. A nulla pare servire l’approfondita analisi comparativa fatta con le sorelle. Ciò che Franca sente non assomiglia affatto all’approssimarsi del crepuscolo la domenica sera e di certo non ha nulla a che fare con l’essere scoperti a dire una bugia, e nemmeno assomiglia a quando il piede ti si informicola e non riesci più poggiarlo a terra… 


Per dare un nome alla specialissima sensazione, Franca propone alle sorelle di andare a cercare una Regina meravigliosa che, stando a un sogno fatto qualche notte precedente, starebbe nella grotta al centro del bosco, oltre la recinzione del giardino. Di nascosto da tutti, Franca si trova alla testa di questa inebriante avventura seguita a ruota dalle due sorelline.


La Regina della Grotta è il primo albo di cui Júlia Sardà, prolifica illustratrice di cui abbiamo conosciuto il tratto in La famiglia Lista, è autrice integrale. Si tratta di con una storia di formazione tutta al femminile, un viaggio iniziatico che prende il via in quel momento dell’infanzia in cui tutte le certezze della propria quotidianità vengono scompaginate e appare un’insoddisfazione inebriante che impone di essere esplorata. 


La crescita e lo sconvolgimento del mutare sono spesso raccontate assecondando una istintiva tensione verso l’alto e il fuori, forse pensando al seme che dalla terra spinge alla luce, o allo sguardo bambino, che da altezza pavimento si alza, ampliando il proprio raggio di azione fino a portarsi sempre più lontano. Ne La Regina della Grotta, Sardà decide di procedere in direzione un po’ diversa: non solo le tre sorelle - come in ogni fiaba che si rispetti - si addentrano nel bosco, non solo si destreggiano un intrico sempre più fitto di alberi, fronde e tronchi, da cui occhieggiano misteriose creature. Il viaggio di Tommasina, Carmela e Franca continua dove apparentemente non è più possibile andare: le bambine diventano minuscole e tutto ciò che popola i piani più bassi diventa enorme. 



Sardà espande a piena pagina tutto ciò che popola il sottobosco: ingigantisce le texture dei bruchi e delle ali degli insetti, mostra nel dettaglio le pelli butterate dei rospi, toglie dall’ombra bisce e insetti notturni, lumache, pesci gatto, pipistrelli e monetine, funghi, ragnatele e radici, evocando le tenebre del sottoterra, le streghe, i demoni e le orchesse impegnate in un pic-nic a base di pesce crudo e zampe di gallina. Guidate dalla determinazione di Franca, le tre sorelle partecipano alla frenetica attività delle formiche, accompagnano il funerale di un topo, e via discendendo, in un tripudio di presenze oniriche e inquietanti pericoli, fino ad arrivare alla famigerata grotta, un antro buio più buio della loro stessa cantina da cui fuoriesce uno strano fetore. 


Qui, Franca incontra la Regina. Si tratta di un doppio, sporco, spettinato e selvaggio con cui darsi a frenetici giochi di riconoscimento e danze, talmente strette che la Franca di superficie e la Franca del sottoterra sembrano riunirsi per tornare a essere una sola. E se è vero come è vero che ci troviamo nell’ambito del racconto di formazione non è possibile ignorare che abbandonare l’infanzia per una bambina coincide non solo con il cambiamento di interessi, ma anche con una impattante maturazione del corpo: la comparsa del seno, il primo ciclo, il sangue, l’odore non più neutro. Sardà, che è autrice non conformista e coraggiosa, trova nelle illustrazioni il modo di evocare questo aspetto della ricerca: la presenza umida e soffocante della foresta, il fiorire rutilante e spugnoso dei fiori, l’allusione alla marcescenza che ha luogo negli strati più profondi del suolo, l’abbondare del colore rosso. Il secondo aspetto interessante dell’albo è proprio questo, il saper raccontare un viaggio iniziatico femminile senza ignorarne nessun aspetto, riallacciandosi alla capacità della favola tradizionale di non esplicitare ma anche di non escludere mai la totalità del processo. 


Il terzo aspetto interessante di La Regina della Grotta è come la storia del mutamento venga declinata per ognuna delle sorelle, nel rispetto della peculiarità della loro età. Non è infatti un caso se Franca ha il capo libero mentre Carmela e Tommasina indossano copricapi e cappucci. Non è un caso se le due bambine più piccole sentono che quello che Franca ha trovato non è affare per loro e che non siano interessate a ulteriori liberissimi giochi a cui Franca e la Regina della Grotta le esortano con entusiasmo. Al cospetto dell’altra Franca la triade si incrina. E se Carmela, la sorella di mezzo, sente riverberare embrionalmente alcune delle istanze di Franca, Tommasina, ancora pienamente bambina, è semplicemente spaventata, ha freddo e fame ed è stanca. Alla fine sono i sensi più basilari ad avere la meglio. 


Tommasina e Carmela tornano a casa da sole, e trovano il cibo buonissimo, il bagno deliziosamente caldo. Il letto dove sprofondano, poi, è più soffice che mai. Ma se Tommasina, stremata dall’avventura, dorme profondamente, Carmela è inquieta, consapevole di aver lasciato la sorella ad avventure a lei sconosciute. Attende che Franca rincasi. E quando questo accade le tre si ritrovano riunite sotto le stesse lenzuola: Tommasina perfettamente inconsapevole, Carmela in trepidante ascolto, Franca sporca e scompigliata con addosso ancora l’odore sconosciuto delle nuove esperienze fatte in solitaria. Chiuse in un unico cerchio, tre distinte fasi di ogni cambiamento. 
 

Se all’inizio dell’avventura assistiamo a un moltiplicarsi di particolari e al proliferare di inquadrature capaci di ingrandire ogni dettaglio, il ritorno alla normalità è scandito dalla scelta di forme geometriche basilari che permettono all’ebrezza della giornata di placarsi e alle nuove scoperte di essere messe a dimora. “Mi sembra di non sentire più quella strana sensazione” afferma Franca stringendo le mani a Carmela. E vi è una nuova consapevolezza che si infila sotto le lenzuola, il sospetto che il cambiamento sia davvero una sorta di fame, che davvero disorienti come fanno i capelli elettrici che non si staccano dalle guance, che davvero sia simile a quando si è scoperti a dire una bugia. Che mutare sia proprio come il crepuscolo la domenica sera, o ancora più precisamente, come aveva ipotizzato Tommasina per non sentirsi esclusa: come quando ti si informicola il piede e non sembra più tuo. Ma poi lo poggi a terra, e scopri che tuo non ha mai smesso di esserlo. 


Giorgia

 “La Regina della Grotta”, Júlia Sardà, (trad. Giulia Rizzo), L’Ippocampo 2023

lunedì 31 marzo 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL DISEGNANTE D(E)I BREMA  

Voglio andare senza rotelle!, Tobias Giacomazzi 
Kalandraka 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Voglio andare in bicicletta senza rotelle! dice Ettore sbuffando. 
- Come fa il signor Renato, che è in grado di mantenere l'equilibrio anche con il giornale sotto il braccio. 
Voglio andare senza rotelle! 
- O come la signora Adelaide che carica di spesa non cade. 
Voglio andare senza rotelle!"

Ettore è un ranocchio. Un ranocchio con un bel caratterino, pantaloncini, maglietta e sandali tedeschi. E un ridicolo caschetto che tiene in equilibrio sulla testa. A cavallo della sua biciclettina rossa con rotelle, smania perché vede i grandi che, per una ragione o per l'altra, in bicicletta ci vanno con stile e sicurezza. 


E tutti senza rotelle: chi ci va a far la spesa, chi la usa per lavoro, chi per sport, chi pedala sul filo sotto il tendone di un circo. 
Tanto insiste e tanto frigna, che alla fine qualcuno toglie finalmente le rotelle alla sua biciclettina. Ma come tutti quelli che vanno in bici sanno, senza rotelle e senza sostegno non è proprio facilissimo andare senza cadere. E come sempre accade, dopo due pedalate, finisce zampe all'aria. Il tono della sua voce non è più lo stesso. Ora spiagnucolante e pieno di vergogna, chiede - per favore - l'aiuto di qualcuno. Di qualcuno o di tutti? 

Tobias Giacomazzi, al suo primo albo, è lì che si divide tra due passioni. 
Da una parte l'illustrazione (si è diplomato all'Accademia di Macerata, se non ho capito male con Maurizio Quarello) e dall'altra la musica (è padre fondatore della band indie-folk-rock I Brema di cui è voce e chitarra acustica). 
Questo "Brema" che appare nel suo lato musicale, a ben vedere, sembrerebbe riverberare anche nella storia di Ettore che sul concetto che è l'unione che fa la forza ha un po' il suo nocciolo di senso. 
Il libro è tra i finalisti del premio Compostela e Kalandraka lo pubblica. 
Come nella fiaba dei Grimm, anche qui ci sono quattro cose che, se prese singolarmente, poco possono contare, ma che se invece diventano parte di un progetto unitario, così come accade al vecchio gallo, al cane e al gatto e all'asino dei Musicanti, fanno crescere il valore e il risultato del progetto. 
La prima sta nel segno, la seconda sta nel colore, la terza sta nei dettagli la quarta sta nell'uso dello spazio immaginato e in quello che realmente che un albo concede. 


Il segno. La mano sinistra di Giacomazzi mi pare sappia ben disegnare. 
Ovviamente possono piacere più o meno nelle loro forme un po' caricaturali, un po' esagerati, tuttavia i personaggi sembrano convincenti, compreso il canarino in gabbia. 
Ognuno di loro prende il corpo di un animale, secondo una logica di buon senso - il postino è un piccione, il funambolo è un fenicottero, il ciclista un asciutto grillo. E la formosa massaia? - e di ciascuno la corporatura diventa elemento importante. Così come importante è il fatto che ciascuno di loro vesta panni presi dagli armadi delle persone. 
E qui entra in gioco il terzo elemento: i dettagli. 


Davanti a tutti, il primissimo piano della zampa di Ettore al momento della sua prima pedalata senza rotelle: con quei sandalini tedeschi o imitazione degli stessi, ma a minor costo. Ma a parte questo, Giacomazzi si diverte a mettere su ogni singola tavola piccoli personaggi che tra loro mettono in piedi scenette: il gatto con la coda nella trappola per topi, il topo sulla corda del funambolo sono tutti dettagli comici a uso e consumo di chi guarda con gusto le figure, ossia i bambini.
Lo spazio. Partiamo da quello reale che un libro offre. Il bordo della pagina e il giro della stessa: due limiti, ma anche due opportunità per chi illustra di mettersi alla prova. Tobias Giacomazzi cavalca la tigre e quindi, sul suo colpo di teatro finale decide di sfruttare al meglio il breve silenzio e il piccolo blackout visivo che si verifica puntuale a ogni giro di pagina. 


Per quanto riguarda lo spazio immaginato, parrebbe che Giacomazzi, oltre a saper ben disegnare, sia capace anche di costruire belle prospettive, scorci sempre un po' arditi, e architetture di un certo garbo, con finestre e portoni architravati e strombati. 
Ed è proprio in questa cura per il dettaglio architettonico, per i volumi squadrati, per la ricerca di movimento dei piani che azzarderei l'ipotesi che tra i suoi maestri ci sia stata anche Claudia Palmarucci che, sottilmente sottilmente, mi pare trasparire anche nella tecnica e nelle scelte cromatiche: le ombreggiature e i mezzi toni caldi dell'edilizia storica. Quella vera. 
Ma forse ho preso solo una cantonata. O forse no.

Carla