venerdì 6 dicembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TROVARE IL MODO 

I serpenti non fanno rumore, Lucia Carlini 
Kite Edizioni 2024 


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni) 

"Nessuno si era accorto che fosse arrivato. 
Lui era già lì, chissà da quanto. 
La notizia era su tutti i giornali. 
UN SERPENTE DIVORA OGNI COSA 
Un serpente mangia. Cosa ci sarà di così sconcertante? 
Non sarebbe affatto strano se il serpente non fosse stato tanto lungo da non vederne neppure la testa o la coda. Tanto lungo da essere in due paesi contemporaneamente. 
La gente era terrorizzata, non usciva più di casa." 

Dato che i serpenti quando si muovono non fanno quasi rumore, nessuno ne aveva percepito l'arrivo. Chissà, magari era lì da un bel po'. 
Ma adesso tutti si erano accorti della sua presenza e nulla era più come prima. 
Del serpente si parlava in continuazione: si facevano ipotesi sulla sua forma, sulle sue dimensioni sulla sua pericolosità. Alcuni raccontavano strane leggende su di lui: se ci sali sopra, dopo non potrai più scendere, tuttavia il panorama che si sarebbe goduto da lassù sarebbe stato magnifico... 


Nessuno osava toccarlo e se uno lo incontrava, abbassava lo sguardo e cambiava strada. 
Una cosa era certa: nel vederlo la prima volta constatavi che era sempre diverso da come te lo avevano raccontato. Ma se da un lato, lo si temeva e gli si imputavano le sparizioni di mandrie e persone, dall'altra il serpente era diventato un piacevole e sempre fecondo motivo di conversazione. 
Cresceva il serpente e crescevano le congetture su di lui. Lui era silenzioso, ma intorno c'era un gran chiasso.
Il serpente diventò una piccola ossessione, a tal punto che tutto cominciò a ispirarsi alle sue sembianze: dalla pasta alle grandi tele al museo di arte contemporanea. 


Certo, è un fatto che la forma del serpente, così lungo che non si vede la testa e tanto meno la coda, sia di per sé divisiva: c'è un al di qua e un al di là del suo sinuoso corpo. Ed è altrettanto certo che se ci si divide lo si fa perché ci si sente incompatibilmente diversi. Da una parte chi lo adora e dall'altra chi lo teme. 
Tuttavia, tutto questo gran parlare della scomoda presenza, così come era cresciuto nel tempo, lentamente andò perdendo di attualità e importanza e le persone ricominciarono a occuparsi dei fatti loro: spesa, ufficio postale, un gelato, un viaggio. 


Il gran parlare di qualcosa che preoccupa, che inquieta fa così, un po' come i serpenti, arriva e se ne va di soppiatto. Ma di sicuro, divide. 

Per poter ragionare sulle grandi questioni è cosa buona e giusta trovare per loro una buona metafora che le rappresenti, che le trasformi in una storia, in un'immagine, in un simbolo che tutti possano riconoscere. 
Lucia Carlini lo fa. 
Per ragioni diverse da questo libro in particolare, mi è capitato di riflettere con insegnanti ed educatori su quanto si possa dire in un libro per bambini e, una volta stabilito che non ci debbano essere grandi omissioni, ci si è interrogati su quali possano essere i linguaggi più efficaci e utili per discutere di questi argomenti, diciamo così 'scomodi'. 
Insomma, mi pare sia emersa almeno tra chi ha voglia di assumersi la responsabilità di educare, l'esigenza di non mettere troppi paletti intorno alle cose che ci mettono in crisi e ci fanno traballare, ma piuttosto che sia più saggio trovare il giusto modo per discuterne assieme: grandi e piccoli. 
E così, inevitabilmente, torno al punto di partenza: trovare il modo. 
Quello di Lucia Carlini mi pare efficace. 
Già un paio di anni fa aveva messo sulla pagina una questione bella grossa, le cose e il loro possesso, L'importanza delle cose. Lì tutto era partito da un paio di scarpe che la scimmia smarrisce. 
Ma se in quel caso a non convincermi del tutto fu il suo metterci troppe cose diverse intorno a quelle scarpe introvabili, e quindi appesantire il procedere verso una soluzione univoca, qui - con la presenza di questo corpaccione fermo e ingombrante del serpente - le cose sono andate altrimenti. 


Qui mi pare che Lucia Carlini si sia presa tutto il tempo per osservare e non perdere mai di vista la questione centrale, pur considerando tutte le possibili direzioni che il ragionamento potrebbe fare. 
Ma sopratutto in I serpenti non fanno rumore - ed è questo a convincere me - mi pare manchi del tutto la soluzione, una risposta univoca. 
Lucia Carlini si guarda intorno, constata, registra e poi immagina che forma dare a ciò che vede: un serpente diventa la sua grande metafora di quando un intero sistema entra in difficoltà. 


Ma, con coraggio, si ferma e tace al momento giusto, un attimo prima del confine al di là del quale c'è il giudizio, verso il troppo consueto e richiesto arrivare a una morale, un insegnamento, una soluzione. 
Brava, non tutti ne sarebbero stati capaci. 

Carla

mercoledì 4 dicembre 2024

UNO SGARDO DAL PONTE (libri a confronto)

ASCOLTATE CON GLI OCCHI 

Avete mai guardato un video senza audio? 
Potrebbe sembrare una richiesta strana, ma provate…silenziate il ballerino, abbassate a zero l’orchestra, chiudete l’audio lasciando il batterista suonare. 
Guardate, guardate soltanto. Non accadrà subito. Voi però abbiate pazienza, permettete al cervello di mettersi in moto, di recuperare ciò che sa per compensare quel dato che tanto vi ora manca: il suono. Lasciate che arrivi…ascoltate! 
Il gradiente sonoro delle immagini, ovvero tutti quegli elementi rilevabili dagli occhi che hanno la potenzialità di descrivere visivamente quello che percepiamo con l’udito, viene ampiamente sfruttato nei libri dei piccolissimi. 
Prendiamo ad esempio, quel piccolo capolavoro di interdipendenza suono/immagine: L’uccellino fa…
La sua struttura è apparentemente semplice: sulla pagina di destra – immediatamente visibile - un’immagine con altissimo gradiente sonoro…


sulla pagina di sinistra la descrizione letterale del suono, fatta con quel particolare segno che è la scrittura… 

In copertina sta il detonatore, la richiesta che bambini e bambine sentono porre almeno una volta nella vita: 


Segue una carrellata copiosa di figure: ognuna si impone allo sguardo come una domanda la cui risposta è un suono, un verso, un rumore. Se il collegamento non è immediato, il testo fornisce lo spunto per un piccolo ampliamento di indagine con cui connettere ciò che non sembra immediatamente riferito ad un suono a un elemento che sta immediatamente nelle vicinanze, e che invece risuona…


Compreso il gioco però, ben presto il testo può essere by-passato, ed è possibile lasciarsi andare alla riesumazione attiva del rumore rappreso nell’immagine, in un accumulo progressivo che scava, con divertimento e sorpresa, attorno all’esperienza simultanea di osservazione e riproduzione. Si può individuare così un tracciato esperienziale da osservare per capire come deve essere accaduto, che abbiamo intrappolato il suono nelle lettere, nelle note…deve essere stato su una strada lastricata di sublimi sinestesie che si è intrecciato il doppio legame tra un segno muto e un suono senza corpo. 


L’uccellino fa… è infatti una sorta di abbecedario portato all’ennesima potenza, che insiste figura dopo figura sull’analisi attenta delle combinazioni sonore necessarie al successivo sviluppo della parola. Esso precede il meccanismo della lettura, e affonda le radici, per il suo funzionamento, in un territorio di corrispondenze antico, nell’infinito repertorio di lallazioni che trovano proprio nei versi degli animali – anche quelli mai visti o sentiti dal vivo – terreno fertile per una restituzione piena e viscerale dell’informazione contenuta nell’immagine. Qui hanno proliferato le filastrocche, le ninne nanne, le onomatopee. Le immagini contengono suoni e rumori facilmente riproducibili: si attinge al conosciuto, e anche se nella regia di Soledad Bravi non mancano l’ironia e le sorprese, con immagini enigmatiche e interlocutorie che si dispongono a diverse chiavi di interpretazione, è lì che si scava: nel domestico, nel familiare, nel culturalmente codificato. 



Non riesco mai a non meravigliarmi della potenza intrinseca che questo piccolo albo dalle forme compatte possiede di far deragliare i propri lettori, frantumando la barriera silenziosa che ci separa dalle immagini per legittimare la capacità spontanea di relazionarsi con gli elementi “sonori” dell’immagine per fare rumori. Tuttavia, se apparentemente questo gioco sviluppa un movimento dal dentro al fuori, stimolando rumorosissime letture condivise, esso paradossalmente irrobustisce la relazione interna di corrispondenza segreta tra immagine e suono. Queste immagini – con la loro preminenza solida, la semplicità del tratto, la prossimità piatta al simbolico e al rappresentativo - effettuano sulla questione dinamica e fisicamente estemporanea della vibrazione – che è onda, movimento, percezione immediata e a tutto tondo – quell’incantesimo di sparizione e assorbimento che in un passo successivo condurrà al grafema. Tocca poi a noi ravvivare, gonfiare… permettere all’immagine di risuonare per poter ascoltare – letteralmente – con gli occhi, ed è questo che accade nell’albo SDENG BUM SPLASH! Il grande libro dei rumori.


Si tratta di una tesi di laurea sull’interdipendenza tra l’immagine e il suono, un’indagine quindi approfondita a proposito di quegli elementi grafici e visivi che possono essere sfruttati per trasferire nel visivo ciò che entra dalle orecchie, ma anche al contrario, che dal visivo restituiscono l’elemento sonoro. Nell’introduzione l’autore usa parole semplici (le uniche che incontreremo per un albo che tuttavia è improprio definire silente) per circoscrivere il cuore della questione: “ Riesci a sentire quello che vedi? Sono tutte cose che avrai sentito da qualche parte… qui però, in via eccezionale, i suoni arrivano alla tua testa non attraverso le orecchie, attraverso gli occhi…” Che l’asticella dell’indagine proposta si alzi di molto lo si capisce a partire dai soggetti rappresentati: un cavallino al trotto e una pallina da ping-pong fatta saltare sulla racchetta, una gru che distrugge un palazzo e il cucchiaino che rompe il guscio di un uovo alla coque… 



Per mettere il lettore nelle condizioni di recuperare quei rumori che spesso nemmeno sa di aver ascoltato e incamerato, Benjamin Gottwald procede ordinatamente attraverso l’accumulo di abbinamenti contrapposti che giocano con l’interdipendenza di tutti i sensi, con narrazioni e piccole sequenze che permettono di mettere a fuoco il gradiente sonoro anche minimo contenuto nelle immagini. 



Vengono accostate situazioni analoghe per permettere l’individuazione di timbri simili, oppure, si favorisce la ricostruzione procedendo per contrasto di volume, con ampio utilizzo delle espressioni del viso e delle linee cinetiche di provenienza fumettistica, facendo grande affidamento sui movimenti delle persone – e quante ce ne sono! – e delle cose… 



di sinestesia per sinestesia, si va a ripescare il dato sonoro che abbiamo vissuto e sistematicamente eluso da un ascolto consapevole, nell’l’esperienza di tutti gli altri sensi.
 


Il Grande libro dei rumori è veramente grande. Per ascoltarlo non ci si può limitare a un riflesso condizionato, è necessario osservare, osservare meglio, recuperare, ricostruire, compensare utilizzando una memoria a cui non si ricorre consapevolmente ma che è sempre a disposizione per rendere tridimensionale l’esperienza del mondo: i suoni che abbiamo ascoltato, quelli che ci hanno attraversato senza che ce ne siamo accorti, le mille voci del mondo che ci avvolgono incessantemente, le loro caratteristiche qualitative, estetiche, emotive… 



SDENG BUM SPLASH! ribalta la gerarchia consueta e fa dell’immagine un vettore capace di sviluppare una abilità di ascolto rinnovata, improvvisamente pronta a captare tutto il flusso informativo che, anche nelle illustrazioni e nelle figure, costantemente investe le nostre orecchie e a cui spesso, proprio per la sua onnipresenza a 360 gradi, è difficile prestare la dovuta attenzione. Questo albo chiede tempo per consentire l’emersione della memoria sonora e farne conoscenza, chiede tempo affinché ci si accorga che quella che sembra una semplice esperienza di lettura è in realtà una nuova capacità di ascolto, una esperienza che non si esaurisce tra le pagine, ma continua fuori, nella realtà, con la recuperata consapevolezza di una percezione sonora improvvisamente riattivata…



E se è vero come è vero che la capienza dell’ascolto è fatta dall’ascoltatore, allora dopo la lettura di questi albi il mondo intorno a noi sarà più grande. E ora ditemi…avete poi provato a guardare quel video? 

Giorgia

 “L’uccellino fa…” Soledad Bravi, (trad. Federica Rocca), Babalibri 2005
“Sdeng Bum, Splash! Il grande libro dei rumori” Benjamin Gottwald, Terre di mezzo 2022


lunedì 2 dicembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TANTO RUMORE PER NULLA 

Il Natale sono io!, Olivier Tallec (trad. Tommaso Gurrieri) 
Edizioni Clichy 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Abele l'abete pensa che non vorrebbe crescere qui, all'ombra di centinaia di alberi sinistri, che lo terrorizzano. 
Ha ambizioni un po' diverse dal diventare un armadio. 
E tra l'altro non gli piacciono quei mobili commerciali, costruiti in serie. 
Lui sogna luci e colori. Se solo potesse sentire i suoi rami piegarsi sotto il peso degli addobbi e avere un'enorme stella in cima alla testa... 
Perché Abele ha un unico sogno: diventare un albero di Natale." 

Parafrasando il motto di Luigi XIV, l'etat c'est moi (!), questo piccolo abete, di nome Abele (!) cerca di dare una svolta alla sua carriera di albero: di certo non ha le fisique du role e nemmeno la predisposizione d'animo per diventare un mobile componibile Ikea. Non è neppure credibile che voglia finire come fiammifero, o peggio ancora come bara... 
Abele sogna altro. Già si vede con lucine, decorazioni laccate, una stella sulla testa e nastri colorati che pendono dai suoi rametti, essere il centro dell'attenzione durante la festa più importante dell'anno, almeno nel mondo occidentale... 
Questo suo progetto cozza con la circostanza di essere piantato in un terreno in mezzo a tanti altri abeti come lui. Spostarsi potrebbe sembrare un problema oggettivo, visto che lui è albero, ma in verità con un buon lavoro di scavo delle proprie giovani radici con i rami più lunghi e più bassi, anche quel vincolo si supera. 
Il problema, semmai, viene dopo, quando il natale gli sfreccia letteralmente sotto gli aghi... 

Ho giurato a me stessa che non avrei scritto una riga su libri esplicitamente natalizi prima dell'arrivo di dicembre. Lo considero immorale. 
Questo albo che dell'intero circo natalizio mette a fuoco un solo aspetto, il desiderio di un abete sognatore, è un altro di quei preziosi racconti che Tallec offre ai suoi numerosi e affezionati estimatori. 


A parte lo sguardo affettuoso che dimostra nei confronti dell'abete Abele (!), a parte la qualità del disegno,Tallec fa succedere un altro paio di cose interessanti, anzi tre: da una parte piega la realtà a suo uso e consumo, dall'altro mette fra le righe un suo preciso punto di vista sul natale e sul modo frettoloso e meccanico in cui lo celebriamo, ma accende anche una lucina sulla questione dell'autodeterminazione (di un abete). Cose, queste che mi paiono interessanti a prescindere. Terza cosa: Tallec, come molti altri buoni autori di storie per bambini, non disdegna affatto il piacere di rivolgersi anche ai grandi, quando scrive e disegna. 
Qui come altrove si percepisce la sua volontà di parlare (complice anche il suo sapido traduttore), sia ai suoi lettori sotto il metro e quaranta sia a quelli sopra detta misura. 
Credo dipenda dal fatto che Tallec, come molti altri, quando scrive, scrive. Punto. Non pensando troppo ossessivamente all'età dei propri lettori. 
Torniamo al punto uno: piegare la realtà verso l'assurdo. A parte il gioco di dare a ciascun abete naso e occhi - l'antropomorfizzazione è cosa diffusa nelle illustrazioni dei libri per bambini - Tallec fa un passetto in più. 


Concede ad Abele un know-how non comune per un abete: quello di sradicarsi, come se nulla fosse. L'idea di crescere in mezzo ai suoi simili già adulti, con un futuro prestabilito, proprio non gli piace, quindi Tallec gli affida il superpotere di sradicarsi e di camminare, e poi di correre verso il suo nuovo destino. Perché questa è un po' la questione che attraversa l'intero racconto... In questo scarto totalmente assurdo però non perde l'occasione di disegnare le cose come "dovrebbero essere", ovvero se si osservano le gambette di Abele si noterà un certo irsutismo, dato dalle piccole radicette, ora all'aria. 
Tacerò sulla pallina rossa, e il suo ruolo di oggetto transizionale. 
Il secondo pregio del libro sta appunto nelle due questioni intorno a cui il racconto ruota. La prima ragiona sulle aspettative personali. In questo caso, contrariamente all'abete di Andersen, Abele riesce nel suo obiettivo, con la complicità del suo illustratore, tuttavia la cosa che gli preme è poter scegliere di non crescere come un pollo di batteria, ma godersi il suo momento di unicità e celebrità. 


A onor del vero, con l'abete di Andersen condivide anche un certo senso di insoddisfazione. 
L'abete di Tallec, nello specifico, è molto deluso nei confronti del tanto decantato natale. Tanto rumore per nulla! 
Tuttavia, rispetto al suo più famoso predecessore, il finale che lo aspetta è molto meno lacrimevole. 
 A meno che non si tratti di lacrime dal troppo ridere. 

Carla

venerdì 29 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN CORPICINO FORZUTO

Qualcuno mi aspetta dietro la neve, Timothée De Fombelle, Thomas Campi
(trad. Maria Bastanzetti) 
Terre di Mezzo 2024 


 NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"La maggior parte delle rondini non conosce nient'altro dell'umanità, delle sue tragedie e della sua bellezza, che queste minuscole sagome, laggiù in basso, che si credono grandi sulla terra ma non superano il più piccolo dei loro alberi. 
Perché non bisogna idealizzare gli uccelli. Al di là della passione del volo che dà vita alla loro anima e alla loro poesia, le rondini si occupano unicamente di sé stesse. Ci sono solo tre punti cardinali nel minuscolo triangolo della loro testa: il nido, i piccoli, la sopravvivenza. 
Gloria, lei non aveva niente di tutto ciò.

E infatti in quella vigilia di Natale lei non era al caldo con le altre sulla linea dell'Equatore. No, lei stava volando in direzione opposta e contraria. Verso Nord: Francia. Come le altre, che lo fanno ogni autunno e ogni primavera ma in senso inverso, a guidarla c'era l'istinto e non altro. 
Sotto di lei c'è anche qualcun altro che sta viaggiando in direzione Nord, Inghilterra. Un furgoncino della ditta Pepino & Schultz, gelati italiani. 


Un messaggio laconico sul telefono di chi ne è alla guida lo informa che la consegna è stata annullata. 
In cielo c'è Gloria, la rondine. E sotto di lei c'è Freddy D'Angelo, il fattorino che sta trasportando, in quella nevosa vigilia di Natale, gelati di qualità. 
Freddy, francese nonostante quel cognome, lavora da più di trent'anni per Pepino & Schultz, famosa ditta, ora in disarmo. Ha appena saputo che la sua consegna è rinviata a dopo Natale. Ormai è notte, fa freddo e casa non è lontana: l'unica cosa da fare e arrivarci, mettere in garage il furgoncino, e cenare. 
Da solo, come sempre. 
Gloria, la rondine, invece è lì che vola. Stremata, infreddolita, ma caparbia. 
Lei si è guadagnata questo nome - di solito le rondini non hanno nome - perché anni prima, abbagliata dalla lucentezza di un vetro, ci si era schiantata contro e un ragazzino l'aveva trovata e salvata. In fin di vita, lui l'aveva raccolta e curata, mettendola in una scatola del latte Gloria, che per tutto il tempo fu il suo nido sicuro. 
Questa è la storia di questa rondine che vola contro corrente, di questo trasportatore solitario e anche di qualcun altro. E del loro magnifico incontro. 

Capita, di solito nel tempo che precede il natale, che un libro di piccolo formato, contenente un unico racconto di un grande autore, mi commuova fino alle lacrime. 
Ben inteso la commozione non è solo da imputare al tema dei racconti che contengono, quanto anche alla loro perfetta bellezza. 
Nel 2022 fu la volta di Morris di Bart Moeyaert.
Nel 2024 è Timothée De Fombelle a colpire nel profondo. 
Grande costruttore di trame, nei suoi libri lunghi, da Vango a Alma del vento, passando per Tobia, qui decide di costruire un minuscolo meccanismo narrativo, assolutamente perfetto. Non un granello in più, o fuori posto. Tutto torna con matematica esattezza. 
Non un giochino, ma un corpicino forzuto e sodo come un romanzo. 
E come succede? 
E' un po' un paradosso: quella bella lingua universale, alla quale De Fombelle ci ha abituato, qui è centellinata. E' il silenzio, a parlare. Sono così tante le cose non dette che però baluginano tra le parole, che il lettore che nei libri va cercando qualcosa che non sa, qualcosa che non sta in evidenza sul piatto della pagina, qui ha di che saziarsi. 
A parte i due fili narrativi, quello che racconta della rondine e quello che racconta del corriere, a parte 'la quadratura del cerchio finale' su cui si può solo tacere, sono molti altri quelli che illuminano con lo scopo di dare quella profondità di visione, che un buon libro deve avere con sé. Per essere ancora più chiari forse ha senso entrare nel merito, almeno in due casi, quello di Freddy D'Angelo e quello di Gloria. Anche i loro nomi hanno un senso...
 

Chi sia quell'omino, quale la sua storia, lo si apprende in due modi, entrambi efficaci. Da un lato, le magnifiche tavole di Thomas Campi: quel camioncino Citroën tenuto bene nonostante l'età che attraversa le Alpi e sbuca dalle gallerie; la gran nevicata nella cittadina sulla A26; la casa in penombra; il garage tutto ordinato, illuminato con la torcia; un primissimo piano - l'unico. 
E dall'altra una sequenza di piccoli dettagli che De Fombelle semina qui e là: una musicassetta di Frank Sinatra, sempre la stessa per molte stagioni; la guerriglia intorno al Tunnel; il neon della cucina di casa che sfarfalla; gli incontri, venti minuti al massimo, con Emilia, la donna del deposito di gelati a Genova, abbracciata al suo quaderno; e poi il cameriere francese in un caffè londinese, le canne da pesca, gli ami del dodici; la cassetta degli attrezzi sul sedile... 


Chi sia quella rondine, lo si apprende negli stessi due modi, entrambi efficaci: Thomas Campi con le sue panoramiche dall'alto: un mare di sabbia, un mare in tempesta, uno scuro e uno chiaro, ma entrambi abitati. Sono i luoghi che la rondine sorvola. 
Dall'altro, ancora dettagli, accenni. Campi di battaglia, edifici bruciati e cortei nuziali; una manica della camicia, la sinistra, cucita; la porta di un garage che si chiude... 


Et voilà. 

Carla

mercoledì 27 novembre 2024

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

GATTO, SONO STATO BRAVISSIMO! DISSE TOPO 


 -Ma?! 
-TOPO! -Si, Gatto? 
-Cos'è questo? 
-Sembrerebbe un vaso di biscotti rotto. 
-Lo so che è un vaso di biscotti rotto! Cos'è successo? Dove sono i biscotti? 
-Ottime domande, Gatto. 
 Adesso ti spiego... 

 



Due personaggi, tra i più classici della letteratura per bambini: un gatto e un topo, e un misfatto, ossia un vaso rotto e dei biscotti spariti. 
Partiamo da una constatazione evidente, quella davanti alla quale si trova Gatto che, entrato in camera, vede del suo vaso in vetro solo i cocci in terra, e nessuna traccia dei biscotti contenuti. Gatto arriva e urla il nome del topo, Topo appunto, perché non ci vuole molto a immaginare che sia lui l'autore della sparizione e del danno. 
Il campo si allarga e accanto al felino giustamente adirato troviamo un topo in atteggiamento tutt'altro che preoccupato: seduto comodamente in poltrona, il topo si gode il suo libro, accanto a lui un tavolino con acqua e piattino. Placidamente risponde al gatto che lo ha chiamato, cosa può volere questo “simpatico” seccatore? Di fronte alla domanda ovvia che il gatto gli rivolge, il topo, che sembra stupito, risponde con grandissima disinvoltura raccontando una propria, singolare versione dei fatti: pare che i biscotti fossero stanchi di rimanere costretti in un vaso e abbiano cominciato a muoversi, provocando la caduta del vaso che, una volta rotto gli ha permesso di fuggire. 


Di fronte all'irritazione di Gatto, Topo rilancerà con una, due, tre altre versioni dei fatti, una più bizzarra dell'altra, provocando un crescendo di irritazione dell'altro, che si sente preso in giro. La conclusione sovvertirà ogni previsione, perché sebbene al lettore possa apparire da subito chiaro che Topo sta bleffando, non è altrettanto chiaro come Gatto pensi di risolvere il problema e rivendicare il furto che ha subito.
Il finale che qui non rivelo, pena la perdita di sorpresa, è quello che conferisce al discorso il suo senso compiuto e che permette di inquadrare questa divertente storia nel novero delle riflessioni del significato stesso del narrare. 
Partiamo dalla considerazione dei due personaggi. 
Non a caso Ruzzier ha scelto un gatto e un topo, infatti chi legge la storia, per quanto giovane possa essere, si trova davanti prima ancora che due animali, due soggetti fortemente simbolici: uno grande, il predatore, l'altro piccolo, la preda, che da sempre ha cercato di guadagnarsi la salvezza facendo leva sulla scaltrezza e l'astuzia. Possiamo risalire fino ad Esopo e alle sue favole per incontrare gatti e topi alle prese con la lotta alla sopravvivenza e anche in quel caso la piccola potenziale preda deve fare affidamento sulle sue doti intellettive se vuole salva la vita. Il gatto, d'altro canto, può contare su una mole e una forza maggiore ma, in questa come in tutti i racconti tradizionali, non è detto che risulti necessariamente il vincitore, come a dire che se la natura ti ha dotato di un iniziale vantaggio, non devi comunque dare per scontato che questo ti permetta di primeggiare. 


Gatto in questa storia veste i panni di una figura genitoriale, adulta, sono suoi i biscotti e il barattolo; e come un adulto quando smaschera una marachella esige una spiegazione anche quando si trova davanti all'evidenza dei fatti, salvo poi arrabbiarsi se il racconto fornito non risulta corrispondente alla propria ipotesi. 
Topo veste i panni del bambino, forza eversiva e poco incline al controllo per natura, mangia i biscotti per il solo fatto di averne voglia e trova assolutamente naturale farlo. Eppure sa che Gatto non sarebbe d'accordo e che per questo potrebbe punirlo, allora utilizza quell'unica risorsa che potrebbe mettere in difficoltà l'adulto pedante e razionale: l'immaginazione. 
Scombinare le carte, chiamare in causa le situazioni e i personaggi più assurdi, perché in questo modo ciò che è già chiaro e innegabile possa apparire contestabile. E in ognuna delle messe in scena di Topo quello che stupisce è l'atteggiamento che assume: perfettamente nei panni di un diligente bambino che segue gli insegnamenti degli adulti, ogni volta accoglie le richieste dei bizzarri personaggi come la buona educazione richiede e mai si sognerebbe di comportarsi in modo sgarbato, perché in fondo ci hanno insegnato che bisogna essere gentili e dunque non si può negare un biscotto a un insettino o il carburante a un extraterrestre di nome Giuseppina con l'astrononave a secco. Topo, oltre che incredibile inventore, si rivela raffinato interprete parodico che mette discretamente alla gogna certi precetti buonisti che il mondo adulto impartire da sempre al mondo infantile. 
Le versioni dei fatti messe in tavola da Topo sono solo quattro e questo è davvero un peccato, perché ne vorremmo ascoltare ancora e perché sarebbe bello se i personaggi che popolano queste storie fossero veri; è questo di fatto il desiderio che chiude il racconto, il non detto che viene consegnato al lettore, preferibilmente bambino, preferibilmente dai 3 anni in su, che si diverta anche lui a prendere in giro Gatto e immaginare cosa altro possa aver causato la scomparsa di quei biscotti e la rottura di quel vaso! 


Il racconto verbale viene affidato unicamente alla forma dialogica, nessuna narrazione a corredo di un botta e risposta sintetico ed efficace. Per il resto sono le immagini che completano l'ambientazione in cui si muovono i due protagonisti. Gatto e Topo abitano in una casa che sembrerebbe ricca, a giudicare dal pavimento e dai quei pochi elementi di arredo che vediamo nelle prime scene, un tavolino di gusto aristocratico, una sedia papalina sulla quale è accomodato Topo. Eppure, nonostante questi elementi di arredo siano realizzati con dovizia di particolari, in un contesto completamente vuoto restituiscono una sensazione straniante, come se fossero pezzi ultimi di un passato sfarzoso e non più esistente, o come se fossero oggetti sospesi in un luogo altro e comparsi solo in quanto funzionali alla narrazione. 
D'altro canto, l'esterno dell'abitazione che vediamo nelle illustrazioni successive non è affatto quello di una casa di lusso e anche i colori caldi e non realistici del paesaggio restituiscono un universo decisamente surreale in cui persino le porzioni di natura, colline, vallate e monti, si piegano a esigenze narrative. Se nella stanza dove ci troviamo all'inizio della storia incontriamo per la prima volta Gatto e la sua pretesa di avere la versione “vera” dei fatti può sembrare plausibile e condivisibile, man mano che procediamo con la lettura e l'immersione in quel contesto immaginifico, quella richiesta perde progressivamente legittimità e il fulcro della questione si sposta dal piano binario del vero/falso a quello cangiante e imprevedibile dell'invenzione. I luoghi esterni e interni che Ruzzier costruisce per mezzo di larghe e leggerissime pennellate di acquerello e china compongono la scena unica dove può plausibilmente abitare la storia, intesa non come ricostruzione dei fatti aderente al vero, ma come prodotto dell'elaborazione fantastica che intrattiene con il reale un rapporto non servile, ma solo accessorio. E quindi non può che essere Topo l'inquilino eletto di questi luoghi, lui e i biscotti fuggiti, il mostro viscido e l'extraterrestre Giuseppina. E Gatto avrà accesso a questo mondo solo quando accetterà le condizioni di Topo. 

Teodosia 

"La storia vera", Sergio Ruzzier, trad. Sergio Ruzzier, Topipittori 2024 


lunedì 25 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LAVORARE CON DESTREZZA 

Quando la sera la luna ci parla, Nicola Cinquetti, Alessandro Sanna 
Lapis Edizioni 2024 


POESIA ILLUSTRATA 

"A me sembra molto strano 
e lo voglio dire piano 
ma per essere sincero 
devo dire che davvero 
sei capace di cantare 
anche se non sai volare 
e rimani fisso al suolo 
disse all’uomo l’usignolo" 

Partirei da qui per questa raccolta di poesie di Nicola Cinquetti. 
Perché la cosa che viene in mente leggendo questa poesia è: ma guarda, quel signore allampanato, accanto alla sua bici, con lo sguardo rivolto all'usignolo che di cantare se ne intende, potrebbe ben essere il Cinquetti... 
Certo, volare non sa, ma a cantare ci riesce, eccome. 
E non credo sfugga a nessuno che in ogni poesia ci sia un canto (come forse anche in ogni canzone c'è un po' di poesia). 
La difficoltà di mettere parole intorno ai libri con i versi dentro ogni volta rinforza il pensiero che la poesia andrebbe letta e punto. 
Tutto quello che essa provoca sarebbe meglio non disturbarlo, circoscriverlo in un discorso. Ma tant'è. 
Varie cose saltano subito agli occhi: l'armonia tra testo e immagine, la qualità alta di entrambi i linguaggi, il gusto per il gioco, il jonglage, che da una parte fa Cinquetti e dall'altra fa Sanna. 
Con le parole innanzi tutto, ma anche con la fantasmagoria delle immagini. E non sto alludendo solo alle tavole di Sanna... 


Partiamo da ciò che è scritto. 
Cinquetti gioca - giocola - con le parole con il loro suono principalmente. 
Per questo a ogni nuova poesia non sai cosa aspettarti. Dal gioco sul verso di un gallo fino alla protesta di una pianta nei confronti di un piede, o meglio della sua pianta... "

"Piantala peste 
disse la pianta 
alla pianta del piede 
che non la piantava 
di pestarle i pistilli" 

Subito dopo il registro cambia e si continua con molto più senso della realtà a ragionare di suono e silenzio: il continuo rumore, un vero disturbo per l'orecchio in cerca di quiete, dei tanti elettrodomestici che tacciono tutti all'istante quando manca la corrente. 


E se qui Cinquetti è serio, sta a Sanna giocolare: inventare con destrezza una figura per illustrare l'impossibile, il silenzio, con un omino che attraversa in bicicletta una città avvolta nel buio. Solo un fanale e forse il ronzio della pedalata. 
E ancora si può leggere di un giro giro tondo che si trasforma in un giro giro tordo con lo scopo di diventare una condivisibile protesta nei confronti degli spari di un fucile, dal suono simile a un petardo, a causa forse di un ritardo, mancano il bersaglio, o forse era un abbaglio? Ma la cosa bella da sapere è che nessuno finisce giù per terra! Perfetto. 
Accanto al gioco delle parole e dei suoni che si trasformano nelle sue mani, Cinquetti è lì che si trastulla con l'altra grande fonte della poesia: la metafora. E quindi diventa qualcosa di ancora diverso: non più divertente, ma stupefacente ed emozionante. Ci si meraviglia e poi ci si emoziona, a sentire di parole che sono lì a tappare le orecchie di chi non vuol vedere una stagione finire, e non vuole neanche sentire il suono del tuono nell'autunno che arriva. 


Ci si emoziona a guardare quel ragazzino al suo ultimo tiro in porta della stagione: sono già andati via tutti, solo il cane a parare... e un uccello a guardare. 
Ed ecco che finiamo con ciò che è disegnato: i versi si sono fatti immagine per le orecchie e intorno l'altra l'immagine, quella visiva, si è fatta figura per lo sguardo. 
Spesso e volentieri inaspettata e potente, come l'acqua che la attraversa. Inaspettata e potente come sono le metafore, appunto. 
Sanna, nel momento in cui è lì davanti al bianco e deve decidere come far muovere i suoi pennelli, dove dirigere il colore, immagina i soggetti e immagina le forme, fa capriole e salti mortali col senso delle parole e per poi atterrare sulla pagina, sicuro e, come spesso credo vada cercando, meravigliato di sé stesso. 
E quindi bravo sempre, ma grandioso qui: 


 Che noia, se non fosse così.

Carla

venerdì 22 novembre 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN BUONAFFARE

Le piccole astuzie
, Deborah Ellis (trad. Federico Taibi) 
La nuova frontiera junior 2024 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"'Posso usare il vecchio capanno per una nuova attività?' 
'Vorrai dire se puoi affittare il vecchio capanno' replica la nonna. 
'Sì, sì. Affittarlo' 
'Gli darai anche una ripulita e pagherai di tasca tua le riparazioni che non riesci a fare da sola?' 
'Sì' rispondo. Penso a tutto io.' Nonna annuisce. 
'D'accordo, allora. Così mi risparmio pure la fatica di demolirlo. Che attività hai in mente?'" 

Kate, dodici anni, ha in mente di aprire un chiosco filosofico, un po' come il baracchino di Lucy Van Pelt. Grandi o piccole domande e sempre una risposta, possibilmente un po' criptica e affidata a una roulette di seconda mano e alle parole dei grandi della letteratura, della filosofia e via andare: dal Buddha a Toni Morrison. Per soli 2 dollari a quesito. 
Un'ideuzza niente male. 
Sospesa da scuola per 6 settimane, questa intraprendente e un po' rabbiosa ragazzina deve tenersi occupata. Sua nonna, allo stato attuale la sua unica severissima famiglia, le ha suggerito di mettere su una sua propria attività di pulizia dei giardini... Ma gli affari non vanno come dovrebbero: gli adulti spesso sono dei gran cialtroni con i ragazzini, E Kate lo sa bene.
Lei, che, come sua nonna, è cresciuta dovendosi un po' arrangiare, ha il pallino degli affari e ha molto ben chiaro come la vita possa essere complicata, ma pur sempre piena di opportunità se sei un po' smart e le sai cogliere. 
Sua nonna, da tre anni croce e delizia delle sue giornate, gestisce il più grande e famoso Emporio di oggetti di seconda o anche terza... mano della contea. Un dedalo di stanze, organizzatissimo e ordinatissimo! A proposito di ideuzze niente male. 
Per lei, e questo ha ben insegnato alla nipote, le seconde possibilità anche agli oggetti vanno concesse... Nel loro ménage a due, una cosa è certa: sanno bastare a sé stesse e l'organizzazione e l'ordine regnano sovrani. Con in testa il motto che nella vita è meglio non far mai nulla per nulla, le loro giornate si susseguono, rassomigliandosi sempre un po'. 
Pochi scossoni e un bel po' di faccende da sbrigare, in modo che loro vita, in particolare quella di Kate, sia molto ben regolata: lei ha i suoi compiti da svolgere e sgarrare è vietato! E così anche la sua rabbia sembra aver trovato un canale per defluire senza danni... 
Però però però in questo tran tran qualcosa cova: entrambe, in segreto, coltivano un sogno, o forse più d'uno. 
Questa è la loro storia, a volte esilarante, a volte drammatica. Spesso duramente realistica. Di certo, mai noiosa. 
Effettivamente potrebbe andare avanti così per anni tra loro. Ma invece no. 
Da un lato le loro vite solitarie non possono più di tanto ignorare il crescente brulichio del microcosmo umano che circonda la loro proprietà. E dall'altro, come se non bastasse, i loro grandi segreti vengono alla luce, il complicato passato ridiventa presente e, nonostante tutto, i sogni diventano progetti. 

Quando si dice una copertina ben fatta... 
In quell'immagine di una ragazzina appoggiata a un albero, con le braccia conserte, che guarda lo sfascio di una catapecchia, con un gatto rosso in cima, si riassume il senso più profondo che ti rimane nella testa, a libro letto. 
Tre cose principalmente mi sembrano degne di nota di Piccole astuzie
Da una parte la solidità dei personaggi, almeno dei due principali - nonna e nipote. 
La seconda cosa è l'inaspettata asprezza generale, nei fatti e nelle persone drammaticamente reali,  che attraversa la storia. 
La terza, invece, riguarda proprio la costruzione narrativa che Ellis è in grado di montare. 
La grande potenza di quella nonna e di quella nipote le rendono fin dal principio così credibili che tutto il grande bagaglio del non detto ce lo carichiamo sulle spalle senza che ci pesi non saperne nulla. 
Che cosa succede dunque? 
Che Ellis, come se avesse una torcia in mano, illumina in modo puntiforme solo ciò che vuole. Mette i suoi lettori di fatto dentro una stanza in penombra: la penombra è il misterioso antefatto, che ignoriamo quasi del tutto. Proviamo a intuire cosa si agita nella stanza, ma ci muoviamo a tentoni. 
La Ellis dà una illuminatina sulla rabbia di Kate, uno sprazzo di luce sulla severità e intransigenza della nonna. Ma noi ancora brancoliamo. E la cosa curiosa è che anche la stessa protagonista, in larga misura, brancola con noi su larga parte del contenuto della stanza: una buona porzione del passato della sua scombinata famiglia, lei la ignora. E quindi spesso è con lei che mettiamo insieme i fatti e facendolo, colleghiamo i fili per creare connessioni e senso e un po' di luce. 
Questa grande penombra e il suo venire fuori a poco a poco ha molto a che fare con l'asprezza cui si alludeva. Uno degli esiti della durezza è data dal mandato che nonna e nipote si sono reciprocamente date: il silenzio. 
Tacere, non spiegare, omettere, nascondere - il grande non detto - fa sì che ci si debba muovere nella suddetta stanza, prendendo spesso e volentieri spigoli vivi e taglienti. 
Poi, quando tutto è illuminato, si smette di prender colpi qui e là e si Ritrova l'armonia, tanto per citare il titolo dell'utile manuale che nonna e nipote hanno tirato fuori dalla libreria dell'emporio e che dagli anni Settanta insegna a gestire la rabbia. 
Insomma, va bene così che nonna e nipote abbiano quel caratteraccio: non potrebbe essere diversamente, a meno di non voler raccontare una storia melensa. Ma non mi pare che la Ellis lo abbia mai fatto.
E ancora: queste asperità degli accadimenti e del carattere dei personaggi, le loro reciproche intransigenze, le molte astuzie non solo piccole, costituiscono l'inaspettato, l'imprevedibile, l'originalità, il punto di vista non scontato in una bella storia per ragazzini e ragazzine delle medie. 
Quindi tutto è bene quel che finisce bene...

Carla

mercoledì 20 novembre 2024

FAMMI UNA DOMANDA!

COME SI CHIAMANO LE COSE 

Come si chiamano le cose è il primo gioco che i bambini fanno appena nasce in loro il linguaggio. 
“Questo cos’è?” 
“E questo?” 
“Tu sei la mamma” 
Definizione e apprendimento. 
I bambini piccoli spesso amano stilare delle liste di oggetti, alcuni bambini non dimenticano mai questo modo di codificare il mondo, tanto che anche da adulti, continuano ad amare le liste e i nomi: due di questi adulti sono Francesco Pittau e Bernadette Gervais. 
C’è anche da dire che nei paesi francofoni c’è una precisa tipologia di libri per bambini - gli imagier - che raccoglie albi che insegnano i nomi. 
Agli imagier appartiene il libro primavera estate autunno inverno di Pittau&Gervais. In realtà il titolo preciso sarebbe quello con le figure, ossia questo: 


Come un imagier da manuale esige, il libro è formato da un’immagine e dalla sua definizione. In realtà i due autori aggiungono un elemento - anche questo abbastanza comune - ossia quello temporale: parliamo delle stagioni. 
Non è facile per me affrontare questo libro che è uscito in Italia, sempre per Topipittori, la prima volta nel 2011, scomparso poi per anni e cercato invano in tutte le librerie dell’usato, riapparso per la felicità di molti nel 2024. Un libro fantastico. Ma perché? 
Butto giù le idee e mi accorgo che due sono i concetti cardine del libro sotto cui molti aspetti trovano casa. 
Il primo è il concetto di FORMA. 




Il libro nomina due fiori, nel caso del tulipano e del carciofo, che hanno una forma in comune, e un nome in comune, ma che hanno funzioni diverse (uno si mangia e l’altro no) e caratteristiche diverse (uno è liscio e delicato, l’altro è spinoso e carnoso). Una sola categoria, due opposti, si potrebbe dire. 



Questa complessità nell’apparente semplicità potrebbe già essere un motivo sufficiente per avere il libro. Ma qui siamo ancora solo in superficie. 
Quello che gli autori desiderano fare con i loro libri è la valorizzazione del mondo che circonda i bambini, in particolare Gervais si dice “ossessionata dalla natura”: per questo nel libro, tutto è un costante invito all’osservazione fine. 
E’ vero che dal bruco nasce una farfalla – la realtà – ma è anche vero che quella farfalla, così precisamente riprodotta da percepire la polverina che ricopre le delicate ali, diventa l’idea poetica di una farfalla. 



Gervais in un’intervista di qualche tempo fa dice: “(…) quello che mi piace non è disegnare, ma fare i libri”. L’artista belga disegna degli stencil che poi applica al foglio bianco, in più inserisce delle alette che girandosi donano nuovo sguardo agli oggetti rappresentati. 
Lei non ragiona mai per tavole, ma per lei la tavola è solo una delle parti di cui si compone il libro, per questo è l’intero libro a raggiunge una sorta di perfezione e tutti gli elementi concorrono allo stesso modo. 
Quindi anche il corsivo non è un caso: perché usare il corsivo? 
E’ un libro per bambini piccoli che cominciano a dare i nomi alle cose o è un libro per bambini che iniziano a scrivere i nomi delle cose? 
Entrambi. 
Il corsivo mi permette di introdurre il secondo concetto chiave del libro ossia il TEMPO. 
Questo libro è un libro che il bambino consulta per diversi anni. Le relazioni complesse che apre a nomi e figure lo proiettano oltre l’utilizzo dell’apprendimento delle parole. Un bambino imparerà dapprima che esiste un fiore che si chiama ‘tulipano’, poi apprenderà che l’ape non è una ma esistono l’ape operaia, il fuco e l’ape regina, infine che quell’uccello lì si chiama ‘pernice’ mentre quell’altro ‘fagiano’, infine, ormai grande imparerà a leggerlo da solo il libro, quando saprà leggere il corsivo. 
Il tempo è anche rappresentano, in alcune tavole, attraverso l’uso della doppia apertura, come nel caso del papavero. 




Qui a un iniziale accostamento formale tra il bocciolo del papavero, che ricorda un cigno, e la tortora, si prosegue con il trascorrere del tempo che passa attraverso l’apertura della pagina interna e che porta alla piena fioritura del papavero.
 

Di queste accelerazioni temporali il libro è pieno: dagli animali alle foglie, tutto si trasforma: una stagione contiene già in sé la stagione successiva? Per questo – e torniamo al libro come opera completa – l’uso della spirale? C’è un inizio? C’è una fine? 
Da quando il piccolo lettore ha aperto questo libro per la prima volta in cerca di parole nuove che definiscano il mondo a quando è riuscito a leggere le parole in corsivo, sono passati almeno sette anni e lui, o lei, ancora sfoglia questo capolavoro, ne siamo certi. 

Valentina 

"primavera estate autunno inverno", Francesco Pittau, Bernadette Gervais, Topipittori 2024 (2011)