venerdì 21 marzo 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL CAVALLO VINCENTE

Cosa fanno le bambine?
Nikolaus Heidelbach (trad. Valentina Vignoli) 
#Logosedizioni 2025 


ILLUSTRATI 

"Dietlinde vuol fare carriera. 
Elfriede legge ad alta voce. 
Flora dorme profondamente. 
Gerhild scatta foto delle vacanze a casa. 
Heike fa conoscenza con un ippopotamo. 
Irmgard non vuole essere disturbata." 

Dietlinde, quella che vuole fare carriera, è davanti allo specchio sull'anta di un armadio. Ha un paralume (o è uno scaldateiera?) in testa una coperta lunga che tiene sulle spalle come se fosse un mantello, sull'avambraccio tiene un canovaccio. Indossa una gonnellina scozzese come scozzesi sono anche i suoi calzettoni. Ha gli occhi socchiusi e con la mano destra impartisce una benedizione. 
Elfriede, quella che legge ad alta voce, è seduta a un angolo di un tappeto. Tiene sulle ginocchia un libro aperto e lo sta leggendo a pupazzi (un coccodrillo marionetta, un pinocchio, un orsetto, un bambolotto e a due creaturine fantastiche). All'angolo opposto della camera, girata inn modo da darle le spalle, con un walkman sulle orecchie, c'è un'altra bambolina che ascolta qualcos'altro. 

© Nikolaus Heidelbach

Flora, quella che dorme profondamente, è nel suo lettino verde nella sua camera verde, dove un enorme pesce verde fluttua nell'aria guardandola intensamente, con la bocca accostata al suo piccolo naso. 
Gerhild è accanto al fratellino. Lei indossa il costume da bagno e vistosi orecchini ed entrambi hanno la ciambella salvagente, ma il fratellino ha quella con il collo di cigno ed è senza costume. Entrambi in testa hanno un bracciolo salvagente bello gonfio. Dietro di loro un poster di sfondo con spiaggia e mare. La presa elettrica all'estremità della parete lo testimonia. 
Heike, quella dell'ippopotamo, è su una curva di una strada asfaltata, immediatamente dietro la linea che segna la corsia d'emergenza ed è piegata a quattro zampe e ha gli occhi chiusi. Al centro della strada, quasi di spalle, l'ippopotamo. 
Irmgard, quella che vuol stare in pace, siede composta su una poltrona, troppo grande per lei. Tiene in mano un libro, nell'atto di leggerlo, illuminata da una piantana a due faretti. Sul pavimento bruno, quasi indistinguibili, centinaia di topi brulicano avanti e indietro, tutti a testa bassa, alcuni a coda alta. 

Era il 2010, precisamente il 23 ottobre, quando a Roma, a via Savoia, nelle sale del Goethe Institut al primo piano di dove oggi sorge la Biblioteca Europea, fu allestita una mostra dedicata alle tavole di Nikolaus Heidelbach per presentare l'uscita di questo stesso libro. che all'epoca era stato appena pubblicato da Donzelli. 
Io c'ero e c'era anche Nikolaus Heidelbach. Abbiamo fatto un po' di chiacchiere assieme, in particolare su una tavola del libro, la prima, Antraut mangia un panino. Senza entrare qui nel dettaglio, forse val la pena di ricordare che discutemmo di come in quel disegno lui fosse riuscito a riassumere in un unico gesto colto nell'attimo in cui avviene, uno dei più atavici e per questo congeniti vizi dell'umanità: l'invidia. 
Chi sa come io la pensi sulla letteratura illustrata sa anche che Heidelbach è l'autore che meglio di chiunque altro abbia saputo dare forma a detta idea. O forse sarebbe più corretto dire che il modo di raccontare l'infanzia da parte di Heidelbach mi corrisponde del tutto: sono le mie fondamenta. 
Nessun altro autore riesce a muovermi corde tanto profonde e sostanziali. 
E per essere ancora più circostanziati: i due libri, tra loro speculari, Cosa fanno le bambine? e Cosa fanno i bambini? sono, a mio avviso il non plus ultra di come un albo illustrato di poco più di 26 pagine (quante sono le lettere dell'alfabeto tedesco) possa essere enorme e senza fondo. 
Le ragioni le metto in elenco dopo. 
Prima credo sia importante vedere la storia editoriale di questo libro. 
Viene pubblicato in Germania dal suo editore storico, Beltz & Gelberg nel 1993. 
Trentadue anni fa. 
Nel 1995 vince il Bologna Ragazzi Award. 

 Kinderparadies 1994

Heidelbach in quegli anni ronza intorno all'idea di un suo modo di raccontare l'infanzia. Su questa falsa riga pubblica Kinderparadies (1994) e ancora nel 1999 la versione al maschile di Cosa fanno le bambine?: Was machen die Jungen? Poi ancora una decina di anni fa torna sulla questione e di entrambi ne dà una versione, diciamo così, aggiornata (Was machen die Mädchen, heute?, 2014; Was machen die Jungen, heute?, 2014).  
Nel frattempo fa altri magnifici libri. 
Quando Donzelli fa approdare questo strepitoso catalogo di ragazzine è appunto il 2010. Nonostante siano passati quasi 17 anni dalla sua prima pubblicazione in terra tedesca, il pubblico italiano pagante, ossia gli adulti che dovrebbero comprarlo, se ne tengono a debita distanza.
I pochi e fortunati bambini a cui il libro arriva davanti sono, ovviamente, felicissimi di provare a ogni giro di pagina una piccola scossa, un piccolo brivido gelato lungo la schiena. Ridacchiano soddisfatti, perché qualcuno finalmente dice la vera verità su di loro. Sono contenti di essere considerati dall'autore del libro creature pensanti e senzienti. Sono contenti di essere messi alla prova ogni volta nel creare quel nesso che esiste tra la scarsa riga di testo a sinistra e la tavola grande a destra. Sono incuriositi dai dettagli che creano senso, si sentono a casa nel vedere che anche altri bambini e bambine possano pensare come loro "incantevoli cattiverie" senza per questo essere immediatamente rieducati, magari con un altro libro edificante.

© Nikolaus Heidelbach

Ma, si sa, i libri devono convincere prima di tutto i grandi e loro con quelle bambine che mettono trappole, si sposano in gran segreto, fanno roteare per aria i fratellini o li usano come buche per il loro minigolf, e soprattutto sono in grado di volare, no, non possono accettarli, non possono farci pace, non possono riderne o ragionarci. E poi quegli occhi sempre un po' socchiusi, sornioni, nascondo di certo un imbroglio. 
Così il libro langue, per anni. 
Poi arriva #Logosedizioni che decide di mettersi a testa bassa e andare avanti come un ariete. 
Sfondare il pregiudizio, aprire una breccia nelle teste dei benpensanti. incrinare le consuetudini, minare le convenzioni e tentare di svelare con autori come questo il magnifico orizzonte. 
Scommette su Heidelbach come si potrebbe fare su un cavallo vincente. 
I suoi libri finalmente si vedono in giro: Da grande sarò una foca, e poi Marina, ora il suo catalogo del mondo delle bambine, in una veste grafica possibilmente ancora più sobria, e tra poco più di un mese ancora altri due titoli. 
Nel frattempo si spera che in questi trentadue anni il pubblico pagante italiano abbia raggiunto una consapevolezza maggiore rispetto a ciò che si può trovare negli albi illustrati. Si spera che in questi trentadue anni abbia raggiunto una maturità di giudizio e una capacità di discernere tra la qualità e la mediocrità, tale da non dover più titubare. Al contrario, precipitarsi (e non per finta) a comprarne una copia. 

© Nikolaus Heidelbach

Si spera. 

Carla 

[continua]

mercoledì 19 marzo 2025

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

MUMBLE MUMBLE 


Ecco che Beisler ci presenta la prima infanzia di Rico, un bambino di cui abbiamo letto pensieri, amicizie e avventure nei tre titoli pubblicati tra il 2012 e il 2014 e qui () puntualmente recensiti con l’ammirazione che sempre Andreas Steinhöfel si merita. 
Piccolo è Rico e piccoli sono i lettori e le lettrici a cui è destinato questo breve racconto super illustrato e stampato in maiuscolo ad alta leggibilità. Ma andiamo con ordine e facciamo conoscenza con il nostro simpaticissimo protagonista. 
“Rico pensa in modo diverso dagli altri bambini. Più lentamente, ad esempio. E intorno agli angoli.” Ecco come


Dunque Rico rischia di perdersi ad ogni svolta del pensiero come a ogni angolo della città di Berlino in cui vive con una mamma attenta, e allegra quanto lui. Ma se fino ad ora non ha potuto frequentare l’asilo a causa dei frequenti trasferimenti della suddetta mamma ora arriva il momento di iscriversi alla scuola primaria: si dovrà dunque passare dalla psicologa (o qualcosa del genere) e poi assicurarsi che a scuola ci possa arrivare da solo, e senza perdersi. Questo il filo su cui si svolge la storia narrata in sei brevi capitoletti nei quali potremo scoprire, per esempio, che un triangolo può nascondersi più o meno dappertutto e che se ad un triangolo togli prima un angolo, poi un altro, diventa in punto. Ed ecco spiegato il triangolo. O anche, come abbiamo visto nella pagina riprodotta in alto, come è possibile descrivere una rana. 
Bella bella questa infanzia raccontata con lingua semplice e ritmo veloce che coinvolge chi legge con ironia e affetto. Belle anche le illustrazioni di Lena Winkel che si intrecciano al testo e con il testo camminano.


Così testo e immagini ci accompagnano nei percorsi di Rico, in quelli urbani come in quelli mentali raccontandoci che il triangolo, come la rana, come il mondo, lo si spiega passo dopo passo, con deduzione e immaginazione, mai l’una senza l’altra. 


Quanti problemi, Arvo! Anche Arvo, protagonista della storia di Anti Saar pubblicata da Sinnos, è alle prese con una marea di cose da spiegarsi, di domande sul mondo e su come farlo funzionare, e anche Arvo lavora di deduzione e di immaginazione per arrivare a trovare la quadra. Risultato: Arvo si trova ogni volta con un sacco di pensieri nella testa fatti di constatazioni, ipotesi, desideri, tentativi, successi e fallimenti, e relativi stati d’animo da gestire dignitosamente. 
Cinque episodi della vita quotidiana di un bambino di otto anni alle prese con un’amichetta che sa saltare molto meglio di lui e per giunta lo canzona, con una fila alla cassa del supermercato da gestire da solo perché il papà è dovuto tornare indietro a prendere il lievito, con il desiderio irrefrenabile di accaparrarsi legittimamente un secondo pezzo di torta, con la necessità di rientrare a casa avendo mancato la giusta fermata dell’autobus e infine con i tentativi per arrivare a prendere (sarà rubare?) una succosissima prugna appesa al ramo di un albero che non è suo. 


Anche qui l’impaginazione tiene ben legato il testo alle immagini con il risultato di rendere la lettura facile e divertente. Ecco due storie che raccontano come l’infanzia (ma non solo) sia costantemente impegnata in un pensiero investigativo che potremmo dire filosofico nello sforzo di tenere insieme desideri, obiettivi, regole, azioni e reazioni. E che il percorso necessario per spiegarsi il mondo potrà girare intorno ad angoli, piroettare intorno a cerchi o avvilupparsi in spirali senza fine, potrà andare dritto lungo una linea retta, andare lento, a singhiozzo o veloce come una saetta ma tutti/e siamo impegnati/e a mettere insieme pezzi di mondo e a tenerli in piedi come meglio possiamo. 

Patrizia 

Noterella al margine 1. Mi si conceda una piccola divagazione autobiografica che la lettura di questi racconti ha illuminato dal mio passato di bambina: potevo avere tra i sei e i sette anni, ogni domenica si partiva da Bari, dove vivevamo, per arrivare a Barletta, paese d’origine della famiglia. Io avevo appena imparato a leggere e dall’abitacolo dell’auto che mi trasportava riuscivo a leggere le insegne su cui posavo lo sguardo, quella dei bar era forse la più facile da cogliere al volo e dopo tante ricorrenze (c’erano i bar a BAR-i e c’erano i bar a BAR-letta) mi spiegai la cosa dicendomi che si dovevano chiamare così per via dell’assonanza con i nomi delle città! Dunque se a Bari e a Barletta quei posti si chiamavano BAR, chissà a Genova o a Lecce come si chiamavano! 
Ero certo sulla strada sbagliata ma il mio pensiero lavorava di deduzione e immaginazione. 
 Noterella al margine 2. Quanta invidia questi genitori nord europei così complici e comprensivi! 

“Rico e il mistero dell’angolo triangolo”, Andreas Steinhöfel, Lena Winkel (trad. Chiara Belliti), Beisler editore 2024 
“Quanti problemi, Arvo!”, Anti Saar, Anna Ring, (trad. Daniele Monticelli), 
Sinnos 2024 


lunedì 17 marzo 2025

ECCEZION FATTA!

CRESCERE


Questo è proprio il caso di dirlo: una grande eccezione alla regola che vige, ossia un libro, una recensione. 
A distanza di sette anni dalla sua prima uscita e dalla recensione, in occasione del suo trentacinquesimo compleanno (in Svezia è stato pubblicato nel 1990), il Barbagianni pubblica in una nuova edizione questo magnifico libro, complice anche la festa del papà imminente. 
Le cose che lo differenziano dalla sua prima uscita sono queste: la traduzione, il titolo, il formato, la carta, il font e una breve introduzione dell'autrice. 
Tutti questi cambiamenti,  a mio parere,  sono sintomo di una maturazione, una crescita, da parte dell'editore. 
Alla sua prima edizione la casa editrice era agli inizi e pubblicava libri tra loro poco in sintonia: alcuni di questi interessanti e singolari, altri meno. 
Con il tempo si è cominciato a distinguere un profilo editoriale più definito e più coerente. 
Per esempio, accanto alla pubblicazione della serie di Hilo, di Nate, di Ramona, sono arrivati vari e bei romanzi di Beverly Cleary, gli albi illustrati da Daniela Pareschi. Così facendo, nel lettore si è creata una bella affezione e in qualche modo una piacevole sensazione di sentirsi a casa in una casa editrice. Che non è mai un male. 
Ma accanto a questi, in catalogo compaiono anche libri che "viaggiano da soli": penso a Piangete bambini, con le poesie di Alberto Masala e le tavole di Daniela Pareschi o, appunto, Else-Marie e i suoi sette papà
All'epoca, Pija Lindenbaum era qualcosa che spiccava per singolarità in quel catalogo ancora un po' incerto. Ma se avevi un po' di occhio non potevi non notare quanto questa autrice svedese avesse da dire. 
Già notata nel 2007 con le illustrazioni per Mirabell, di Astrid Lindgren e uscito con Motta Junior, in cui si raccontava di una bambola piuttosto orgogliosa e consapevole, nata come un cespo di insalata, nel giardino di una bimbetta, in seguito la Lindenbaum era uscita quasi del tutto dai radar. 
Ma con il libro di Else-Marie riappare e si riconferma la sua vena un po' folle che ha fatto del tutto è possibile un vero e proprio credo. 
Lei stessa ha sempre voluto ribadire che dietro quei sette papà non c'è nessuna interpretazione da cercare, se non quella che le sembrava molto buffo che una bambina potesse avere un tot di papà in miniatura al posto del consueto papà unico, ma formato standard. E a conferma di ciò spiega, nella nuova introduzione,  che il numero sette è dipeso solo dal fatto che su quella poltrona disegnata il numero giusto di papà seduti a leggere il giornale era sette: non uno di meno non uno di più. 
Per una volta almeno tutti rimettano dentro la cabala e accettino di buon grado il fatto che l'arte di narrare non ha confini stabiliti. 
Evviva, autori e autrici che così la pensano. Partono da una follia e intorno ci costruiscono il resto...


Cominciamo dalla traduzione. 
La cosa che succede quando a tradurre è Samanta K. Milton Knowles è la seguente: tutto si illumina e vibra un po' di più. Le va dato merito di saper trovare sempre il tono giusto da dare al pensiero e quindi alle parole dei bambini e bambine dei libri che traduce: un normale pezzo di torta, nelle sue mani diventa quello che è, ossia una treccia danese con la crema gialla. Secondo questa logica i nomi delle persone, i toponimi delle strade e dei luoghi, i titoli dei libri e dei fumetti letti in bagno diventano qualcosa di molto preciso e circostanziato e nulla va perso del nitore originario, sacrificato in nome di una lingua più universale, ma di certo meno efficace. 
Rimane da chiedersi perché se si fa una scelta del genere, coraggiosa e molto condivisibile, si senta poi l'esigenza di mettere nelle mani di una bambina svedese che mangia aringhe fritte una copia in italiano del Piccolo Principe e sul suo letto penda un diploma, ad evidenza, conseguito da noi. 
Passiamo al titolo: i papà non sono più sette, o meglio lo sono ancora ma non viene esplicitato già nel titolo. Questo significa ben due cose: una già detta, il numero dei papà (come pure il loro nome di battesimo) ha importanza relativa, e la seconda attesta che in un libro illustrato il testo, e ancora di più il suo titolo, non dovrebbe mai essere eccessivamente informativo, esplicativo e, possibilmente, rassicurante. Infatti nel titolo originale il numero dei papà non è per nulla citato. 
Riguardo al formato c'è poco da dire: è lievemente più piccolo rispetto alla prima edizione e a guardarlo ricorda di più l'edizione originale in svedese. 
Sulla scelta della carta invece è stato fatto un passo notevole: è stata abbandonata la carta lucida in favore di una patinata opaca che al tatto e alla resa finale del colore è molto più adatta. 
Sul font è stata fatta una scelta diversa. I pacchetti di testo sono tanti e hanno un grande impatto visivo. Non siamo di fronte a una quantità di testo tipica di un albo illustrato. Qui Pija Lindenbaum si è presa tutto il tempo necessario per raccontare la sua storia, quindi la scelta di utilizzare un font più elegante oltre che ad alta leggibilità e con un corpo lievemente più piccolo e quindi proporzionato al formato è stata proprio una bella idea!
Si cresce e si diventa grandi.

Carla

Pija Lindenbaum, "Else-Marie e i suoi Piccoli Papà" (trad. Samanta K. Milton Knowles), Il Barbagianni 2025

venerdì 14 marzo 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

VERO

Mal di nebbia
, Nicoletta Gramantieri 
Emonsraga 2025 


NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"Ho raccontato dell'altra guerra, dell'omicidio, degli annegati, della vita triste del paese. Di come i ragazzi stessero ancora su in montagna, di come, dopo la morte della nonna, mi fossi ritrovata ad avere due case, quella del babbo e della mamma e quella della Madrina. Di come io e Celso fossimo diventati amici e di come mi avesse raccontato di quella nebbia che nascondeva il paese, della Bocca dell'Orco, del fiume, della strega e delle morti dei bambini. Di come trovassi consolazione in Vero e nella Iolanda. E anche di tutta la rabbia che mi aveva portato a disubbidire alla mamma..." 

L'Albertina sa come si costruiscono le storie. Vero, l'amico di suo fratello Vittorio che dalla montagna non è più sceso, glielo ha spiegato. 
Prima bisogna raccontare il prima, poi bisogna raccontare un po' dei personaggi e poi si può partire con l'adesso. E adesso è adesso. 
Lei, dodici anni, è appena scappata dalla fredda e misera casa dove vive con le sue sorelle più piccole, la sua sorella maggiore, la Marcella, che arriva solo alla sera perché è a servizio, e con il suo fratellino piccolo, Cecchino, e la sua mamma e il suo papà. Sono poveri, ma molto poveri: poco da mangiare e poca legna per scaldarsi, tanto che la notte ci si deve vestire col cappotto per prendere sonno. L'Albertina, ancora lattante, era stata portata dalla nonna che l'ha allevata con amore e latte di capra. E l'Albertina con lei è cresciuta felice, ma adesso la nonna è morta e lei ha dovuto lasciare la casa sulla collina e tornare in paese da mamma e papà. 
Solo di rado può andare dalla sua madrina, che invece la copre di premure e di cose buone da mangiare. Quando anche quella mattina sua mamma è uscita di casa per andare a mettere in croce due soldi, e le ha affidato le sorelle e il piccolo Cecchino, i mestieri da fare e gli scapini da lavorare a maglia, lei non ce l'ha fatta più: ha buttato in terra lana e ferri, ha infilato la porta e di è diretta verso il campanile dove ha intenzione di nascondersi, per lasciar passare la notte per poi fuggire indisturbata e non vista, al sorgere del sole, prima che il borgo si svegli. 
Vuole andare in città dove forse troverà un lavoro presso una qualsiasi signora ricca che la accoglierà come una figlia e la riempirà di affetto e attenzioni. 
Questo è il principio della storia dell'Albertina, che un giorno perderà la voce: un racconto che dura il tempo di una Quaresima molto piovosa e dove, complice la nebbia, ciò che accade non è affatto come sembra. 

Come un vestito che ti dimentichi di avere e lasci appeso per anni in un armadio, pare, credo, mi sembra di aver letto che questa storia abbia stazionato a lungo nel silenzio, al buio. Forse in un cassetto o forse in una cartella di un computer. E pare anche che, una volta riemersa, così come sarebbe capitato al vestito appeso e dimenticato, abbia avuto diversi interventi di adattamento per il suo debutto. 
Una volta presa la sua forma attuale, accorciato un po' lì, allargato là in alto, la storia ha cominciato a viaggiare ed è andata - credo, forse, mi pare di ricordare leggendo qui e lì - da Davide Morosinotto che, complice tutta quella nebbia e pioggia e quel paesino sul fiume, complice quell'intrigo bello sodo che si dipana solo alla fine, quella lingua così scorrevole e felice, la apprezza.
Da lì a farla diventare libro, mi pare ci sia metta Book on a Tree e poi Emons.
E questo è il prima, credo, forse, mi pare. 
Ma come ci insegna Vero ora dunque è il caso di dire due cose sui personaggi. Quelli del romanzo ma anche quelli fuori: prima fra tutte l'autrice. 
Di professione bibliotecaria, ma anche scrittrice come seconda o terza professione, di sicuro esperta di letteratura e simpatica compagna di passeggiate cagliaritane, città che frequenta da anni perché spirito-guida con Bruno Tognolini del festival Tuttestorie. 
Del suo spessore tutti quelli che la conoscono ne hanno netta la percezione, quindi forse ha più senso parlare dei personaggi che lei si è inventata per Mal di nebbia
Perché sono proprio loro a dare forza ed energia a questa storia. 
A renderla vera.
Ben inteso non rappresentano l'unico pregio del libro, ma di certo uno di quelli che più mi hanno colpito. A ben vedere sono i legami, le relazioni che li tengono insieme che irrobustiscono una storia che ha l'intento di spaziare tra un po' di generi differenti. È un po' un romanzo in cui la Storia è importante e parla di sé, è un po' anche fiaba nel meraviglioso che alimenta le leggende e le credenze che attraversano quel paese e l'immaginario dei suoi abitanti, è un po' anche giallo per il grande mistero che lo attraversa e, infine, sembra avere anche un po' il passo di un romanzo di fine Ottocento-primi Novecento, con quel mondo contadino fatto di tanta fatica e pochi affetti. 
Ribadire il fatto che per scrivere buone storie bisogna averne lette tante, mi pare quasi ridondante, visto chi l'ha scritta. Ma credo che questo sia un caso di specie. 
Lo stesso si potrebbe dire per la robustezza dell'impianto. 
Anche in questo caso, la cosa che colpisce è la consapevolezza - peraltro esplicitata in una sorta di meta racconto - di quali siano le norme del ben raccontare. 
Nicoletta Gramantieri affida a Vero, uno dei miei personaggi preferiti, il ragionamento teorico sulle regole della buona scrittura. E l'Albertina che di lui si fida, lo segue e poi, se non proprio distratti, lo imparano anche i lettori e verificano che il "come" si scrive è già una buona metà del valore di un libro. 
Dunque, la galleria dei personaggi, da Minghinì il matto del paese, cui quasi nessuno crede, che ha una sua lingua incomprensibile, la Fosca che attraversa silenziosa e scura il paese avvolto nell'umidità e che ha un odore addosso che vien su sulla pagina, le ricamatrici intorno alla Iolanda, tra le poche sorridenti e per questo invise da chi ne invidia l'allegria in tempi cupi. E Giusto, il macellaio, sorta di aruspice fuori tempo massimo. E poi Cecchino, fantolino febbricitante, e la Marcella in cerca di amore e Vittorio in cerca di riscatto... Bene, tutti loro costituiscono il contesto allargato intorno a cui si intrecciano invece i rapporti umani stretti stretti tra l'Albertina, la sua nonna, la sua mamma, la sua Madrina, e poi Celso e poi Vero. 
Tutti loro son lì un po' autentici e un po' no, ma con il preciso intento di porgere una mano gentile al lettore per farlo entrare nella storia e poi accompagnarlo affettuosamente attraverso tutti i passaggi anche quelli più impervi. Dove i rumori, gli odori, il tempo è tutto piuttosto vero.
E per questo, un' unica accortezza, prima di entrarci: un cappello di panno, un pastrano e scarponi impermeabili, perché lì dentro piove sempre. O quasi. 

Carla

mercoledì 12 marzo 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

COSA PENSA UN FRATELLO 


C’è una questione sul bullismo che viene raccontata poco, ed è: come vivono gli amici, i genitori, i fratelli delle vittime. 
Cosa pensano? Come agiscono? Cosa dicono? Cosa sentono? Cosa vedono? 
Ecco, è quello che ho pensato leggendo L’unica via d’uscita di Oskar Kroon, autore svedese per ragazzi. 
La storia è narrata da Kaj, fratello minore di Krister, un ragazzino occhialuto, solitario e studioso. Krister è continuamente preso di mira da Sacke e dalla sua squadretta di amici. Kaj e Kristen condividono la scuola, la passione per Star Wars, la mancanza della mamma. 
Il libro è costruito con un classico climax ascendente in cui l’arroganza e la cattiveria di Sacke spingono la narrazione tanto quanto l’impotenza di Kaj e della sua amica Naima di fronte all’inazione di Kristen. Sacke si spingerà tanto avanti da arrivare a un punto di non ritorno, costringendo tutti ad agire in modo scomposto, come avviene quando ci si trova non più sotto un sasso che rotola, ma sotto una valanga. 
Diversi sono gli aspetti interessanti introdotti da Kroon.
Il primo è l’ambientazione: non è certo la Svezia di un immaginario stereotipato quella qui descritta, anzi, i luoghi sono ostili, disturbanti. D’altro canto fin dall’incipit del libro, Kroon ci toglie ogni dubbio: 
“Era tutto così triste. Con il fango e il freddo e tutte le cose che non servivano. Tutti gli oggetti che venivano buttati in un mucchio nella discarica, oppure venivano schiacciati in un container blu.” 
La discarica infatti è uno dei luoghi protagonisti, che fa da riparo a Krister: luogo di scarto e di creazione, luogo di periferia e da cui partire. 
La neve sporca, il fango della primavera che a stento avanza, la discarica, tutto ciò unito a quell’epiteto “topo di fogna”, che in modo alternato andrà di bocca in bocca, che passerà dal carnefice alla vittima, come fossimo davanti a un loop linguistico che non può essere risolto, proprio a testimoniare come guerra chiama guerra. 
Ed è qui l’altro punto interessante che Kroon descrive in modo molto realistico, ossia l’idea di vendetta. Piano piano nella mente di Kaj e Naima, angosciati dall’inazione del fratello, nasce l’idea di vendicarsi. Le vendette muovono azioni strane, spesso scomposte, è un attimo passare dalla parte della ragione a quella del torto: di questo fanno esperienza Kaj e Naima e il paradosso è che di nuovo è Krister a farne le spese. 
Kaj racconta della tristezza nel vedere il fratello sottomesso, suo fratello maggiore, allo stesso tempo cova rabbia e rancore, ma non ha gli strumenti per aiutarlo, è piccolo: Krister continua stoicamente a sottrarsi allo scontro diretto e Kaj non capisce. A un certo punto tutti stanno male e stanno tutti male in modo diverso, anche il padre coi suoi vani tentativi di venire a capo del comportamento dei figli. 
E’ proprio in questi passaggi che il libro scende in profondità e tocca il lettore. Perché Krister parla poco in tutto il romanzo, è tutto un racconto di Kaj che, portato all’esasperazione, si chiede perché il fratello sia così tanto strano. 
Perché è goffo? Perché non ha amici? Eppure loro due, i fratelli Kaj e Krister, venuti su a Moomin (il libro è pieno di riferimenti al mondo e ai libri della Jansson), sanno che ognuno ha diritto a essere ciò che è, e che non c’è bisogno di spiegarle certe cose. 
In questo lungo racconto di Kaj, ogni tanto si sente il bisogno della voce del fratello bullizzato. E questa mancanza, voluta e sottolineata dall’autore, è proprio ciò che manca ai suoi cari, la voce di Krister non c’è, lui continua a vivere subendo, e come Kaj, anche noi perdiamo la testa chiedendoci continuamente perché. 
Un evento catastrofico accade, una catarsi si potrebbe dire, dopo la quale il fumo che si era alzato, comincia a calare su tutti gli eroi tragici di questo atto, portandoci a una fine illuminante. 
La natura arriva, arriva sempre ed è salvifica. Ci sono questi fiorellini, che si chiamano anemoni dei boschi, che a un certo punto fioriscono, anche se c’è ancora neve sporca anche se il tuo mondo è bruciato un po’. 
E’ un libro sul bullismo, sì. Ma è soprattutto un libro sulla ricostruzione, sul richiamo della natura che timida appare, sull’amore tra fratelli. 
Un libro per chi ha 11 anni o anche di più. 
Kaj e Kristen la sera leggono I fratelli Cuordileone, della Astrid Lindgren, che per me è il suo capolavoro. Racconta la storia di due fratelli che si salvano in tutti i mondi che oltrepassano. Che è esattamente quello che hanno fatto Kaj e Kristen. 

Valentina 

"L’unica via d’uscita", Oskar Kroon, trad. Samanta K. Milton Knowles, Terre di Mezzo, 2024

lunedì 10 marzo 2025

OLTRE IL CONFINE (libri dall'estero)

IL TUO KLASSEN! 

[seconda e ultima parte] 
La cura, il rispetto sono una sorta di terreno fertile dove Klassen fa crescere i suoi semi preferiti. 
Si allude al suo irrefrenabile bisogno di dare sempre e comunque una scossa finale, possibilmente anche un po' inquietante, a un andamento tutto sommato regolare e rassicurante. E ancora una volta gli occhi dicono tanto.


Uno potrebbe illudersi che in libri così l'inquietudine, il piccolo mistero non trovi casa, e invece (effettivamente è costato un lungo confronto con l'editore che alla fine ha ceduto)... Qui in effetti non muore nessuno, ma ci sono personaggi che partono (ma poi ritornano) e altri che arrivano quando fa scuro e poi e stazionano. 
Attenzione però, che lui mai dimentica che questi tre libri sono destinati a un pubblico di piccoli piccoli, ragione per cui va a toccare corde sensibili. 
E come lo fa? Costruendo per loro scenari, dove piccole storie accadono, dove gli occhi parlano (i lattanti sono i primi a dover imparare quel linguaggio), dove le figure sono forme, dove tutto quello che accade accade nell'arco di un giorno (altro leitmotiv di Klassen) e soprattutto dove tutto appartiene in modo incontrovertibile al lettore stesso. 


Questo è per dire del grande salto in avanti - anche emotivo, ma soprattutto di visione - che fa Klassen rispetto a quanto visto finora per i toddlers. 
Lui che, fin dal principio della sua carriera, ha sempre cercato la semplicità (al confine della monotonia che fracassava con il crimine finale) ora sembra essere arrivato a un punto interessante. In questi tre libri manca del tutto il gusto per il problema del personaggio e anche il personaggio, inteso come quello che guida la storia, di fatto non c'è. 
Ci sono, al suo posto, una serie di entrate in scena, peraltro rigorosamente mute, da parte di figure che convivono in armonia proprio perché il luogo che vanno a costruire sia il più accogliente possibile. E finisce così: lo scopo dei tre è quello di creare piano piano posti per poi regalarli ai propri lettori. È qui è il salto cui alludevo. 
Che bella cosa. Di nuovo. 
Your places, non a caso, è il titolo di una mostra che è durata una settimana di febbraio con le illustrazioni di questi tre libri e Jon Klassen, per un intero giorno a firmare le copie che una interminabile fila di adulti che glieli sottoponeva... 
La costruzione a livello visuale di questo scenario è di nuovo un elemento pieno di interesse. Sembra davvero che ci siano mani trasparenti che vanno a disporre in un preciso quanto voluto ordine spaziale (tridimensionale, nonostante il piano del foglio) i singoli personaggi. E poi li mettano in connessione. Complici anche gli occhi di ciascuno di loro. 
Funziona così: le "cose" entrano in scena nella pagina di destra - sole escluso - accanto al testo, mentre nella pagina di sinistra la "cosa" precedente ha preso posizione senza più perderla. Accade quindi che nelle pagine di sinistra lo scenario si va componendo e arricchendo di "cosa" dopo "cosa", il cui ingombro era stato previsto fin dall'inizio. Viene spontaneo ricordare, per quelli che almeno una volta lo hanno fatto, di quando con i bambini piccoli gli montavamo davanti fattorie o stazioni di treni, piccoli mercati, camere da letto per bambolotti... Per poi dare loro, nella disposizione scelta, una informazione successiva, un senso più generale a cui riferirsi per cominciare il gioco vero e proprio. 
E se così davvero è, mi parrebbe plausibile pensare che questi libri contengano qualcosa che sta in mezzo tra il gioco puro e la narrazione. 


Che cosa bella. Di nuovo. 
Adesso occorre tornare alla questione degli occhi e degli sguardi. 
Gli occhi e gli sguardi che pagina dopo pagina cambiano sono di nuovo un attestato di stima nei confronti dei lettori, ma anche un modo per suggerirgli, come se ce ne fosse bisogno, che ogni personaggio, anche vegetale o minerale, ha un suo preciso sentire e un suo autonomo moto di reazione a ciò che capita. Uno su tutti lo sguardo delle "cose" già presenti, all'arrivo del falò sull'isola. Be' a quel che so sono i bambini le creature più animiste che conosco. Per loro quegli occhi e quegli sguardi sono solo una conferma, mentre per gli adulti co-lettori rappresentano il non plus ultra della goduria. Come è accaduto dal primo libro di Klassen in poi. 
Ancora e ancora una cosa bella. 
I libri che già così possono definirsi grandiosi e in qualche modo unici e rivoluzionari nei confronti del canone dei cartonati per bambini piccoli piccoli hanno un'ulteriore lucentezza nei diversi piccoli doni che Klassen lascia appoggiati qui e lì per i suoi lettori. E non mi sto riferendo all'uso ripetuto degli aggettivi possessivi che attestano che cosa sia e di chi sia. 
Sono regaletti più nascosti... 


Il primo dei quali sta nella qualità del mondo che sta offrendo ai suoi lettori: nella fattoria il cavallo ha il fieno, nella foresta c'è l'acqua e il ponte per attraversarlo, nella foresta c'è anche un fantasma gentile e di parola, e una capanna per ripararsi, nell'isola c'è una tenda da campeggio, un fuoco magico che non si spegne mai e una barchetta per navigare, nella fattoria c'è un fienile dove tanto l'ottimo camion quanto il cavallo satollo potranno trascorrere felici la notte. 
E noi con loro! 
Buona notte, buona notte.

Carla 

Noterella al margine. Due spigolature sul fenomeno editoriale. I tre libri vengono annunciati per il 4 febbraio: si possono prenotare. Poi spariscono dal mirino: l'attesa, preannunciano, potrebbe durare anche mesi, visto il successo immediato i libri sono andati a ruba. Non si stenta a crederlo, visto cosa sono...

Tu isla, Jon Klassen, Oceano Travesia 2025
Dein Wald, Jon Klassen, Nord-Süd Verlag 2025
Your Farm, Jon Klassen, Candlewick Press 2025

venerdì 7 marzo 2025

OLTRE IL CONFINE! (libri dall'estero)

IL TUO KLASSEN! 


Tu islaDein Wald,Your Farm: che in italiano sono rispettivamente La tua foresta, La tua isola, La tua fattoria. 
Questi 3 piccoli libri sono usciti i primi di febbraio e, come piume nel vento, si sono sparsi nel mondo. La prova ne è che li puoi trovare in inglese, in tedesco, in olandese, in spagnolo e, ovviamente, anche in italiano. I bambini francofoni credo siano rimasti fuori dal giro. Almeno per il momento. 
In Italia li ha pubblicati Zoolibri, in una collana intitolata I cartoncini. 
Questo perché sono cartonati di piccolo formato e sono concepiti per le primissime letture, nello specifico: le primissime letture prima di addormentarsi. 
Anche se con lievissime differenze di rilegatura, la misura oscilla intorno ai 18 cm di lunghezza e i 13 di altezza e lo spessore di 1,5 cm. Sono concepiti per mani piccole. Le mani piccole devono anche essere pulite perché la copertina, come le pagine interne ha il fondo bianco. 
Partiamo dalle copertine.


Disposti in modo armonico, fluttuanti nel bianco, sono presenti QUASI tutti gli elementi che poi si ritroveranno all'interno. Quel 'quasi' credo dipenda dal fatto che in tal modo il piccolo lettore dopo una prima lettura li possa riconoscere e con questo si rassicuri, ma nello stesso tempo non metterli tutti ha lo scopo di rinnovare ogni volta la scoperta, durante la nuova lettura. 
Nella copertina di Tu isla fanno bella mostra di sé la palma, uno dei due cespugli, il fuoco (un piccolo falò da campo) e la tenda da campeggio e il sole. Quest'ultimo è in tutte le copertine e segna con regolarità l'inizio delle tre piccole storie. Mentre il tramonto e poi la notte segna tutte le chiusure (tranne una che ha un brividino finale). 


Ciascuna di queste "cose" è stilizzata nel profilo. Circostanza questa che costituisce la prima cifra distintiva del disegno di Klassen. La ragione per cui, a partire dal suo ormai mitico orso killer, fino ad arrivare a questa ultima capanna, lui riassuma le sue figure il più geometricamente possibile, sta nel suo desiderio di riprodurre un oggetto o un soggetto rendendolo immediatamente riconoscibile. 
E' una forma di esagerazione; un po' la stessa che in teatro gli attori devono applicare alla loro gestualità per rendersi visibili e leggibili anche a una certa distanza. 
Il secondo elemento distintivo per Klassen è in quegli occhi che, dalla copertina, guardano dritto verso il lettore. E all'interno del libro muovono stati d'animo ed emozioni e creano divertenti dialoghi espressivi tra le singole "cose" che diventano così personaggi. Ma su questo occorre tornare. 
Adesso invece entriamo nei libri. 
Lo schema si presenta pressoché invariato, anche se le impercettibili differenze sono piene di significato. Cade lo schema consueto nei cartonati per i toddler, in cui testo e immagini si spartiscono lo spazio. 
Qui il testo è sempre nella pagina di destra. Mentre i soggetti raffigurati si muovono liberi, si fa per dire, nella doppia pagina. Il testo è sempre breve e ha la funzione di presentare l'entrata in scena delle singole "cose": Tu isla per esempio esordisce così: Éste es tu sol. Sale sólo para ti


L'impercettibile differenza visiva in questo incipit, identico nel testo, tra Tu islaDein Wald (Da ist deine Sonne. Sie geht gerade auf für dich) sta nel fatto incontrovertibile che il sole di un'isola sorge dal mare, e quindi necessita di qualche ondina che definisca il contesto e lo differenzi degli altri due: fattoria e foresta, appunto. 


Dalla pagina due in poi comincia il gioco reciproco di sguardi: il sole guarda i ben quattro abeti che invece guardano il lettore in Dein Wald, mentre sull'isola c'è giustamente una palma e in Your Farm un alberello rotondo che ti guarda. 


Tutti questi alberi, dando retta al testo, possono stare sotto il sole. Se si prende in considerazione l'accenno di acqua - le poche ondine - e il fatto che nella pagina degli abeti, gli alberi siano quattro invece che essere solitari, come palma e alberello rotondo, sembra evidente un fatto: il grande rispetto nei confronti del proprio lettore. La sua intelligenza, la sua curiosità di fronte alle piccole variazioni sul tema sono tenute in grande considerazione. 


Nulla, ma proprio nulla è lasciato al caso, al contrario tutto si riempie di senso e il lettore piccolo piccolo noterà e farà domande al lettore grande che probabilmente si stupirà di tanta cura e dovrà rispondere in modo circostanziato, così come fanno le immagini. 


Che bella cosa. Ma non è certo l'unica. 
[continua]

Carla

Tu isla, Jon Klassen, Oceano Travesia 2025
Dein Wald, Jon Klassen, Nord-Süd Verlag 2025
Your Farm, Jon Klassen, Candlewick Press 2025


mercoledì 5 marzo 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UN LUOGO IMPOSSIBILE DA APPIATTIRE 

Essere messi all’angolo. Stare in un angolo. L’angolo del castigo. Un angolo buio. Un angolo cieco. Un carattere angoloso. Una curva ad angolo. 

Molte sono le espressioni che utilizzano questo specifico luogo geometrico e spaziale per rappresentare situazioni scomode, parziali, punitive o ristrette. 
E in effetti, talvolta, gli angoli sono problematici: sono difficili da arredare, nella loro ristrettezza si accumula la polvere, e sono sempre loro che desideriamo smussare quando si dimostrano troppo puntuti. Anche negli albi, poi: l’angolo al centro della doppia pagina, stretto nella rilegatura è un luogo critico che costituisce una sfida per illustratori, grafici e lettori. Eppure è proprio da questo incrocio di rette che convergendo interrompono la loro corsa verso l’infinito che scaturisce la tridimensionalità: è dalla gestione degli angoli sulla carta che si è generata l’illusione della prospettiva, dalle prime intuizioni di Giotto, passando per la progettazione architettonica, fino ad approdare alle illusioni di Escher e alle abbacinanti anamorfosi che il cervello non riesce a gestire liberamente. 


È qui che si posiziona Zo–O: tra illusione ottica e realtà. Questo è un albo impossibile da appiattire poiché è proprio dall’ambiguità tra l’angolo disegnato sul piano bidimensionale e l’angolo creato dalla struttura concretamente tridimensionale del libro aperto che ne scaturisce la forza. Guai se mancasse! 


Tutto ha inizio qui, su una doppia pagina suddivisa isometricamente in tre porzioni equivalenti che sono subito percepite come due pareti e un pavimento. Solo, seduto in corrispondenza del punto di convergenza di tutte le rette, un corvo contempla lo spazio a sua disposizione. 


Poi, una volta acquisite sufficienti informazioni e presa la necessaria confidenza, inizia ad arredare: un divanetto azzurro, una libreria una lampada, un tappeto. Infine una pianta, a cui dedica la prima parola. 


Ma una pianta non può crescere solo con la luce di una lampadina, e quindi ecco che il corvo inizia a decorare i muri disadorni: pennellata dopo pennellata, le pareti si travestono da enormi vetrate che, con il loro giallo paglierino, sembrano inondare l’intera stanza di luce solare. Soddisfatto il corvo si occupa delle sue cose, la pianta cresce, arriva la musica, l’angolo diventa casa. Eppure manca ancora qualcosa. 


È quando il corvo si decide, ad aprire un varco nella parete per affacciarsi effettivamente verso l’esterno che l’idea forte dell’albo si rivela. 


Zo-O maneggia concetti opposti in una dialettica che sfugge ogni polarizzazione, e restituisce nel racconto la potenza del concetto rivoluzionario di interdipendenza. 


Così come lo spazio geometrico non possiede una connotazione morale, così come a ogni angolo convesso corrisponde un angolo concavo, allo stesso modo la solitudine in cui si muove il corvo all’inizio della storia non si contrappone alla relazione con l’altro a cui si aprirà alla fine, ma ne è presupposto fondamentale; la luce della lampadina non si contrappone a quella dell’aria aperta, ma ne è il precursore. L’angolo non è ridotto a una sterile chiusura da sfuggire ma diviene luogo protetto in cui è possibile prendere le misure, costruire, un luogo in stretta relazione con l’esterno, poiché presupposto imprescindibile per l’atto di apertura. 


L’angolo può essere letto come profonda riflessione sull’immaginazione, ma proprio per come prende spunto dall’universale neutralità dello spazio geometrico può permettersi di abbandonare giudizi e contrapposizioni, per suggerire invece il sentimento di legittimità dello spazio individuale – spirito, libro, stanza o mondo che sia – promuovendolo a presupposto fondamentale alla concezione dell’intero. Un intero da cui non solo non siamo mai esclusi ma di cui facciamo parte integrante e costitutiva e verso cui siamo spinti da un senso di complementarità che più che morale è naturale. Perché che si stia dentro o fuori, si è sempre coinvolti nel medesimo processo di conoscenza. 


Giorgia

 “L’angolo”, Zo-O, (trad. Stephanie Barrouillet), Terre di Mezzo, 2025 
M.C.Escher, Concavo e convesso, 1955

lunedì 3 marzo 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

CA-DUNC!

Il Commissario Gordon - Un caso in ogni caso, Ulf Nilsson, Gitte Spee 
(trad. Laura Cangemi) 
Lupoguido 2024 



NARRATIVA ILLUSTRATA (dai 6 anni) 

"Il letto era grande e, sotto le coperte, la commissaria Buffy era piccola come una girandola alla cannella. 
Buffy era una topolina, e aveva zero anni. Ed era lei a occuparsi di tutto ora che il vecchio commissario Gordon era via, in vacanza. Una vacanza molto lunga, in effetti... 
D’un tratto un rumore sul vetro ruppe il silenzio della notte. Grat grat, come se un animale selvatico affamato cercasse di entrare. 
Buffy si svegliò subito e si rizzò a sedere nel letto. Fuori dalla finestra si vedeva una grossa creatura informe che barcollava nell’aiuola. Si sentivano grugniti e mugugni. Buffy si alzò in fretta e andò alla porta in punta di piedi." 

In quel commissariato ai margini del bosco, dove la luce è sempre accesa, come a dire che, se qualcuno ne avesse bisogno, la polizia è sempre a disposizione, dove la commissaria dorme nel suo lettone al centro dell'unica cella che è sempre aperta perché non ce n'è mai stato bisogno di rinchiuderci qualcuno, dove dentro l'armadio, chiusi a chiave, ci sono sfollagente e pistola...ecco intorno proprio a quel commissariato dove ora l'unica poliziotta in servizio - la topolina Buffy - sta dormendo sodo, si sentono strani fruscii. 
Lei si sveglia e si mette all'erta. Ma, nonostante sia bravissima nel suo mestiere, un po' di timore lo prova anche lei e un po' le manca la presenza del suo vecchio collega - il commissario Gordon - con cui ragionare su quello che sta succedendo. 
Lui, da tempo, si è ritirato nella sua casetta in riva all'acqua dove va a pescare senza amo. Buffy parte per andarlo a cercare e discutere con lui di fruscii notturni e insieme sulla via del ritorno scoprono un nuovo vero caso da risolvere: la maestra con tutti i suoi piccolini è agitatissima perché due di loro sono spariti! Mancano all'appello nell'allegra combriccola Evert, lo scoiattolino e Karin la coniglietta. Sono spariti loro, i loro zaini e i loro bastoni da passeggio (quindi si può già escludere che sia stata la volpe a mangiarseli...). E sparito è anche il Libro del contadino. 


Questa è la storia di come due abili commissari, un rospo anziano a una topolina di anni zero, cercano di risolvere il complicato caso. Ma è anche la storia di come si risolve il caso dei fruscii notturni. 


Ed è pure la storia di come in ogni nuova impresa il sentirsi parte di una squadra sia più confortante dell'idea di affrontarla da soli: dall'agricoltura al lavoro di indagine, la cosa non cambia. 

I libri di Ulf Nilsson in Italia arrivano con il contagocce, ma arrivano. Fortunatamente. 
Due case editrici benemerite se ne stanno occupando. Da una parte Iperborea, apripista e scandaglio attentissimo alla letteratura scandinava da sempre, ha pubblicato Tutti i cari animaletti, uno dei migliori libri che abbiano raccontato di morte con la dovuta onestà e garbo, visto che è a dei bambini che si sta parlando. E dall'altro Lupoguido, che ha scelto meritoriamente di pubblicare la sua serie sull'ispettore Gordon. 
Già tre titoli : Il Commissario Gordon e le nocciole scomparse (2023); Il Commissario Gordon L'ultimo caso? (2024) e da non molto Il Commissario Gordon Un caso in ogni caso (2024). 
Se del libro Tutti i cari animaletti in più di un caso c'è stata occasione di dirne ogni bene, considerandolo un esempio emblematico su come si possano affrontare argomenti difficili a patto di saperli infilare in una buona storia, al contrario di Gordon, colpevolmente, si è taciuto finora. 
Forse val la pena mettere subito in chiaro che il valore di questo scrittore di culto anche quando scrive di Gordon non è minimamente messo in discussione. Anzi. 
Si può al contrario sottolinearne ancora una volta la sensibilità nell'aver creato una serie dedicata ai primi lettori. 
Le serie, per struttura, sono oggetti interessanti. 
Credo che per un piccolo lettore sia molto confortante ritrovarsi in un mondo conosciuto, tra vecchi amici di carta, si sentirà anche sollevato nel non dover ricostruire a ogni nuova storia l'intero contesto. Le atmosfere che si ripropongono, certe routine sarà un piacere vederle ripetersi con cadenza regolare: gli appunti di Gordon, i suoi dolcetti e il suo tè, i motti che vengono validati, secondo un preciso rituale, con il timbro, ca-dunc. 


Sarà contento e si sentirà un po' come a casa. Che quando stai leggendo per le prime volte, è una bella sensazione. 
Nello stesso tempo, con il fatto che caratteri e personaggi sono ormai noti, potrà dedicarsi con più entusiasmo alla risoluzione dei vari casi polizieschi. Che polizieschi lo sanno essere veramente e non si limitano a scimmiottare un genere che è di norma affare per più grandi. 


In questo ultimo libro per esempio, la sparizione di due piccoli innesca una sequenza interessante di riflessioni sull'aspetto sociale che una situazione del genere porta con sé. In questa prospettiva il coinvolgimento dell'intera comunità mi pare una questione davvero interessante da mettere all'ordine del giorno di una possibile conversazione tra grandi e piccoli. 
L'altra grande capacità che va attribuita a Nilsson sta nel modo in cui delinea il contesto e i suoi personaggi, in particolare i due commissari Gordon e Buffy. Nel farlo va ad esplorare quello che è il loro/nostro mondo emotivo, con rabbie, debolezze, prove di autostima, capacità di perdonare e via andare. 
Nel farlo non offende mai l'intelligenza dei suoi lettori, con l'essere didascalico o retorico: fa succedere, o non succedere, le cose, descrive luoghi e abitudini con la consueta grazia, ossia portando il lettore a percepire per deduzione certa serenità diffusa. Sottilmente ironico, largamente affettuoso, con pochi dettagli messi in elenco è in grado di creare il necessario spessore di caratteri e situazioni. 
Insomma, questa percezione piacevole che si prova nel ritrovarsi fra conoscenti si riverbera nelle illustrazioni di Gitta Spee.


Le sue tinte pastello, i contorni morbidi, le sfumature ovunque, certa dolcezza che dedica alle rotondità di Gordon e certa esilità che distingue Buffy in camicia da notte oppure con l'ambito berretto in testa, contribuiscono a rendere tutto così tanto accogliente, da non voler mai chiudere il libro per andare a fare altro. 

Carla