venerdì 30 giugno 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

SOPRAVVIVERE

Come nel precedente romanzo, ‘The Skeleton Tree’, pubblicato anch’esso dalle Edizioni San Paolo, in ‘Fuoco sul Monte senza Testa’ tradotto da Christina Mortara, Iain Lawrence, si conferma come uno scrittore votato ai romanzi d’avventura.
Protagonista di questo romanzo è Virgil Pepper, dodicenne, in viaggio col fratello diciannovenne Joshua e la sorella, anche lei più grande, Kaitlyn. Stanno portando l’urna con le ceneri della madre verso l’amatissimo Little Lost Lake, un lago sperduto nella foresta canadese. Il padre, uno scrittore, non ha voluto andare con loro. I tre fratelli partono sul camper di famiglia, ‘Rusty’ e si inoltrano nella strada, chiamata Il Cimitero, che porta al lago; stanno ripercorrendo un viaggio che hanno fatto tante volte con la madre, scienziata e naturalista. Virgil ricorda con esattezza quante cose la madre gli ha mostrato, come gli ha insegnato a orientarsi nel bosco, di cosa e di chi avere veramente paura.
Si scatena una tempesta di fulmini, che, nell’altro versante della montagna, incendia un abete secolare, scatenando un incendio.
Questo i tre ragazzi non lo sanno, sono invece preoccupati perché il loro camper si ferma e non sembra intenzionato a ripartire. Siamo in una zona tutt’altro che turistica, il cellulare non ha campo, non passano macchine, non ci sono centri abitati vicini, sono partiti dimenticandosi le provviste a casa. Joshua, dopo la prima notte popolata da richiami agghiaccianti, che alimentano la leggenda del Sasquatch, una sorta di yeti locale, decide di partire a piedi da solo per cercare aiuto. Sarà il primo di loro ad avvistare l’incendio, che nel frattempo le guardie forestali decidono di lasciar bruciare, sottovalutandone la potenziale estensione.
Virgil è un ragazzino pieno di risorse e con grande fatica e mezzi di fortuna, riesce a riparare il camper; deve essere avviato a spinta e nel farlo, più o meno maldestramente, perde il contatto con la sorella, infortunata. L’incendio li ha raggiunti, sembra impossibile qualunque cosa, anche se gli elicotteri perlustrano la zona.
Non è davvero possibile dire di più senza svelare le svolte narrative del romanzo, che ha alcuni incontestabili punti di forza: una potente descrizione della natura selvaggia, raccontata senza romanticismo, in tutta la sua potenza e pericolosità, rappresentata dall’incendio stesso, dagli animali selvatici come gli orsi e i puma; la scelta di un protagonista, Virgil, fragile ma dotato di capacità non indifferenti, che mette all’opera ricordando gli insegnamenti della madre. Viene facile qui il parallelo con l’episodio realmente accaduto in Colombia, dove quattro ragazzini sono riusciti a sopravvivere per quaranta giorni nella giungla. E dunque, una lezione di sopravvivenza legata alla conoscenza del mondo naturale, dei suoi abitanti, dei fenomeni atmosferici; conoscenza che non nasconde le pericolosità della natura, ma non cerca di piegarla alle esigenze umane.
Virgil è un personaggio a metà strada fra il mondo infantile e quello degli adulti, crede alle leggende, ha paura del buio, ma si fa forte di quello che la madre gli ha insegnato: soprattutto non si arrende, anche quando tutto sembra perduto.
Scritto con ritmo incalzante, alternando la storia dei tre ragazzi con le azioni delle squadre di soccorso, il romanzo è un vero romanzo d’avventura, che molto deve, nel continente nordamericano, a Paulsen.
Sono certa che piacerà moltissimo a lettrici e lettori, a partire dai dodici anni, che amino l’avventura, la natura per come è e non come una bella cartolina; è un romanzo che tiene con il fiato sospeso, in cui non si vede l’ora di scoprire come andrà a finire, ma anche una storia che parla di legami che non finiscono mai, lezioni che, impresse nella memoria, possono anche salvarti la vita.

Eleonora

“Fuoco sul Monte senza Testa”, I. Lawrence, trad. C. Mortara, Edizioni San Paolo 2023



mercoledì 28 giugno 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DELLA GENTILEZZA

George e Martha, James Marshall (trad. Sergio Ruzzier) 
LupoGuido 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"A Martha piaceva tantissimo preparare la zuppa di piselli. 
A volte ne faceva così tanta che stava ai fornelli tutto il giorno. Pentoloni e pentoloni di zuppa di piselli. Se c'era una cosa che a George non piaceva affatto, questa era la zuppa di piselli. 
Per dirla tutta, George detestava la zuppa di piselli più di ogni altra cosa al mondo. Ma era impossibile dirlo a Martha." 

Così accade che quella sera, dopo la decima scodella di zuppa, George non ce la fa più e ne versa un bel po' nelle sue pantofole che sono sotto il tavolo. Martha se ne accorge e la verità viene fuori. Ma gli amici non dovrebbero sempre dirsi la verità? Sì, dovrebbero. Ma hanno anche paura del dispiacere che potrebbero provocare.
Confessione per confessione, anche Martha, della zuppa di piselli in realtà, ama solo prepararla. Nessuna fatica dunque per lei abolirla dal menu. Sostituendola amabilmente con dei friabili biscotti al cioccolato. 

Ed è così che Martha e George, due ippopotami tra loro grandi amici, entrano nella nostra vita. 
Lo fanno alla grande, ma con un sensibile ritardo che, ci spiega Sendak nella prefazione del 1997, dipende soprattutto dalla costante sottovalutazione da parte delle critica di questo grande autore statunitense. Attraverso i quattro libri che contengono rispettivamente cinque storie, per un totale di venti racconti brevi e fulminanti, capiamo che siano costoro. 


Amici che si frequentano con molta assiduità. Entrano quotidianamente nelle loro reciproche esistenze. Talvolta dalla porta, talaltra dalla finestra. Condividono esperienze: il cinema di paura, il luna park o una giornata al mare senza crema. E quando invece i loro progetti non incontrano il favore dell'altro, succedono cose piuttosto spassose. Tra loro alcune certezze che condividono: la più importante di tutte è che sono tra loro molto amici. Quindi, in linea di massima, sono tra loro rispettosi, benevoli, quindi gentili. 
Ecco, la gentilezza mi pare il tratto 'rivoluzionario' di queste storie che hanno un bel po' di anni sulle spalle. Tratto che già Sendak nella sua prefazione, parlando dell'arte dell'amicizia, definisce dolce calore. Insomma, chiarisce, aveva la capacità di rimproverare ma anche quella - catartica - di amare e perdonare. Il portato 'rivoluzionario' sta proprio in questa disposizione d'animo che si riflette in tutte le storie di Martha e George. 
Su venti che ne sono, solo due (peraltro le mie preferite) non si appianano nel finale: la prima finisce con una vasca da bagno messa per cappello (non va dimenticato che un ippopotamo ha tutte le forze necessarie per farlo) a George che, amando sbirciare, attraverso le finestre, guarda in quella di Martha mentre lei sta facendosi un bagno. La seconda finisce con un bel No deciso e irremovibile: di nuovo una piccola invasione di campo da parte di George che vorrebbe sbirciare nel diario di Martha mentre lei lo scrive seduta sotto un albero. 


Attenzione, il cambio di passo ha un suo preciso senso nella constatazione che la gentilezza debba necessariamente passare anche per il rispetto dell'altro. Ragion per cui è difficile dispensarla, anche se dà un gusto particolarissimo praticarla qui e là. Per Martha e George si tratta di un esercizio quotidiano. E vederli in azione, ascoltarli mentre si usano premure, come per esempio infilare tulipani comprati dal fioraio per rallegrare il prato secco dell'altra, è una esperienza piacevole. E decisamente controcorrente.


In linea di massima, riguardo alla gentilezza, nel migliore dei casi tra cui il mio, la percezione che mi pare più diffusa è quella di tenersela in tasca, solo per regalarla a chi dimostra di saperla apprezzare. 
La consuetudine, invece, non la contempla affatto come modalità di relazione. Forse proprio perché appartengo alla categoria delle tazzine che "'ncoppa, amara site la ritengo cosa preziosa e ne sono inevitabilmente attratta. Ma il mio limite, in controtendenza rispetto a Marshall, è quello di non saper essere gentile con chi è villano con me. E forse perché ne riconosco la rarità, apprezzo molto i libri con dei 'gentili' dentro. 


Se si escludono tutti quelli con l'intento di insegnarla a colpi di belle parole, gli altri, quelli che la praticano, sono davvero rari. E per questo indimenticabili. 
Accanto alla rivoluzionaria 'gentilezza' un altro elemento che mi pare interessante, quanto raro, è la brevità. 
A parte quella evidente, che definisce la costruzione dei testi belli serrati, ma soprattutto nell'uso del disegno: una linea di contorno che definisce le morbidezze dei due ippopotami, pochi elementi di contorno a creare contesto, alcune variazioni cromatiche necessarie, ma soprattutto una serie di impercettibili variazioni di trattini e puntini che definiscono e danno spessore alle espressioni: a partire dalla rabbia con la spazzola in mano per finire con la sfida sugli autoscontri, in mezzo tante occhiate oblique. 

Carla

lunedì 26 giugno 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

TRA CHATTARE E INTRECCIARE

Il nostro piccolo paradiso, Marianne Kaurin (trad. Lucia Barni) 
La Nuova Frontiera Junior 2023 




NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"Vilmer sarà forse il vicino di casa più irritante del mondo, ma se è da un pezzo che sei reclusa in casa, non puoi fare troppo la schizzinosa. Inoltre sembra davvero stupido e buffo mentre danza tutt'intorno sull'asfalto del cortile più brutto della Norvegia. Tiro fuori il telefonino dalla tasca. Cerco il messaggio ricevuto, da un numero sconosciuto, dal ragazzo che sta ancora ballando nella notte estiva, e gli rispondo. 'Niente Tropici' scrivo e osservo dalla finestra cosa succede. Lui interrompe il suo ballo, prende il telefono. Guarda verso di me. E sento un bip. 'Ci vediamo domani?' c'è scritto sul mio schermo." 

Cosa è successo prima. Ultimo giorno di scuola. Arriva un nuovo compagno di classe. Riccioli, grandi occhi, incisivo storto e maglietta improbabile. Ina lo guarda: non è il suo tipo. Troppo sfigato. 
La prof, prima di chiudere l'anno scolastico, chiede a tutti quali saranno le mete delle loro vacanze: fioccano nomi di luoghi esotici e da sogno. Solo lui, il nuovo arrivato che si chiama Vilmer, dichiara di restare a casa perché suo padre è in bolletta. 
In verità anche Ina non andrà in vacanza, perché anche sua madre è al momento disoccupata, ma lei, che patisce la pressione sociale esercitata in particolare da due sue compagne, sfodera una balla dell'ultimo minuto: andrà con sua madre ai Tropici. 
Ora, la sorte vuole che Ina e Vilmer abitino nello stesso grande condominio Trine, con scale che arrivano fino alla lettera J... Vista la sua bugia, a Ina tocca passare le sue giornate tappata in casa per paura di essere scoperta, ma Vilmer, complice la vicinanza, un giorno la vede e capisce che forse i Tropici non è proprio il posto dove lei sta trascorrendo le sue vacanze. 
Questa è la storia della loro vacanza ai Tropici, che effettivamente non sono una località precisa ma piuttosto un luogo in cui ci sia sabbia, una piscina, un lounge bar e tramonti mozzafiato. E si trovi a Sud. 
Forse per quei due, i loro personalissimi Tropici sono anche molto di più: uno stato dell'anima. 
Questo, almeno fino al momento in cui qualcuno non decida di indagare....

Almeno tre sono le questioni che questo libro norvegese, tradotto ovunque e pluripremiato anche con il Deutscher Jugendliteraturpreis nel 2021, mette nero su bianco. 
La prima, decisamente la meno scontata e la più felice anche in senso letterario, è il grande 'progetto' di questi due ragazzini che non vanno in vacanza. 
Pieni di bellezza e tenerezza gli esiti cui porta. 
La seconda, non esattamente una novità nella letteratura rivolta ai più giovani, ruota intorno a una questione centrale: la pressione che ogni persona avverte su di sé da parte del prossimo. In questo caso appare declinata in un contesto in cui ragazzi e ragazze dodicenni, più o meno consapevolmente, la esercitano e la subiscono giorno dopo giorno. Soprattutto tra i banchi di scuola. Va da sé che la storia metta davanti ai lettori la grande domanda: qual è il prezzo che si è disposti a pagare per essere accettati dagli altri? 
La terza, a quest'ultima strettamente connessa, è la questione della comunicazione virtuale. Che è tale nelle sue forme, ma diventa reale nel momento in cui è l'unico canale attraverso cui testimoniare la propria esistenza in vita. E anche in questo caso le procedure per rendersi visibili, per sentirsi vincenti hanno un costo. Spesso alto. 
Salvo poi, leggere tra le righe, che alla resa dei conti tutto quello che passa per la finzione, finzione resta. 
A stravincere sulla distanza non sono le chat, ma le dita intrecciate. 
Tra loro molto diversi, Ina e Vilmer nuotano in queste acque. 
Rispetto a tutti gli altri personaggi di contorno, che forse appaiono troppo semplificati nel loro ruolo, Ina e Vilmer sono un'altra cosa.
Tra loro molto diversi: soprattutto nella percezione del mondo che li circonda, e soprattutto diversamente permeabili nei confronti dell'esterno. 
Forse per storia personale, o forse più semplicemente per carattere, tra Ina e Vilmer c'è una grande differenza nelle modalità scelte per restare a galla. 
Ina è in cerca di affermazione e di successo e pensa che per ottenerlo, anche a costo di mentire, debba entrare a far parte del gruppo dei 'vincenti'. Mente a scuola, ma mente anche a sua madre, facendole credere che è una ragazzina con una vita sociale dignitosa. Non vede altre vie. 
Al contrario, Vilmer della sua condizione non fa mistero e cerca soluzioni personali che possa poi gestire senza nascondersi o mostrarsi per quello che non è. 
Quindi di fronte a un'estate a casa hanno due reazioni ben diverse: una si nasconde, l'altro costruisce l'alternativa. 
La cosa bella è appunto la sua capacità di mettere in piedi 'qualcosa' che abbia un senso, anche se all'apparenza sembra più che altro un gioco da bambini. 
La costruzione da parte sua di uno scenario che possa ricordare i Tropici sognati da Ina è il suo modo di volerle bene, il suo originalissimo modo di dirle che lui è - veramente - dalla sua parte. Lento, ma sicuro, Vilmer la accoglie in un abbraccio fatto di attenzioni, di generosa condivisione di tempo e pensieri cui Ina, la fragile Ina, non sa e poi non vuole sottrarsi. Così anche lei, lenta ma sicura, accetta il gioco, accetta quel bene e, quasi inconsapevolmente, lo ricambia. E addirittura rilancia. 
L'allestimento dei loro personalissimi Tropici la vede parte attiva: piscinetta, tramonto da parati e suppellettili varie sono il suo contributo. Ma la cosa più bella che lei fa è quella di sognare. Di sognare da sola e di sognare in due. Ormai anche lei è dentro al gioco e giocare le piace e le piace farlo con Vilmer. 
Una finzione, uno scenario unico - tutto finto - per contenere qualcosa di meravigliosamente vero. 

Carla

venerdì 23 giugno 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


PIETRE NERE


Pubblicato per la prima volta nel 1984, arriva ora in Italia con la traduzione Valentina Freschi, il romanzo di Guus Kuijer ‘Le pietre nere’, pubblicato da Camelozampa.
Si tratta di un romanzo complesso, in cui si intrecciano tematiche importanti.
L’ambientazione, distopica, ci porta in un mondo rigidamente diviso in classi: i cavatori, i guardiani, i commercianti. Il personaggio principale, Dolon, appartiene alla stirpe dei cavatori e il suo destino, come quello del fratello gemello Omar, è segnato. Una volta raggiunti i quindici anni i ragazzi sono inseriti nell’eterno lavoro dei cavatori, portare le pietre nere, acquistate dai commercianti, in cima alla torre che stanno costruendo. Sono infatti convinti che, raggiunto il decimo piano, prenderà il via una nuova vita. La divisione in classi prevede, come è logico, divieti e punizioni per i trasgressori, espletate dai guardiani. I commercianti vivono nella ricchezza, lucrando sul commercio delle pietre nere e imbonendo gli ingenui cavatori. Chi si ribella è destinato a perdere la vita.
Sia Omar che Dolon sono ragazzi intelligenti e sensibili: il primo ha una forte inclinazione ad occuparsi di animali e piante, è un’anima sensibile e poetica del tutto inadatta alla vita del cavatore; Dolon si fa molte domande inquietanti sul senso di quello che vede accadere e spesso si rivolge ad un vecchio eremita, Dramok, che lo spinge a scappare. Questo avviene quando Omar viene ucciso dai guardiani e Dolon sente di non aver più nulla da perdere. Lo affianca Guida, una ragazza ribelle, figlia di commercianti. Insieme compiono un lungo cammino, durante il quale incontrano una tranquilla tribù nella foresta. Si uniscono agli indigeni, la cui vita scorre in armonia con la natura e all’insegna della gentilezza. Saranno presto raggiunti dagli emissari dei commercianti che provano a corrompere gli indigeni.
Dolon e Guida riprendono il cammino, fino ad arrivare all’ultima Torre, che scoprono essere stata abbandonata da tempo. La verità è sconvolgente per entrambi, sentono di doverla rivelare anche agli altri cavatori e iniziano il viaggio di ritorno, senza sapere se gli abitanti del villaggio da cui provengono saranno disposti ad ascoltarli.
Questa, in estrema sintesi, la trama, molto articolata e complessa. Altrettanto complesse le tematiche, che rimandano ad una visione di società totalmente dominata dal profitto, in cui i poveri, i cavatori, accettano il proprio destino di sfruttamento nel nome di un futuro radioso: ritratto che si può ben applicare a tutti i regimi totalitari, ma anche allo strapotere del denaro che tutto sovrasta nelle società occidentali.
Nello stesso modo si inserisce il tema della tribù isolata, lontana dai miti del popolo dei cavatori, che rimanda alla situazione di molte popolazioni indigene, che in varie parti del globo sono state corrotte dai falsi miti del mondo occidentale, facendosi sfruttare e perdendo la propria cultura.
In realtà, ad un certo punto, si inserisce anche il tema razziale, perché si scopre che i due protagonisti sono neri.
Come si vede, molto, moltissimo, forse anche troppo, all’interno di una struttura narrativa che spesso si dilunga in descrizioni e ripetizioni.
Sicuramente spunto di riflessioni anche importanti, questo è un testo non facile per i ragazzi e le ragazze abituati a strutture narrative più lineari; e forse non aiuta il fatto che oggi gli incubi che coltiviamo, tutti, giovani e meno giovani, parlano di altro: dell’esaurimento delle risorse, del cambiamento climatico, della fragilità della nostra specie.
Il tema che prevale su tutti è certamente quello della libertà di pensiero, la capacità di pensarsi oltre le presunte certezze di una società organizzata gerarchicamente, in cui il dubbio non è previsto.
Molto diverso dagli altri romanzi di Kuijer, sia per contenuto che per struttura narrativa, ‘Le pietre nere’ esplora il territorio del romanzo distopico, fornendo a lettrici e lettori, con almeno quattordici anni, notevoli spunti di riflessione.
Consigliato a chi ama la complessità e le riflessioni, anche cupe, sul mondo.

Eleonora

“Le pietre nere”, G. Kuijer, trad. V. Freschi, Camelozampa 2023


mercoledì 21 giugno 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

ATTENTI AL GHEPARDO

Viktor, Jacques & Lise (trad. Olga Amagliani) 
Camelozampa 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

 "Quella notte Viktor sogna dei ghepardi che hanno perso un amico. 'Che cosa terribile per quei ghepardi' si rammarica Viktor. Il cacciatore vuole rimediare al danno. Escogita un piano geniale e si mette subito all'opera. Dopo ore di lavoro, nella notte torna a regnare il silenzio." 

Viktor è un cacciatore che per molto tempo ha sognato di sparare a un ghepardo. Ora che ci è riuscito, dopo essersi vantato della ambita preda e dopo essersi comodamente sdraiato sulla sua pelliccia, in segno di assoluta vittoria, si fa prendere dai rimorsi. 
In fondo quel ghepardo, morendo per causa sua, ha riempito di dolore tutti gli altri del branco. Per rimediare a Viktor viene un'idea brillante: usare la pelle del ghepardo morto, cucirla a dovere, indossarla e tornare là dove il misfatto ha avuto luogo e farsi ritrovare, come redivivo ghepardo, dal resto del branco. 
Tutto va come previsto. Con i ghepardi gioca, corre, insieme cacciano e passano il tempo e tutto sembra andare per il meglio ma la coda posticcia non regge ai morsetti di un cucciolo e si scuce, lasciando allo sguardo una piccola scucitura nel costume che lo rende vulnerabile e 'nudo' agli occhi attenti degli altri ghepardi. Non prendono bene il fatto di essere stati turlupinati così lo legano a un palo per arrostirlo. Ma sul più bello arriva il risveglio che da una parte lo tranquillizza - era solo un brutto sogno - ma dall'altra lo convince che la caccia al ghepardo è da dimenticare. Un cacciatore redento? 
Chiedetelo alle zebre... 

L'idea originaria arriva da un pensiero fatto da Jacques Maes davanti a un negozio di pellicce: chissà cosa succederebbe se una pelliccia venisse riportata sul luogo dove ha perso il corpo che l'abitava? Che direbbero i sopravvissuti, vedendola e annusandola, così stranamente svuotata, ma ancora con alcune caratteristiche evidenti, compreso l'odore? 
La storia che ne è scaturita, probabilmente sviluppatasi secondo le loro modalità consuete di lavoro costruito sul reciproco confronto in fase creativa, sta molto bene su. 
Non è banale, contiene una serie di riferimenti condivisibili che chi voglia coglierli, ha un buon colpo di scena finale che non la chiude con un messaggio melenso o lieto e pacificante, cosa che effettivamente era lì a disposizione, dietro l'angolo. Scampato pericolo. 


Fin dalla copertina la caratteristica che emerge è certa ambiguità di segno: le macchie sul manto di un ghepardo e contemporaneamente una sottile linea tratteggiata che allude a una qualche cucitura. Una postura annodata che solo in superficie può ricordare quella di un felino che si gratta l'orecchio. A ben vedere nessun ghepardo è così rotondo nelle forme e mai e poi mai si accuccerebbe come se fosse in poltrona. Un solo piccolo dettaglio allude a un viso umano che, non a caso, vista la storia che contiene, ha bisogno di restare nascosto. 
Già dai risguardi si entra nella questione e si legge l'antefatto. Questo per ribadire che i risguardi sono spesso già 'narrazione' in un albo illustrato. Il fatto di sangue avviene come se nulla fosse nella pagina del frontespizio. Quando il testo comincia a raccontare è già tutto successo: il ghepardo è solo pelliccia sul pavimento e fodera di un cuscino. E su tutto troneggia il cacciatore che ha un nome che è anche una dichiarazione di status. 
Fin dall'inizio salta all'occhio il tipo di segno, la composizione dello spazio, l'uso del colore e una grande capacità di astrazione che dimostrano di avere questi due bravi grafici designer basati in Belgio. 
Il segno è flessuoso. Angoli pochissimi e possibilmente stondati. Le figure sono possenti e con una scala di misura del tutto emotiva. Sulla rotondità si costruisce Viktor che viene ritratto da diversissime angolazioni, tutte di forte impatto visivo e con una bella forza allusiva. Attraversa le pagine sempre in posa plastica e viene ripreso dall'alto, da dietro e anche in una rapida quanto esilarante sequenza di azioni da ghepardo, che è una doppia pagina felicissima in senso narrativo ed estetico. Sono molte e intelligenti le soluzioni formali che mettono sulla pagina: lacrime che sono anche sangue e cuscini su cui dormire, sagome sotto le lenzuola e tappeti di pelliccia. Tanto per dirne due.
 

Più di una volta dimostrano di essere bravi a non dire tutto e a non far vedere tutto. Sono bravi a non essere espliciti: sono grafici e sanno come usare l'ambiguità del segno come esca per lo sguardo. 
Anche sulla composizione della pagina, delle molte doppie pagine, i due dimostrano di saperci fare parecchio. Giocano con le scale di misura, giocano con la ripetizione come in un fumetto, giocano con il punto di vista. Giocano, giocano tanto. 
Il colore, al pari del segno, racconta non solo se stesso, ma anche molto altro. 
Una scelta cromatica di chi sa come si cattura l'attenzione di uno sguardo: tanto nero, colori complementari e delle dominanti che tengono insieme le pagine. Un gioco allusivo fatto con le ombre. Il colore che non si preoccupa di essere coerente in chiave realistica, ma di esserlo invece in quanto portatore di senso. 


Terzo elemento la capacità di sintesi formale che mi ricorda quella dell'orso di Klassen e che lo stesso Klassen spiegava dicendo che tanto più la forma non si frammenta in mille dettagli, tanto più essa si rende visibile. Un po' come si deve fare a teatro quando è necessario amplificare un gesto perché lo si possa cogliere anche dall'ultima poltrona della galleria. E con Klassen sembrano condividere una scelta per mettere in scena lo stretto necessario a dare la misura di un contesto. 
Nessuna deroga. 


Su tutto questo si spalma un buon modo di raccontare, fatto di sottile e diffusa ironia che si coglie via via che si ritorna sulle immagini. Senza contare la buona trovata di smascherare il "lurido impostore" con un espediente che lo mette in ridicolo assai e in cui ognuno di noi può riconoscersi quando, almeno una volta nella vita, gli è capitato di essere preso in giro, non avendo l'assoluto controllo delle proprie terga.... a parte questo c'è un buon numero di idee davvero divertenti, raccontate con piccole allusioni che tengono sempre desta l'attenzione del lettore: dall'ananas al pigiamino, dalle infradito al quadretto con la farfalla. 
A vedere quello che hanno finora prodotto, che va in direzioni anche piuttosto diverse, sembrerebbe che tutte queste scelte siano un po' la loro cifra che li rende molto interessanti e riconoscibili anche a una certa distanza. 
Bene, avanti con il prossimo 

Carla

lunedì 19 giugno 2023

ECCEZION FATTA!

I BAMBINI E L'ANGELO

I bambini si rompono facilmente
, Silvia Vecchini, Sualzo 
Bompiani 2023 


NARRATIVA ILLUSTRATA 

 "Vogliono che non le manchi niente, le comprano le cose più costose, ha una bella libreria laccata bianca, un tavolo gigante dove può fare qualsiasi cosa le venga in mente. Può chiedere di cucinare, fare il tornio, costruire una capanna in salotto. Si sono dati un obiettivo, deve avere una lunga infanzia spensierata." 

La bambina delle fate ha tutto quello che può desiderare, compresa una stanza tutta rosa con le sue foto incorniciate. Sta crescendo e forse tutte queste attenzioni, ma ancora peggio il mondo di fatine dei denti e di gnomi, di befane che arrivano sul balcone la notte tra il 5 e il 6 gennaio, deve appartenere al passato. Lei è da un bel po' che ha scoperto essere suo padre a uscire per un finto impegno di lavoro, a travestirsi per poi rientrare in casa alla chetichella e mettere bastoncini di zucchero nella calza che le hanno chiesto anche quest'anno di appendere in cucina. Ma con sua madre l'unica cosa che può fare è reggere il gioco e andare a dormire con lei nel lettone. 
Lei lo sa che nella notte di Natale sono loro a mangiare i biscotti e a bere il latte che lasciano ogni anno sul tavolo in soggiorno. 
Lei vorrebbe tanto fare come fanno le sue amiche o i suoi compagni che tutto questo lo hanno ormai passato e forse anche un po' dimenticato. Vorrebbe che la loro vita facesse un passetto avanti, una "casellina" nuova nel loro avanzare sul grande gioco dell'oca che è la loro vita assieme. 
Ma ha paura di ferirli, di deluderli. Loro che rispettivamente si tingono i primi capelli bianchi con il pennellino in bagno e di tanto in tanto indossano l'abito da sposa e poi si guardano tra i due specchi delle ante dell'armadio. Così, per verificare che segno hanno lasciato gli anni su un corpo che sta infiacchendosi. Non ce la fanno proprio ad accettare all'idea di invecchiare e lei, la piccola di casa, deve rimanere tale, la piccola di mamma e papà. Così diventa suo malgrado la prova vivente che la vita in fondo forse ti dà modo di cristallizzarsi nell'attimo che si giudica il migliore. Basta crederci. O meglio basta illudersi.

Venti tra bambini e bambine che nello spazio di una o due pagine sono lì a raccontare la loro fragilità, le incrinature, talvolta i cocci in cui si rompono, ma nello stesso tempo la loro resistenza nella convinzione che la vita che pulsa in loro è più forte di qualsiasi mazzata che la vita gli riserva. 
Due parole sul libro e altre due sull'anomalia che se ne parli qui. 
Silvia Vecchini ha raccolto con la delicatezza e la cura che mette sempre nelle sue relazioni umane i racconti, le storie, frasi, disegni, allusioni di bambine e bambini che ha avuto "l'onore" di incontrare lungo la sua strada. Lo ha fatto perché ne ha avvertito la necessità e l'urgenza di non lasciare cadere nel silenzio racconti del genere. Li ha rimodellati, credo il minimo indispensabile, per renderli frecce da scoccare. Li ha messi insieme. 
Sualzo, con una lingua altrettanto lieve, per ognuno ha fatto un disegno a china, cui si aggiunge una copertina con il timido coniglio che ha il compito di raffigurare la fragilità dei bambini, ma anche quello di essere il protagonista dell'ultimo racconto. Ognuna di queste storie è una storia vera cui Silvia Vecchini dà voce e, alla fine di ciascuna, la distilla in versi che diventano il necessario seme di tarassaco da far volare ancora e ancora. 
Tutto questo diventa un libro necessario che Bompiani pubblica. 
È un libro di piccoli per i grandi. 
È un libro che dietro una voce poetica, rarefatta, riesce a dire tanta di quella dura verità che non poteva non essere scritto e aggiungerei non può non essere letto. 
Ed ecco la seconda cosa che ha a che fare con l'anomalia di mettere in questo blog pensieri su un libro che parla dei piccoli, ma è scritto perché lo leggano i grandi. 
Il caso vuole che io stia partendo per Cagliari per un progetto di formazione che ha come fulcro la questione dei legami di famiglia, in altri termini sono chiamata a elaborare un discorso sensato -spero - attraverso una bibliografia di libri che abbiano dentro principalmente genitori e figli, ma anche qualche zia e un certo numero di fratelli. Ma. C'è un ma. 
Il registro richiesto è quello comico. Insomma, storie che facciano ridere. Per come sono abituata a orientarmi, decido di partire dai libri perché come sempre vorrei che fossero a parlare al posto mio, elaboro una bibliografia e su questa costruisco un discorso, ma mi rendo conto che c'è una zoppia evidente. 
Come si fa a parlare di libri spassosi su genitori e figli letterari, quando su genitori e figli veri c'è ben poco da ridere? Come faccio a ignorare l'urgenza di rimboccarsi le maniche e prendere quanto meno coscienza del fatto che tra adulti e bambini - non tutti si intende, ma molti - c'è un problema grosso un bel po'? Come faccio a ignorare questa situazione? Come posso solo guardarne il lato ironico, comico, sarcastico, senza risalire alle radici di tutto questo? 
Ed ecco che le due giornate formative si sdoppiano e diventano un pomeriggio serissimo, quasi drammatico, e una mattina esilarante. 
E mentre sono lì che scrivo pagine di appunti sulla condizione di fragilità in cui si trovano bambini, adolescenti, giovani adulti e persino adulti giovani, mentre sono lì che leggo le riflessioni che molti specialisti registrano come segnali ben oltre l'allarme, intercetto I bambini si rompono facilmente. 
Bene. Sobbalzo e in silenzio gioisco a leggere le pagine iniziali di Silvia Vecchini a proposito di un angelo, perché so che a Cagliari farò vedere una tavola di Heidelbach con una bambina che l'angelo custode se lo è costruito da sola... 


Il libro si legge di un fiato, lo studio, e la prosa e i versi, e ne sottolineo a matita tutto ciò che conferma la mia griglia cagliaritana: "stare vicini ai bambini è stare accanto a un mistero" oppure "la cieca distrazione degli adulti" o ancora "la traccia che i bambini lasciano sempre indirizzati al bene, anche quando non si vede, la loro fedeltà alla vita anche se ferisce". 
Bambini fatti a pezzi. Bambine a cui si nega di poter crescere - e non a caso ho issato quel racconto come bandiera. Bambini inascoltati. Bambini che sanno salvare i grandi. Bambine sirene. Bambini in lutto. In trasparenza si vede bene anche il mondo degli adulti. 
Il libro viene a Cagliari con me. 

Carla

venerdì 16 giugno 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

CAMMINARE DRITTO  

Il duello, Inês Viegas Oliveira (trad. Matteo Francini) 
Edizioni Clichy 2023


 ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni) 

"Spettabilissimo signor Rodin Rostov, ci siamo. 
Mi sembra ancora di sentire la vostra voce, parola per parola, lettera per lettera. 
I vostri affronti hanno ferito le mie orecchie, i miei timpani, il mio cuore, e posti anche più profondi dentro di me, che non si trovano in nessun libro di anatomia. 
Dovevo farlo, capite? Uno, due, tre, quattro, quanti passi ci separano?" 

Schiena contro schiena, con le rispettive pistole rivolte verso l'alto, i duellanti si allontano. 
Solo di uno però possiamo seguire il tragitto. E solo di uno sappiamo i pensieri. Non si rivolge più al signor Rodin Rostov, e lo si capisce perché dalla seconda plurale si passa alla terza persona singolare delle tante domande che si pone. 
Il vento soffierà a suo favore? E i suoi stivali lo renderanno più veloce? 
Le gambe più lunghe saranno un vantaggio per lui? Mentre è lì che mette passo dopo passo, la sua testa si arrovella. 
 Poi, nonostante la distanza, è di nuovo al signor Rodin Rostov che pone una grande questione: circa l'indossare i panni di un altro. Voi signor Rostov avete mai provato per caso a mettervi nei panni di un altro? anche solo per scoprire che sono un po' troppo larghi e terribilmente stretti? 
C'è da dubitare che Rostov lo possa sentire. Riprende così il suo rimuginare tra sé e sé. 
Questa volta è il cibo che cattura i suoi pensieri. Certo che ormai di ore ne sono passate parecchie, magari sta pensando che io sia fuggito o magari perso. 
E dopo tutto questo camminare effettivamente anche i motivi del duello sembrano essersi allontanati e sembrano sopraggiungere una serenità e una disponibilità tutte nuove. Magari dipendono da ciò che gli occhi vedono, il naso annusa e le orecchie sentono? Anche il nome di Rostov sembra addolcirsi, e così il suo ricordo. A tal punto che forse vale la pena scrivergli due righe, affidarle a degli uccelli, per comunicargli che sarebbe bello rivedersi. Come due vecchi amici 
È facile, basta continuare ad andare dritti. Avanti sempre avanti. 

Sophie Van Der Linden, a proposito dei meccanismi che regolano un buon albo illustrato, parla di uno spazio vuoto che deve esistere tra il testo e l'immagine e l'oggetto che ne deriva, ossia il libro in carta e ossa, in modo che, come capita a una qualsiasi articolazione, le singole parti possano muoversi agevolmente e in autonomia non ostacolandosi, pur essendo una dentro l'altra. Lavorare in squadra.
Il duello ne costituisce un esempio eccellente. 


Sfruttando la legatura delle pagine i duellanti si mettono, come vuole l'iconografia, spalla contro spalla e visto che lo fanno dove il foglio si divide, immediatamente si mettono a dialogare con lo spazio della pagina che diventa teatro, ossia scenario. E che scenari! 
Da lì si allontanano in modo quasi speculare, avvolti nella nebbia di circostanza. Il limite della pagina diventa un elemento di attesa nel lettore: cosa può succedere? Entrambi usciranno di scena? No. solo uno sparisce, ma non è difficile immaginarselo mentre conta i passi andando verso sinistra, in direzione opposta al quella del protagonista di cui vediamo l'incedere verso destra, che poi è il senso della lettura, e di cui sentiamo la voce. 
La cosa che succede allo sguardo è quella di notare come le figure colorate si trasformino sotto gli occhi: da alberi spogli si passa a un esercito di soldati in marcia che, girata la pagina diventa una parata di suonatori di trombe e tamburi che subiscono un'altra metamorfosi diventando acrobati da circo, in uno scenario da parco dei divertimenti. Ancora una pagina girata e arrivano i teatri che si affastellano con fondali e scene tutte diverse, davanti a un pubblico rivolto verso la scena con le spalle a noi lettori. Oramai è notte e gli scenari cittadini restituiscono locali dove mangiare: ristoranti, caffè e anche i poster attaccati sui muri pubblicizzano pizza e panini. 


Gli scenari si avvicendano e diventano sempre più complessi. Ma lui continua ad attraversarli fedele alla consegna iniziale. La città è finita. Arriva il verde, gli animali, la campagna sotto la luna è deserta e poi la pioggia. Tutto quel verde trascolora nel celeste dell'acqua del mare che attraversata porta a un'isola verdeggiante da cui spedire la lettera di invito a incontrarsi, dopo aver deposto le armi. 
Parole che vanno in un senso e figure che ne raccontano un altro. Eppure. 
Si sfiorano ancora una volta, i ristoranti quando si parla di cibo, i panni da indossare quando si vedono i teatri, il vento quando si vedono le trombe. 
Non si tratta di coincidenze casuali, ma di una volontà precisa di far parlare le tre lingue in accordo. E così accade che in quello spazio vuoto tra testo, immagini e libro la prima a introdursi è proprio lei l'autrice. Con un obiettivo impegnativo. 
E quindi, brava Inês Viegas Oliveira che giovane già maneggia con tanta disinvoltura un oggetto così complesso, quale può essere l'albo illustrato. 
E ancora più brava si dimostra nell'aver messo su carta una questione potente e averla raccontata in un modo così originale. 


In fondo quello che l'occhio percepisce, quelle forme che si trasformano, quel mondo sempre più colorato, sempre più complesso e vivace che lo sguardo attraversa e quel camminare dritto attraverso, se messi insieme danno il senso a tutto. 
E come se non bastasse, usa proprio tutti gli strumenti che sa di possedere: attraverso lo stemperarsi delle parole, sempre più miti, attraverso la distanza - una giusta distanza - le cose si possono vedere in modo diverso. Attraverso una composizione di alto valore estetico, attraverso un sapiente uso del colore che inversamente all'affievolirsi delle parole, si carica di forza.

E poi tutto, ma proprio tutto, converge a dare coerenza, compresa la linea azzurra che attraversa silenziosa ma piena di significato i risguardi, per non parlare del bel gioco tra copertina e controcopertina... 


Bella prova! 

Carla

mercoledì 14 giugno 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


UN’ESTATE A NEW YORK


Potrebbe essere considerato un romanzo di formazione, o un romanzo sentimentale nella vasta e multiforme produzione ‘young adult’. ‘Amici come questi’, di Meg Rosoff, riproposto dall’autrice e, in traduzione, da Rizzoli è questo e anche altro. Scritto, originariamente, nel 1988 propone un ritratto inconsueto della meravigliosa New York all’epoca dell’Aids.
Nella metropoli affogata in un caldo opprimente e senza rimedio, si muovono due ragazze, una newyorkese ricca e nevrotica, Edie, e una ragazza di provincia, Beth, ebrea e di origini modeste, appena arrivata nella Grande Mela. Le due ragazze e altri due ragazzi, Oliver e Dan, condividono uno stage in un quotidiano di New York, in attesa di entrare all’università o di trovare lavoro.
L’esuberante Edie trascina Beth in una trasformazione, forse neanche desiderata, di look, atteggiamenti, abitudini; la convince a lasciare la casa in cui convive con Dawn e Tom e la porta nell’agiato, elegante appartamento pagato dai suoi genitori. La coinvolge nelle nottate passate a bere drink, confidandole i suoi disastri sentimentali.
Beth assiste, grata, ma forse non troppo, ascolta i consigli dell’amica, osserva, con un pizzico di cinismo, le avventure sentimentali di lei, sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
I rapporti con gli altri due stagisti sono molto freddi, anche se Beth si sente attratta da Oliver, anche lui newyorkese, elegante e distaccato. Ma Edie le suggerisce di ignorarlo, attribuendogli inclinazioni omosessuali. Caldo opprimente, cocktail ghiacciati, shopping compulsivo e il dubbio che non tutto sia come sembra.
Mentre il comportamento di Edie si fa di giorno in giorno più stravagante, Beth ritorna nel suo vecchio alloggio, dove intreccia una blanda, ambigua relazione con Tom.
‘Amici come questi’ sembra dunque una commedia rosa, senza troppi pensieri, se non per l’incombere dell’Aids, che in quegli anni mieteva vittime in grande quantità. La qualità della scrittura si vede, invece, proprio nella capacità di distorcere i topoi del genere letterario, destrutturando i ruoli dei personaggi.
L’ambiguità nella relazione di amicizia fra Edie e Beth va ben oltre le differenze sociali, lo stile di vita, le relazioni: fra loro serpeggia un gioco di manipolazioni, menzogne, opportunismi. Lo sguardo della Rosoff indaga nei personaggi il lato in ombra, le passioni inconfessabili, i raggiri e le banalità. Il personaggio di Beth, al di là delle apparenze, è il più complesso, quello che compie un’improvvisa evoluzione, rendendosi conto della distanza fra il suo modo di essere e l’ambiente in cui è stata coinvolta. Dal sentirsi mediocre, banale al comprendere il vero volto di ragazzi e ragazze da cui era stata attratta: disillusione, presa di coscienza per poi provare a disegnare un proprio percorso di vita.
Sicuramente si tratta di un romanzo per ragazze, soprattutto, e ragazzi con più di quattordici anni, un romanzo lontano per gli stili di vita così efficacemente raccontati, ma vicinissimo nel descrivere le dinamiche interpersonali, le amicizie fagocitanti, la ricerca di se stessi attraverso le esperienze di sesso e alcol e shopping e look.
Lo stile della Rosoff è come sempre fluido, coinvolgente, brillante e catturerà anche le lettrici (e i lettori) più impazienti.

Eleonora


“Amici come questi”, M. Rosoff, Rizzoli 2023




lunedì 12 giugno 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DI PALO IN FRASCA

Fammi una domanda!
Antje Damm (trad. Francesca Pamina Ros),  
Il Leone Verde Piccoli 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Chi è il tuo migliore amico? Chi è la tua migliore amica? 
Quale avventura vorresti vivere almeno una volta nella vita? 
A cosa credi? 
Che cosa doneresti a un senzatetto? 
Dove non vorresti mai trovarti? 
Che cosa hai usato in modo diverso rispetto al solito?" 

Queste sono le prime sette domande di questo libro che ne contiene altre 111. 
Costruito in stretto dialogo tra una domanda e una immagine che la affianca con assoluta regolarità sulla destra, il libro chiama i propri lettori a un dialogo bello serrato che può esaurirsi in una unica sequenza oppure può essere 'centellinato' nel corso del giorno, dei giorni. 


La portata delle domande è varissima: dalla semplice questione quotidiana, alla domanda filosofica, dalla domanda che implica un ricordo e una memoria, alla domanda che scava nell'intimità di ciascuno. 
E, cosa encomiabile, senza nessuna gerarchia interna. 
Ufficialmente non ha una sua trama, se non quella che ciascun lettore crea per sé. Come a dire che ogni bambino o bambina con le proprie risposte, creerà la propria copia individuale del libro. 


Un po' di storia di questo piccolo grande libro che per anni è mancato e invece adesso c'è. Di nuovo.
Evviva. 
Tralasciando il lato affettivo che nello specifico è molto forte, occorre ricordare che fu pubblicato in Germania nel 2002 e uscì in Italia con Nuove Edizioni Romane nel 2005, grazie alla sapientissima Gabriella Armando che di un libro del genere intuì immediatamente la portata. 
Lo fece tradurre e lo pubblicò con la sua bella copertina rossa su cui campeggia un ragazzino o una ragazzina, guance rosse e mani in tasca, in perfetto stile Antje Damm.
 
Una sequenza di questioni, vivaci e volutamente in disordine, che guardano in molte direzioni: dal quotidiano al metafisico, dall'alto al basso, con la medesima capacità di saltare di palo in frasca che hanno i bambini quando ragionano. Qualcosa che ha anche fare con il pensiero divergente e con la creatività.
Nel 2012 sparita la casa editrice, lentamente smettono di circolare tutti i bei libri del catalogo. 
Compreso questo. Chi ne aveva copia, l'avrà conservata ancora più gelosamente. 
Poi Antje Damm si riaffaccia nelle librerie italiane con un libro che ha una impostazione simile a Fammi una domanda!. Al punto esclamativo si sostituisce il punto interrogativo e abbiamo Cosa diventeremo? Riflessioni intorno alla natura
Anche in questo caso: un formato quasi quadrato, una domanda una immagine. Anche in questo caso alle fotografie, si alternano disegni realizzati con tecniche diverse. Anche in questo caso il libro ha il preciso scopo di creare un dialogo con il proprio lettore, bambino o adulto che sia. Metterlo davanti a questioni personali, come anche planetarie. Interrogarlo sulle proprie abitudini, sui propri pensieri, ma anche metterlo un po' in difficoltà rispetto alla crisi seria che il pianeta sta attraversando. 
Anche in questo caso le domande arrivano come sparate da un lanciapalle per allenare i tennisti: ossia vanno in direzioni molto diverse, come diversa è la loro potenza. Alte, basse, raso terra, tese, pallonetti. 
Cosa diventeremo? Riflessioni intorno alla natura, forse complice il tema più specifico, forse complice il momento complicato del pianeta, però non ha implicato di default la ripubblicazione di Fammi una domanda!, ma ne ha forse favorito un percorso carsico, facendolo riemergere forte anche della ripubblicazione in Germania per festeggiarne il ventennale, dopo ancora qualche anno, con un altro editore. 
Evviva. 

Cambiata, di poco, la copertina. Cambiate alcune foto, cambiata la formulazione di qualche domanda, complice anche una diversa traduzione e una limatura ulteriore da parte di Antje Damm, aggiunti qui e lì nuovi quesiti. 
D'altronde sono passati vent'anni e l'immaginario collettivo e la percezione che i piccoli hanno della realtà circostante è certo diversa. Come diversi sono i loro strumenti per analizzarla. 
Resta invariato il grande pregio di un libro così. 
Evviva. 
Un libro che ha la capacità di muoversi sulla superficie ma anche di andare ben in fondo, che ha il talento di saper parlare una lingua che tutti possono capire. Un libro che sa farci guardare lontano, vicino, indietro e avanti. 


Un libro intelligente e attento nella formulazione delle domande, anche sulla base dell'esperienza fatta su quelle della prima edizione. Per capirci: sulla medesima immagine di una piccolina che dipinge su un grande foglio nella prima edizione si leggeva Con che cosa ti piace disegnare? domanda che effettivamente si spegne in un attimo ora la stessa immagine è in relazione a una questione ben più complessa e diventa: Che cosa hai fatto per rendere il mondo un posto migliore? Senza contare che la relazione tra immagine e testo assume tutt'altro spessore. Perde di immediatezza ma guadagna in profondità. 
Altre piccole raffinatezze riguardano, per fare un esempio, il fatto che i papà cucinino, cosa nel 2002 non si dava per scontata e che adesso è data per assodata. O i lavori in casa a cui collaborano anche i piccoli. O le bambine ritratte sulla domanda sul ridere, o la domanda doppia riguardo al farsi bello o bella. 
Cambia il posto preferito per giocare e cambia cosa saper fare meglio di un grande... 


Sembrano sottigliezze, ma nascondono un loro preciso significato. 
Non in ognuna delle 118 domande, ma abbastanza di frequente capita anche quella rinnovata meraviglia che nasce quando immagine e testo si mettono in una relazione che non è didascalica: c'è un quid da esplorare. 


Un valore in più che Antje Damm mette sulla pagina. 
Evviva. 
Come dovrebbe essere in ogni buon libro illustrato: lo spazio 'vuoto' tra figura e parola permette al lettore di infilarcisi e di stare. 
Provare per credere.

Carla