venerdì 22 settembre 2023

FAMMI UNA DOMANDA!


I GIGANTI DEL MARE


I cetacei, ordine dei Mammiferi che vivono in acque soprattutto marine, sono stati a lungo animali misteriosi e affascinanti; si dividono in due sotto ordini, dei Mysticeti (dotati di fanoni) e di Odontoceti (dotati di denti). Ai primi appartengono le balenottere, le megattere, le balene grige e altri tipi di balene; al secondo, delfini, capodogli e orche.
Il loro percorso evolutivo li porta dalla terraferma, su cui vivevano gli antenati comuni agli artiodattili, mammiferi ungulati erbivori, all’acqua ed è un percorso che comincia nell’Eocene e li vede adattarsi perfettamente alla vita acquatica, nonostante la persistente respirazione polmonare.
Il libro ‘Il soffio della balena’, di Rossana Bossù, pubblicato da Camelozampa, parla proprio di loro, della loro storia, del loro fascino, della loro stupefacente capacità di comunicare, della caccia spietata cui sono stati e sono tuttora sottoposti.


Si tratta di un testo consistente, che tratta diversi argomenti, affrontati comparando le specie che affollano le pagine, mostrando l’imponenza e la bellezza di questi animali. Sicuramente le dimensioni dei loro resti, approdati sulle rive in epoche passate, hanno alimentato leggende e racconti straordinari, che parlano di creature mitiche in grado di affondare le imbarcazioni.
Se con il passare dei secoli si è accresciuta la conoscenza sui cetacei, ne è anche aumentato lo sfruttamento, per ricavare non solo carne e grasso, ma anche altri prodotti organici che hanno avuto svariati usi. Tuttora, anche se sono diminuite le uccisioni per mano umana, molte specie sono a rischio di estinzione.
La lotta alle baleniere, vere fabbriche di morte, in Islanda come in Giappone, è stata una delle più importanti battaglie degli ambientalisti: nel 1982 Luis Sepulveda partecipò ad una di queste imprese incruente portate avanti dall’Associazione Greenpeace contro le baleniere giapponesi.
Oggi c’è un grande interesse da parte della comunità scientifica intorno al mondo misterioso di balene e orche, così come è testimoniato dai numerosi studi sulla loro modalità di comunicazione, studi di cui ha più volte parlato il naturalista e divulgatore Carl Safina, giustamente inserito nella ricca bibliografia che l’autrice riporta in chiusura del volume. Così come è anche cresciuta la consapevolezza dell’interconnessione fra le diverse specie nel mantenimento di un ecosistema sano.
Spesso il ruolo di piante e animali viene circoscritto agli aspetti più evidenti, ignorando, per esempio quanto possano essere importanti gli escrementi o le carcasse delle balene nel mantenimento della biosfera nel suo complesso.


Rossana Bossù, illustratrice di grande talento, coautrice del bellissimo ‘Il giardino delle meduse’ insieme a Paola Vitale, si cimenta qui con successo in un’impresa non facile: fornire molto materiale su un tema fra i più affascinanti, coniugando correttezza terminologica, documentazione approfondita, ma anche quel senso del meraviglioso che cattura la fantasia dei più giovani. Per necessità di sintesi, qualche affermazione viene lasciata senza spiegazione; ma si tratta di pochi passaggi. Efficace l’impaginazione, molto movimentata, che integra testo e immagini, con caratteri di stampa di diverse dimensioni; anche l’uso del colore, soprattutto su tonalità in contrasto, accentua la vivacità delle pagine, consentendo la lettura anche a bambini e bambine intorno agli otto anni, mentre le parti più complesse del testo saranno apprezzate soprattutto a partire dai dieci anni.

Eleonora

“Il soffio della balena”, R. Bossù, Camelozampa 2023



mercoledì 20 settembre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TUTTO QUELLO CHE C'È DA DIRE

Di corvi e cornacchie
, Britta Teckentrup (trad. Mara Carla Dallavalle) 
Uovonero 2023 


ILLUSTRATI 

"Nelle città i corvi usano le automobili o i tram per rompere le noci. Proprio così. 
Quando un semaforo diventa rosso, i corvi si avvicinano all'incrocio con una noce nel becco e la depositano sulla strada. Quando scatta il verde, restano a guardare le auto che la schiacciano. 
Infine quando il semaforo è di nuovo rosso, possono raccogliere la noce che, essendo stata schiacciata, ora è a portata di becco." 

Grigi o neri, alcuni neri a tal punto da avere sfumature blu sulle penne. 
I corvi e le cornacchie sono uccelli magnifici. 
Belli, fieri di esserlo, intelligenti, affettuosi, socievoli e loquaci. In sostanza l'esatto contrario della cattiva fama che li circonda. 
Poche persone paiono amarli. Tra queste ci sono Britta Teckentrup, il marito Ian (che ha avuto la fortuna di avere sulla sua spalla appollaiata per un quarto d'ora una cornacchia addomesticata), Margherita e la sottoscritta. 


I corvidi, la famiglia più sviluppata tra gli uccelli, sono passeriformi e canterini e si dividono in 129 specie a loro volta suddivisi in 23 generi, tra cui ghiandaie, gazze, e naturalmente, corvi e cornacchie. Pur appartenendo alla stessa famiglia, si tende a distinguere la cornacchia - più piccola - dal corvo, per lo più nero "corvino". Il corvo imperiale e il corvo beccogrosso possono pesare fino a un chilo e mezzo. 
I corvi sono raffinati dialogatori. Hanno toni diversi: più alti se si tratta di estranei al loro gruppo e toni più bassi tra 'conoscenti'. Hanno lingue e dialetti. Celebrano in qualche modo la morte
Il nero, che normalmente è colore funesto, ai corvi invece porta bene perché li rende visivamente meno appetibili di altri uccelli colorati e per di più le penne piene di melanina, così scure, sono molto più resistenti di quelle chiare. Ciò nonostante fanno parte della stessa famiglia anche un sacco di altri corvidi coloratissimi: gazze e ghiandaie, con quei loro buffi ciuffetti sulla testa o crestine un po' punk. 

Queste informazioni sono solo un assaggio delle molte altre che si imparano in questo libro ibrido che Britta Teckentrup dedica ai suoi uccelli preferiti. 
Suddiviso in sette capitoli, più un'ode iniziale e una riflessione finale, questo libro di più di 150 pagine è il terzo che Britta Teckentrup dedica ad argomenti non esclusivamente letterari: il primo ragionava sull'uovo, il secondo sulle penne e adesso questo su corvi e cornacchie. 
Li tengono insieme due caratteri comuni e piuttosto interessanti. 
Il primo riguarda il tempo e lo spazio necessari che occorrono per dire tutto quello che c'è da dire: tutti e tre sono libri illustrati molto consistenti, con tante pagine e innumerevoli illustrazioni. Un po' come a dire, un albo illustrato 'gonfiato' in una estensione che non gli appartiene. Perché effettivamente il ritmo delle figure, il loro organizzarsi nella pagina, il loro dialogo serrato con i testi li assimilano a quelli che sono i criteri che governano l'albo. 
Mille soluzioni differenti per comporre testo e immagini: una gioia per gli occhi.
Ma le 32 pagine canoniche qui si sono quintuplicate. 


Questo significa che Britta Teckentrup decide di usare uno strumento nuovo, la forma dell'albo illustrato, per costruire un libro che le permetta di parlare tanto, che le consenta di andare in molte direzioni diverse. 
E così si arriva al secondo carattere comune che consiste in questa capacità che Teckentrup dimostra di avere, ossia quella di ibridare due generi che fino a un po' di tempo fa non si sfioravano nemmeno: la letteratura illustrata e quella di carattere divulgativo. 


In questo senso, lei ha sempre navigato in una direzione che le permettesse di dire il più possibile su una questione che la appassiona. Quale che sia. 
Quindi il tempo meteorologico, con Alle Wetter, oppure le grandi questioni che ci interrogano sul futuro, con Worauf wartest Du? a cui si aggiungono L'uovo, La penna e adesso Di corvi e cornacchie. 
Il tono discorsivo che si allontana dalla mera informazione e indaga verso altre direzioni - dalla tradizione letteraria con corvi come protagonisti, alla mitologia che li ha sempre circondati  - assume il tono più confidenziale della narrazione orale permette al lettore di bersi in un fiato tutti i suoi libri del genere, e quindi a lettura ultimata, di richiuderli soddisfatto per aver sentito molte storie e per aver imparato anche un bel po'. 
Questa particolare direzione che certa divulgazione ha preso pare davvero interessante e ricca di stimoli per riflettere e ragionare su quale sia la strada migliore da fare per imparare e far imparare. Affrontare un argomento e osservarlo girandogli intorno per coglierne la complessità e lo spessore, non può che essere efficace. Permettere a teste differenti di interessarsi ad aspetti differenti mi sembra una bella idea. E farlo attraverso linguaggi non convenzionali, esteticamente significativi, solletica l'interesse e la curiosità. Fermo restando che l'idea di suggerire di usare un albo per studiare gli aggettivi o la geometria non mi appartiene, mi pare invece cosa buona e giusta raccontare i corvi attraverso le tante storie che li riguardano, poesia ed etologia sullo stesso piano, sia quelle più strettamente scientifiche, sia quelle più decisamente legate all'immaginario. 


In questo senso Teckentrup non è l'unica e non è la prima ad averlo fatto, tuttavia l'aria rarefatta che si respira nei suoi libri e, diciamolo pure, l'altissima qualità del suo modo di concepire le immagini e il loro modo di dialogare con lo spazio finito di una pagina, la rendono unica, a mio avviso anche superiore in quel suo non voler essere per forza mimetica, ma invece evocativa attraverso il mezzo che sa usare meglio: il colore, si veda per esempio il lavoro fatto con Il mondo è rosso,  attraverso la luce, ma soprattutto l'ombra. 


Tutto questo fa la differenza. 

Carla

lunedì 18 settembre 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


IL MISTERO DI WINDEBY




Il Mistero di Windeby’, pubblicato recentemente da Mondadori, rappresenta una interessante anomalia: Lois Lowry, che l’ha scritto a più riprese, non ci racconta solo una storia, anzi due, intorno al ritrovamento di un cadavere mummificato in un torbiera a Windeby, in Germania; ci spiega come e perché ha deciso di scrivere una storia relativa a questa persona, vissuta grosso modo nel I secolo dopo Cristo in una delle tribù germaniche della zona; e poi, di scriverne un’altra, in seguito alla diversa interpretazione data ai resti.
Il ritrovamento avvenne nel 1952 e archeologi e antropologi stabilirono che si trattasse di un’adolescente, morta probabilmente di morte violenta, anche se il corpo non portava tracce di ferite. La fanciulla, presumibilmente di tredici anni, era stata sepolta con una specie di piccolo mantello e con una fascia colorata che le copriva gli occhi.
La scrittrice Lowry si sente come davanti a un puzzle, come se davanti a lei ci fossero i pezzi di una storia che andava raccontata; il primo passo è stato darle un nome, Estrild e a quel punto la ragazza è diventata un personaggio.
La sua storia si svolge in un villaggio della tribù suebo; qui la vediamo partecipare alla vita familiare, aiutando la madre nei lavori domestici e in quelli agricoli. Siamo vicini alla cerimonia in cui alcuni adolescenti verranno nominati guerrieri. Il sogno segreto di Estrild è diventare la prima donna guerriera, stravolgendo i tradizionali ruoli sessuali. Per questo motivo si allena a combattere con spada e scudo e a farsi il nodo nei capelli, tipico dei guerrieri. La aiuta Varick, l’aiutante del fabbro che prepara gli scudi; è un giovane orfano, con alcune malformazioni ossee che ne impediscono la normale crescita. Deriso dagli altri ragazzi, trova conforto nello studio degli animali e nell’amicizia con Estrild, la ragazza ribelle.
In realtà, il capo del villaggio e i druidi conoscono il suo piano e questo segna per lei una fine crudele e inevitabile, che ce la restituisce nella sua eterna sepoltura.
Ma c’è un colpo di scena: nei primi anni Duemila, un’antropologa americana, con i moderni strumenti a disposizione, dimostrò che il corpo di Windeby apparteneva a un ragazzo, di circa sedici anni, molto esile.
La storia di Estrild, dunque, è doppiamente falsa: non solo è il frutto dell’interpretazione che un’abile scrittrice fa del ritrovamento, attribuendo a quella ragazza un desiderio di ribellione che forse a quei tempi e in quei luoghi non è mai esistito; ma proprio l’età e il sesso della mummia sono diversi.
Ma il personaggio maschile adatto alla nuova versione la Lowry l’aveva già, Varick. Ed ecco nascere la sua storia. Il ragazzo, come già detto, aveva alle spalle una storia triste, da orfano a mala pena tollerato, che si era dovuto costruire con le sue mani un piccolo ruolo nel villaggio, come aiutante del fabbro. In più, non avrebbe mai potuto diventare un guerriero, come era l’aspirazione di tutti i suoi coetanei, proprio per le sue malformazioni. Un po’ di conforto gli veniva dallo studio degli animali, guidato da una grande curiosità e dalla familiarità col mondo animale. Nelle sue passeggiate gli si affianca un vecchio, che, come lui, apprezza il mondo naturale e i suoi segreti. Anche per Varick arriva il momento del riscatto: in una fredda mattina autunnale, il fabbro presso cui lavora cade e s’infortuna. Grazie alle sue conoscenze anatomiche, Varick riesce a rimetterlo in piedi, ma la lunga esposizione al freddo gli sarà fatale. Come tanti animali che percepiscono la morte imminente, anche Varick sceglie il posto in cui adagiarsi in attesa del momento fatale.
Dunque due storie, con un finale inevitabilmente segnato, raccontano la vita di due giovanissimi nell’ambiente ostile di una tribù germanica dell’età del ferro. La Lowry fornisce ai giovani lettori e lettrici un esempio calzante delle modalità con cui l’intuizione di una scrittrice rende vivida e presente l’esperienza di ragazzi vissuti quasi due millenni fa. Lo fa proiettando volutamente le aspirazioni che lei stessa ritiene insopprimibili: l’aspirazione alla libertà e alla conoscenza. Nello stesso tempo fornisce un esempio di rigore, raccontando, nelle introduzioni ai due racconti, come ha raccolto i dati, le fonti storiche, le ricostruzioni fornite via via da archeologi e antropologi.
Già Siobhan Dowd aveva preso spunto dal ritrovamento di un corpo mummificato in una torbiera per raccontare la vita della giovanissima Mel.
Ma, se nella Dowd l’episodio del ritrovamento era pretesto per un racconto che abbracciava l’intera storia d’Irlanda, qui Lois Lowry suggerisce quanto le storie possano essere imbevute di realtà e quanto la realtà acquisti un altro valore grazie alle storie.
La lettura, stimolante per giovani lettrici e lettori, è consigliata a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Il mistero di Windeby”, L. Lowry, Mondadori 2023




venerdì 15 settembre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN CAPPELLO ROSSO: DA DISNEY A PINTOR

Tartaruga vs Lepre. La rivincita, David Pintor (trad. Emma Vaccaro) 
Kalandraka 2023 



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)  

"'Facciamo una gara?' 'D'accordo!' 
'Prova a prendermi!' 'Sono molto più veloce della tartaruga.' 
'Posso schiacciare un pisolo che comunque vincerò lo stesso'"

Al suo risveglio la lepre è del tutto sicura di essere in vantaggio, ma arrivata al traguardo, quello con le bandierine colorate, la sua rivale, la tartaruga con il cappello rosso, è lì che l'aspetta. E poi esulta vittoriosa.
Rivincita. Accordata. 
La lepre si impegna questa volta, ma scopre anche che la tartaruga hai i suoi personali sistemi per vincere. Non proprio legalissimi. Per esempio, l'aeroplano giallo che sta pilotando sulla testa della lepre... E non sarebbe nemmeno consentito dal regolamento guidare un fuoristrada, parimenti giallo, su cui lei appare seduta mentre la lepre, ancora una volta trasecola. 
Imbroglio dopo imbroglio, la lepre la scopre e ribadisce le regole d'ingaggio: non questo, non quello e via andare. 
Ma la tartaruga non molla. E continua a sfoderare uno dopo l'altro i suoi sistemi - diciamo così - alternativi per raggiungere prima della lepre il traguardo. 

Allora. Da che Esopo ne ha parlato più o meno tutti sanno che la lepre è una sbruffona, mentre la tartaruga è una che conosce la tenacia e l'impegno. La lepre, vantandosi con gli altri animali, la provoca e lei, modesta ma forte delle sue sicurezze, accetta la sfida e si mette in cammino. Lento pede, va avanti. La lepre si ferma addirittura a dormire, con ancora maggior sicumera di quella mostrata alla partenza. Quell'altra invece, con il suo carapace e il solito lento pede, tippete tippete arriva al traguardo e in tal modo per un soffio la lepre perde la gara. 



Visto che così sono andate le cose, va da sé che Esopo concepisca la seguente morale: a volte con l'impegno si può ottenere ben più che con un talento naturale. 
Ma alla fine del libro di David Pintor la morale, ovvero le ragioni della morale, saranno un po' diverse. 
Le cose che mi piacciono di questo libro sono sostanzialmente tre. 
La prima è David Pintor, ossia i suoi disegni: gli occhi, gli sguardi...
La seconda è di nuovo David Pintor, ossia il suo modo di 'correggere' una storia che tutti ormai hanno stradigerito. 


In questo senso sono sempre molto interessanti le riletture, perché spesso sfidano colossi dalle profonde radici. Di solito il cimento sta proprio nel gusto di ribaltare il punto di vista e non sempre il senso va nella direzione del politicamente corretto. Nelle favole, questo si verifica ancora di più, visto il loro insito contenuto morale. E infatti Pintor qui si prende un bel gusto nel mostrarci una tartaruga che è la quinta essenza del baro. Imbroglia, fino all'esaurimento delle forze e dei mezzi di locomozione e dei nervi della lepre. 
Evviva. Adoro gli imbroglioni. Un'arte sopraffina che - a mio parere - ha il pregio di affinare il pensiero, di renderlo lievemente più acuto di quello diffuso. E questo, anche se scorretto, può solo far bene all'intelligenza. E, a quanto pare, David Pintor fa la sua scelta di campo (come non condividerla) e la mette in mano ai piccoli lettori. Seppur con la dovuta ironia, sembrerebbe dire, non mettendo nessuna morale esplicita, quando si è in gioco, bisogna giocare. E vale tutto.


Certo ci vuole un po' di moderazione e di stile, ma la tartaruga ne ha da vendere. 
E a proposito di stile, si arriva al terzo merito di questa storiellina. 
Quel cappello rosso, che poi è la chiave di tutto... da dove arriva? Forse da nessuna parte, se non dalla fantasia di Pintor. Eppure, quel cappello non sta lì a caso. E perché è proprio rosso? 


Nel ricordo riemerge un cortometraggio. Uno dei primi della Disney, datato 1935, che si intitola The Tortoise and the Hare e fa parte di una serie di film di animazione che va sotto il titolo di Silly Symphonies, dedicate a rivisitazioni di favole e fiabe. Questa è la prima Silly Symphony, firmata da Wilfred Jackson, in cui si cerca di dare una forma visiva alla velocità. 
Un piccolo capolavoro in cui si toccano diversi colmi della velocità, di cui la lepre delizia il suo pubblico, di conigliette e non. 
Al contrario, la tartaruga in questione, sempre con quella sua aria da sprovveduta,  ovviamente vince. Legalmente. Ed ecco il punto: indossa una cravatta rossa (che quella di Pintor non porta più) e un meraviglioso cappello rosso con il quale moltiplica gag e divertimento. Vista la longevità delle stesse, chi mi dice che la tartaruga Toby, per restare in mezzo ai bambini, non abbia attraversato l'oceano e sia approdata nella matita di Pintor. 
Ecco. 
Qui gli otto minuti e rotti per i quali dobbiamo dire grazie alla tartaruga di Pintor che li ha riportati a galla.


Carla 

mercoledì 13 settembre 2023

FAMMI UNA DOMANDA!


LA BELLEZZA DELLE API

In perfetta continuità con il precedente ‘In un seme’, la coppia di autrici Bepi Piotto, per i testi, e Gioia Marchegiani, per le illustrazioni, ritorna per parlarci di api: sempre nella collana PiNO di Topipittori, è uscito recentemente ‘Api, sciami, alveari’.
Le diverse specie di api fanno parte fanno parte di una famiglia di insetti detti Apoidei, che raggruppano più di 20.000 specie, fra cui i bombi e le api legnaiole, per parlare di insetti a noi noti.
Insieme alle meno amate vespe, calabroni, e formiche, e tanti altri, costituiscono il genere degli Imenotteri, ovvero insetti dalle ali membranose.
Nel precedente libro si era già vista la stretta interazione fra piante ed insetti impollinatori; qui l’argomento viene analizzato dal punto di vista animale, cioè di quel gruppo di insetti che contribuiscono in maniera determinante al processo di riproduzione delle piante: l’interdipendenza fra api mellifere, per esempio, e riproduzione delle piante è talmente stretto da far dipendere la produzione di molti semi e frutti proprio dalla presenza di questi insetti, spesso danneggiati gravemente dall’uso di pesticidi in agricoltura.


La nostra preziosissima ape mellifera viene esaminata come singolo insetto, di cui si analizza l’anatomia, e come parte di uno sciame e di un alveare. La sciamatura segna la fuoriuscita di un’ape regina, l’unica in grado di riprodursi, insieme ai fuchi, che la dovranno fecondare, e ad un gruppo di api operaie che trasportano il miele necessario alla sopravvivenza, nei primi tempi, del nuovo alveare.
La complessità della struttura sociale e la complessità dei sistemi di comunicazione interni all’alveare hanno sempre affascinato i naturalisti, il più famoso dei quali è Karl von Frisch, che nel 1973 per questi studi ricevette il Premio Nobel, condividendolo, non a caso, con Konrad Lorenz e Niko Tinbergen: si era aperta l’era dell’etologia, lo studio evoluzionistico del comportamento animale, una parte non secondaria della rivoluzione darwiniana.
‘Api, sciami, alveari’ mantiene l’impostazione della collana, che unisce rigore scientifico ad una dimensione aneddotica utile a far apprezzare i testi anche ai lettori e lettrici più giovani; ma, e questo è l’aspetto più importante, né concetti né terminologie sono modificati per essere più comprensibili. Si tratta di testi che possono attrarre sia i bambini e le bambine presi dalle insorgenti curiosità, che ragazze e ragazzi che già esprimono un interesse specifico per il mondo naturale.
Nelle ultime pagine sono indicate attività pratiche per dar voce all’insorgente ecologismo, o per esprimere in senso artistico l’amore per la natura.


Le illustrazioni di Gioia Marchegiani rispondono alla duplice funzione di spiegare, far vedere quanto è contenuto nel testo, come nelle tavole che rappresentano l’anatomia dell’ape, e di ricostruire il mondo legato a questi insetti, fatto di fiori, di danze, e di infinita meraviglia.
Se, come credo, il libro riuscirà a trasmettere questo senso di meraviglia per quello che la natura comprende, credo avrà raggiunto il suo obbiettivo di contribuire a sollecitare nei più giovani la curiosità e l’amore per la bellezza.
Consiglio caldamente la presenza del libro nelle biblioteche scolastiche, come testo di approfondimento e come stimolo a ricerche e attività di tema ecologico. Ma consiglio la lettura a tutti quei giovani lettori e lettrici, amanti della natura, che non si accontentino delle informazioni trovate in rete.

Eleonora

“Api, sciami, alveari”, B. Piotto & G, Marchegiani, Topipittori 2023




 

lunedì 11 settembre 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

AMO QUEL BAMBINO 

Amo quel cane. Odio quel gatto, Sharon Creech 
(trad. Andrea Molesini, Riccardo Duranti) 
Mondadori 2023

 
NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

 "AMO QUEL CANE 
(ISPIRATA A WALTER DEAN MYERS) 
DI JACK

Amo quel cane 
come un uccello ama volare 
dico che amo quel cane 
come un uccello ama volare 
amo chiamarlo al mattino 
amo chiamarlo 'Ehi tu, Sky!'" 

Questa è la poesia che Jack, un ragazzino che fino a poco tempo fa pensava che scrivere o leggere versi fosse roba da ragazze, ha scritto sul suo cane. Il suo cane giallo. Jack è arrivato alla poesia per due ragioni: la prima e la più importante è la sua maestra, miss Stretchberry, che ogni giorno arriva in classe e legge, legge poesia. Lenta, ma sicura conquista la testa e il cuore di quel ragazzino restio e triste. Lui di lei in qualche modo si fida anche perché le poesie che legge in classe non lo lasciano indifferente. In particolare quelle di Walter Dean Meyers, e ancora più in particolare quella che si intitola Amo quel bambino. 
Jack comincia a scrivere in versi, ma è convinto che le sue parole non siano vera poesia. Il fatto che la maestra le apprezzi (anche se rispetta il suo desiderio di restare anonimo) e le appenda in bacheca al principio lo imbarazza, ma poi lentamente gli infonde fiducia. Continua e attraverso le poesie e il dialogo poetico con la maestra si convince di una cosa fondamentale: la poesia è per tutti ed è di tutti. Così Jack trova il coraggio di scrivere a Walter Dean Myers per invitarlo a scuola, è felice nel leggere la risposta che il poeta gli invia, è pieno di emozione nel conoscerlo personalmente a scuola. Tutto questo, insieme alla seconda ragione, che si nasconde nel buon motivo che questo ragazzino ha per provare a tirare fuori e dare una forma al dolore che cova. 
E la forma è quella poetica. 
Il tempo scorre, passa qualche anno e la maestra Stretchberry non smette di coltivare i suoi giovani poeti e mette nelle loro mani strumenti sempre più raffinati... Ma questa è un'altra storia, che si intitola Odio quel gatto. 

Love That Dog la Creech lo scrive, in versi, nel 2001. Il tempo di reagire e nel 2004 lo pubblica Mondadori nella collana Junior Best Sellers con la illuminata traduzione di Molesini, che addirittura si premurava di cambiare Stretchberry con Strizzabacca. 
A mio modesto parere fin da allora ho sempre pensato fosse un libro fulminante. Per diversi motivi, non ultima la copertina che ancora a distanza di vent'anni mi commuove per la sua capacità di mettere insieme due tipi di creature che per natura dovrebbero convivere sempre e comunque: bambini e cani.


Il libro non so che successo editoriale abbia avuto, nonostante Sharon Creech sia una Newbery Medal, per Due lune, l'unico suo titolo che resiste nel tempo. Fatto sta che dopo qualche anno sparisce dai radar e diventa introvabile, insieme a molti altri titoli Mondadori. 
Ciò nonostante, per quei diversi motivi di cui sopra, non viene rimosso nella mia testa. Anzi. Ne regalo addirittura una copia trovata da un remainders a Giovanna Zoboli. Ovviamente non ricordo perché. 
Le cose che colpiscono, a parte la copertina, sono principalmente due: da un lato il tipo di scrittura che rende in modo inequivoco la poesia lingua della vita quotidiana, sfatando ancora una volta un luogo comune che la relega a letteratura per pochi, e dall'altro la costruzione di un personaggio complesso attraverso un delicatissimo lavoro di cesello, attraverso la scelta misurata di ogni parola messa sul foglio, esattamente come avrebbe potuto fare un poeta. Attraverso un percorso pieno di slanci in avanti e di ricordi del passato, pieno di parole personali di un bambino e altrettanto di poesia di grandi autori, la storia nella sua complessità si svela e cresce, in tutta la sua bellezza. 
Poi, nel 2008, Sharon Creech decide di scrivere un seguito e lo intitola, Hate That Cat. In questo caso Mondadori non reagisce e Odio quel gatto non esce, se non dopo quindici anni (in un unico libro con Amo quel cane per la collana Contemporanea in versi) con la felicissima traduzione di Riccardo Duranti, adattissimo a questo nuovo tipo di testo che rispetto al primo prende ancora più spessore e quindi peso, con particolare attenzione alla forma che la poesia può assumere. La maestra, che non ha mollato i suoi ragazzini, li sta allenando a raggiungere obiettivi sempre più alti. E quindi Jack e i suoi compagni van per similitudini, simboli e metafore, onomatopeizzano e allitterano, che è un piacere. E noi ne godiamo grazie alle valenti scelte di Duranti che se c'è da giocare con la lingua non si tira certo indietro. 
Su questo seguito si imparano altre cose sulla poesia, ovviamente, su Jack e sulla sua famiglia. Una in particolare apre una grande porta sulla questione della comunicazione e del linguaggio - e in particolare su quello poetico e sonoro - e dà un respiro, nel senso anche letterale del termine, pieno di ritmo - FORTE-piano FORTE- piano FORTE-piano - all'intera storia. 
Non una parola di più per non togliere il gusto a chi vorrà leggerli, uno dopo l'altro. 

Carla 

Noterella al margine. Come sempre i gatti, usurpatori dell'attenzione nei confronti dei cani, hanno fatto sì che la copertina cambiasse e l'abbraccio sparisse. Ma in cambio ci abbiamo guadagnato due disegnini di Steig, retaggio delle edizioni originali. Poteva andare peggio, dai.

sabato 9 settembre 2023

SALZBURGER NOCKERL altrimenti detto LO GNOCCO DI SALISBURGO

Bisogna mandare in giro gli amici perché poi tornano indietro con delle interessanti novità gastronomiche.
Germana da Salisburgo, o più precisamente, dal caffè dove lo stava gustando, mi ha spedito la foto di queste tre montagnole dalle cime un po' abbrustolite, ma innevate di zucchero a velo.
Simboleggiano le tre colline che sono intorno alla città, il Gaisberg, il Mönchsberg e il  Kapuzinerberg.
Perché abbia pensato proprio a me mangiando tanta sofficità credo dipenda dalla chiffon cake che le piace tanto e che ho il merito di aver introdotto personalmente nella sua dieta familiare.
Nel messaggio-didascalia che accompagnava l'immagine dello Gnocco c'era scritto solo un lapidario Ti sfido!!
Ed eccomi qua.

Ingredienti:
6 albumi
3 tuorli
3 cucchiai di zucchero
1 presa di sale
2 cucchiai di farina
1 cucchiaio di zucchero vanigliato
burro a temperatura ambiente
latte poco poco e qualche goccia di rum
buccia di limone

Si fa così. Si accende il forno a 220° poi in una grande terrina si montano a neve ferma ferma gli albumi che sono a temperatura ambiente (almeno 8 minuti di frullamento al minimo della velocità) con un pizzico di sale. 


Poi si incorpora a poco a poco lo zucchero e si riprende a frullare, fino a che non viene il baffo (cfr la ricetta della chiffon cake). In una terrina imburrata e lievemente zuccherata si versa il goccio di latte scaldato con il rum. Nelle chiare si incorporano con l'aiuto di una spatola e con estrema lentezza e cura i tuorli, la farina setacciata e la buccia di limone. 
A questo punto si prende una spatola o coppapasta e si 'spatolano' le tre collinette nella terrina imburrata e inzuccherata sul cui fondo c'è il goccio di latte al rum (sul fondo si può anche mettere un sottile strato di confettura.
Si infornano per 9 minuti esatti (fino al momento che tutto si brunisca un po') poi si innevano di zucchero a velo e a questo punto comincia una corsa contro il tempo perché lo gnocco possa essere gustato in tutta la sua soffice altezza. 


Se non si è veloci si assiste al suo naturale afflosciamento che lo fa diventare il consueto 'frittatone'.

Carla


 

venerdì 8 settembre 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

ESORDIO DI UN NARRATORE


Questo è un esordio lontano, non me ne voglia l’autore: risale al 1999, quando un giovane dotato di talento e di molte parole partecipa, vincendo, al Premio Battello a Vapore con un romanzo d’avventura che ora viene riproposto in BUR.
L’autore è Pierdomenico Baccalario e il titolo del romanzo è ‘La strada del guerriero’.
Se il romanzo oggi può rivelare qualche pecca, ma si tratta di qualche peccato veniale, quello che emerge sopra tutto è la capacità di Baccalario di costruire storie. Storie che catturino il lettore e la lettrice e capaci di trasportarli in un altrove che qui ha una netta connotazione fantastica.
Siamo in Africa, in un tempo indeterminato, nella terra degli Zulu.
Il Re degli Zulu attende l’annuncio della nascita dell’erede al trono; ma nascono due gemelli e questo rappresenta una grande sventura, che può essere allontanata sacrificando quello, fra i due, che per primo viene alla luce. Lo stregone Ingana chiede alla nutrice Miesi di preparare il predestinato al sacrificio. Miesi, però, non è certa di aver individuato il neonato giusto e, comunque, non intende far morire nessuno dei due bambini. Riesce ad ingannare Ingana, che sacrifica una lepre al posto del bambino, il quale verrà affidato ad un uomo saggio, Babashana, che vive nella savana.
Manatasi, questo è il nome del bambino, cresce quindi ignaro del suo lignaggio, che gli viene svelato in punto di morte dallo stesso Babashana.
A quel punto il giovane Manatasi, che è cresciuto forte e abile nella caccia, deve affrontare il suo destino, che già si rivela nella capacità di comandare gli animali, anche i più feroci. Non a caso lo accompagna nel suo viaggio un leopardo, quasi un animale totemico. Andrà verso il villaggio dove vive il fratello, divenuto Re, mentre incalzano siccità e carestie, e poi si recherà nella Città dei Re, dove sono sepolti i Re e le Regine e dove è possibile interrogare i morti.
Come si vede ci sono tanti ingredienti che non casualmente avvicinano questo romanzo alle trame dei giochi di ruolo: la magia, che attraversa tutto il racconto, con le doti straordinarie che contraddistinguono alcuni personaggi; l’inganno, il viaggio iniziatico, lo scontro finale fra Manatasi e Sinude, l’altro gemello.
D’altro canto è proprio l’autore a raccontare la genesi di questo libro e il suo rapporto diretto con il gioco di ruolo che all’epoca era ben conosciuto, Dungeon & Dragons. Ad affascinare il giovane Baccalario è proprio il ruolo del Master, ovvero quello che costruisce le trame, indirizza i giocatori, riannoda i fili che sembrano dispersi.
Per sostenere il ruolo di Master bisogna essere dei bravi costruttori di trame, saper tenere alta la tensione, intervenire al momento opportuno per dare una svolta al racconto.
Ed ecco che da un gioco di ruolo, che per fortuna sta rinascendo, si diventa scrittore; uno scrittore che ha collezionato successi, a partire da Ulysses Moore, e che ha dato vita a numerosissime serie e che, alla fine, ha riunito un valente gruppo di scrittori sotto la sigla di Book on a Tree.
Sulla magia dei giochi di ruolo e sull’universo anche letterario che li nutre, l’autore ha scritto il bellissimo ‘Il grande manca’.
Ma anche volendo ignorare il percorso dello scrittore, questo romanzo piacerà a ragazzi e ragazze che amino l’avventura e la magia, la natura selvaggia e il destino degli eroi.
Lettura scorrevole e divertente per lettrici e lettori dai dieci anni in poi.

Eleonora

“La strada del guerriero”, P. Baccalario, Rizzoli 2023




mercoledì 6 settembre 2023

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

LA GIUSTA POSIZIONE

Notiziario, Armin Greder 
orecchio acerbo, 2023 


ILLUSTRATI 

"Acqua imbottigliata nella località più settentrionale del pianeta: il 78° parallelo nord. Puro ghiaccio primordiale, conservato per millenni, fresco come il giorno in cui è caduto come neve. Raccolto durante i suoi brevi giorni di vita prima che possa sciogliersi nelle acque artiche delle Svalbard. Bottiglia da 750 ml in confezione regalo, 99,95 euro (tasse e costi di spedizione inclusi). 


'Partiamo all’alba prima che il sole sia troppo caldo e torniamo ore dopo con due o tre taniche d’acqua sul nostro asino. Ora l’asino è troppo debole. Può trasportare solo due taniche alla volta e deve riposare lungo la strada.' Tune, 8 anni, Kenya 


Sulla pagina di sinistra un cameriere azzimato offre su un vassoio un bicchierino di preziosissima acqua primordiale e sulla pagina di destra è ritratto un deserto a perdita d'occhio. 


L'intero libro è costruito così: due notizie prese dai canali di informazione si confrontano, o meglio si contrappongono, dando vita così a un continuo alternarsi di notizie che qualcosa tiene insieme. Ad ancorare queste poche parole, spesso poco più che scarni lanci giornalistici, sono le fonti che con rigore permettono al lettore ogni possibile verifica ed eventuali approfondimenti. Ognuna di queste notizie ha una sua grande illustrazione dedicata. 

Nei suoi incontri pubblici gli ho sentito dire più volte che ogni volta che prova rabbia per qualcosa scrive un libro. Questo è Armin Greder: un uomo alto e magro, nato in Svizzera ma poi scappato da quella mentalità e diventato - fuori da ogni retorica - cittadino del mondo: dall'Australia al Perù per poi approdare a Roma e quindi Mazara del Vallo. Piuttosto silenzioso e schivo, è uno dei più attenti osservatori dell'umanità che la letteratura illustrata conosca. 
Un artista capace di cogliere con un solo sguardo le grandi contraddizioni, le grandi ingiustizie, le grandi occasioni perdute dell'umanità. E restituirle in pochi tratti di matita e carboncino. 


I suoi pochi libri che sono approdati, o che sono stati concepiti, in Italia lo testimoniano. Dall'Isola a Mediterraneo Greder è capace di costruire storie così tanto significative - spesso in assoluto silenzio - che hanno la forza del mito. Veri paradigmi dal valore, oserei dire, archetipico. 
Se finora le storie che ha concepito hanno avuto il merito di incrinare le nostre sicurezze, hanno lavorato dentro le nostre coscienze come tarli, adesso il salto che compie richiede da parte del lettore uno sforzo ancora ulteriore. Fino a oggi, per quanto ispirate alla realtà, le storie che ha concepito - per quanto urticanti possano essere per il nostro quieto vivere - sono pur sempre storie. Ossia lasciano nel loro essere frutto di invenzione, uno spiraglio alla speranza, lanciano una corda perché le nostre coscienze, le nostre cattive coscienze, abbiano la possibilità di restare a galla. Fino a oggi. 
Ma con Notiziario il gioco si fa ancora più duro. 
Greder ha capito che la realtà è più forte e dirompente di ogni qualsiasi storia, per magnifica e significativa che sia. 
E così lui decide di fare - quanto meno in apparenza - un passo indietro. Non inventa nulla, non scrive neanche un rigo. Si limita - si fa per dire - a cercare intorno a sé qualcosa che se messo nella giusta posizione, possa rivelarsi cento volte più esplosivo, più detonante nella testa del lettore. 
Di rado capita di non sentirsi colpiti dalle grandi idee di Armin Greder. E questa credo la si possa considerare una delle sue migliori. Mai le sue parole lasciano indifferenti. Anche quando, in effetti, le parole non sono neanche sue, come in questo caso.


Eppure. Qui tutto stride, fa scintille. E accade con più nitore delle volte precedenti perché le storie sono storie vere, verissime. Su un unico pianeta abitato da un unico genere umano coesistono contraddizioni così violente che è difficile, doloroso, quasi insopportabile, vederle vicine. 
Eppure. Si arriva in fondo, stremati. Ma si arriva. 
E questa è la grande capacità di Greder di tenere accesa la l'attenzione della nostra coscienza. Così come le sue figure sempre un po' mostruose, talvolta lascive (sorta di specchio di una loro bruttura interiore), al pari di quelle soccombenti, altrettanto deformate dalla povertà, dalla fatica, dalla guerra, entrano prepotenti nel nostro immaginario e diventano all'istante icone e simboli, altrettanto si fanno indelebili le notizie che ne sono alla base. 
Al contrario di un notiziario sentito alla radio o alla televisione, di fronte al quale si resta distratti il più delle volte e ci si comporta come se si fosse anestetizzati nei confronti del male, il Notiziario di Greder, nel suo preciso movimento alternato, tra la ricchezza e la povertà, tra chi sfrutta e chi è sfruttato, tra chi vince e chi perde, tra chi se la gode e chi soffre, tra chi è obeso e chi è denutrito, tra un emisfero opulento e uno affamato, genera quel qualcosa a cui si alludeva in principio: la frizione, il contrasto, la contraddizione. 


Diceva bene Milton Glaser quando sosteneva che per accendere l'attenzione del nostro cervello occorre mettergli davanti qualcosa di ambiguo, di difforme, di atipico. Solo così nasce il desiderio di mettersi in allerta, di mettersi in mezzo alle due pagine e cominciare a pensare.
E se poi questa difformità è fatta di realtà nuda e cruda il libro diventa indimenticabile. 
E così è.

Carla