venerdì 30 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


TRAIN DE VIE - UN TRENO PER VIVERE


LA RICERCA DELLA TERRA FELICE, Uri Orlev
Salani, 2011

NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)

" La mamma prese una bella cucchiaiata di chicchi dal vasetto e li masticò. Poi dalla bocca li riversò in una tazza di latta. Ne prese un'altra e di nuovo masticò il grano e lo passò nella tazza. Aspettavamo impazienti di vedere cosa sarebbe successo.
Quando la tazza fu piena, la mamma prese a imboccarci. Ci spiegò che gli uccelli nutrono i loro piccoli in questo modo." (p. 26)


In questo breve brano e racchiusa la sintesi di questo bel libro di Uri Orlev. 
Si tratta del racconto asciutto di quella che fu per molti l'enorme fatica del vivere in periodo di guerra e della forza di volontà estrema di una madre per salvare i propri piccoli. Il racconto prende spunto da una vicenda realmente vissuta da un bambino e dalla sua famiglia,a partire dal 1940 fino al 1947. La storia di una famiglia, quella di Eliusha, ebrea russo-polacca, in fuga verso il Kazakistan e da qui, dopo un lungo e pericoloso viaggio attraverso l'Europa in guerra, verso la successiva e definitiva destinazione: Israele.
Dopo la separazione dal padre, arruolatosi nell'esercito sovietico, i quattro ragazzini e la madre, si inventano - giorno dopo giorno - modi diversi per poter sopravvivere. Eliusha impara a raccogliere lo sterco di vacca da utilizzare come combustibile da riscaldamento, impara a pescare nel ghiaccio, impara a catturare i piccoli di cuculo e a cucinarli in brodo. Grazie allo spirito di sacrificio e all'abnegazione di sua madre, ma anche grazie al coraggio di questo bambino e alla sua intraprendenza, commista a una buona dose di incoscienza, la famiglia riesce a rimanere unita e a sopravvivere alle mille avversità della guerra e ad arrivare a raggiungere finalmente la serenità tanto sognata.
La storia ha sostanzialmente due scenari di fondo: da un lato, il Kazakistan che si identifica nella periodo di lotta più dura per la sopravvivenza, e dall'altro Israele e il kibbutz, ovvero il raggiungimento di una certa serenità, in prospettiva del ricongiungimento finale della famiglia (ad eccezione del padre, morto in guerra, più o meno a metà della narrazione).
Molteplici sono i motivi per cui questo libro può essere consigliato a giovani lettori.
In primo luogo perché racconta senza sconti, e senza retorica, con grande onestà e crudezza cosa può significare vivere in periodo di guerra (e Orlev non è nuovo a questo genere di racconti), in secondo luogo ci racconta con altrettanta asciuttezza come in guerra, i rapporti umani si modificano e, per necessità, anche ai piccoli viene chiesto di essere adulti. Tuttavia, la bellezza del libro risiede anche,e forse di più, nel lucido racconto di come era la vita contadina in una regione remota dell'Unione Sovietica negli anni Quaranta del secolo scorso e di come era organizzato il sistema sociale all'interno dei nascenti kibbutz, in terra di Israele.Tanto in un caso, quanto nell'altro sembra emergere una società solidale, costruita sui valori di una comunità in cui ogni singolo non stenta a riconoscersi, anzi è fiero di farne parte, contribuendo giorno per giorno all'accrescimento del bene comune. Valori che oggi sembrano piuttosto lontani da quelli che ispirano la nostra opulenta società occidentale.
Carla

martedì 27 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA POESIA DEGLI OGGETTI SMARRITI

DOVE VANNO A FINIRE...?, Delphine Chedru
La Margherita Edizioni, 2011

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

Dove è andato a finire il mio palloncino, volato via all'uscita dallo zoo? E il secchiello che ho dimenticato sulla spiaggia? [....] Che cosa fa il mio peluche preferito, quando lo dimentico alla scuola materna? [...] Che fine ha fatto il calzino sinistro che ho sfilato l'altra sera, prima di andare a dormire?

Questi sono solo alcuni dei quesiti fondamentali e poetici che si pone ogni bambino. E la risposta, altrettanto poetica, è contenuta in questo piccolo libro, davvero bello.
Personalmente vivo male le perdite, le dimenticanze, i distacchi. Dormivo male pensando al peluche dimenticato da mia figlia a scuola, mi disperavo più di lei quando una biglia cadeva in un tombino, o quando le cadeva un chupa-chups per terra.

Per questa ragione uno dei miei libri preferiti è Mi sono perso di Olga Lecaye e Gregoire Solotareff (Babalibri, 2003) perché, narrando di un peluche perso da una tasca di bambino, mi rassicura dicendomi che i peluche persi vivono felicemente tutti insieme in villaggi nascosti nel bosco. Meno male.
Altrettanto rassicurante è questo libro di Delphine Chedru. I palloncini volati via vanno a divertire i bambini marziani. Il secchiello abbandonato sulla spiaggia diventa una museruola per lo squalo catturato dal pesciolino sceriffo (c'era addirittura una taglia di cento milioni di dollari su di lui). E il peluche si diverte un mondo a fare lo scivolo nel parco giochi...e il calzino?? Ve lo dico dopo.

Di Delphine Chedru abbiamo visto di recente un altro libro molto interessante. Mi riferisco al grande illustrato interattivo Chi cerca e chi trova? con i testi di Giusi Quarenghi (Franco Cosimo Panini, 2010), e aspettiamo di vedere in libreria a giorni il libro-gioco Il cavaliere Coraggio (Franco Cosimo Panini, 2011), anch'esso pensato perché il bambino segua attivamente il protagonista.
In Dove vanno a finire? le domande che si susseguono non sono mai scontate, ma vanno a toccare corde profonde del nostro immaginario. 

 E lo stupore del piccolo lettore viene generato dall'insolita, fantasiosa, talvolta spiritosa, ma sempre poetica risposta silenziosa che si 'apre' allo sguardo del bambino nella pagina doppia ripiegata. Come anche negli altri libri, il disegno è costruito con apparente semplicità, ma nasconde una passione per il piccolo particolare o per il gioco.

E per chi volesse sapere dove è finito il calzino, ascolti con attenzione...


Carla

lunedì 26 settembre 2011

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

Questa settimana è davvero difficile scegliere i titoli da sottoporvi come novità; consapevole dell’arbitrarietà, azzardo questa scelta: Cielo bambino, Arianna e Teseo e, di Esopo, Favole del lupo e della volpe sapendo già che Carla ne recensirà molte altre.


Cielo bambino, raccolta di poesie di Alessandro Riccioni, con le illustrazioni di Alicia Baladan, Topipittori; le nuvole, le stelle, lil sole, la pioggia, tutto ciò che possiamo vedere guardando verso il cielo sono l’oggetto di queste poesie piccole, quasi filastrocche, che in qualche modo danno il ritmo del tempo che passa; le illustrazioni e l’impaginazione sono impeccabili, per un libro che parla sottovoce, descrive con delicatezza lo stupore dello sguardo infantile che vede al di là delle cose, asseconda le fantasie segrete dei bambini.


Le narrazioni mitologiche sono piene di amori infelici, di tradimenti, assalti e agguati divini, smemoratezze fatali, sempre per opera di divinità molto molto umane. Una di queste storie è quella di Teseo e Arianna; la figlia di Minosse, perdutamente innamorata dell’eroe greco Teseo, dopo aver consentito la sua vittoria sul Minotauro e l’uscita dal labirinto, viene abbandonata e 'dimenticata', grazie all’intervento di un dio che vuole Arianna tutta per sé; anche Arianna avrà la sua vendetta e Teseo pagherà caro il suo abbandono. La storia è bella, intrisa di quel fato che è il cuore della tragedia; finalmente il mito viene raccontato rispettandone, sia pure nella semplificazione, l’aura di sacralità. Le illustrazioni di Octavia Monaco si armonizzano al racconto, con quell’accenno di teatralità che la storia richiede.



Principi & Princìpi pubblica, di Esopo, Le favole del lupo e della volpe , con le illustrazioni 'd’epoca' (parliamo degli anni Cinquanta) di Pirro Cuniberti, pittore bolognese allievo di Morandi; devo dire che quando le ho viste, non ho potuto fare a meno di sorridere, perché quelle illustrazioni mi sono proprio familiari; appartengono ai ricordi della mia infanzia e hanno il sapore dolce del ricordo






Eleonora   



“Cielo bambino”, A. Riccioni e A. Baladan, Topipittori 2011. Età di lettura consigliata, dai 6 anni
“Arianna e Teseo. Un fragile filo d’amore”, C. Lossani e O. Monaco, Arka 2011. Età di lettura consigliata, dagli 8 anni
“Le favole del lupo e della volpe” , Esopo e P. Cuniberti, Principi e Principi 2011. Età di lettura consigliata, dai 6 anni
Se volete saperne di più, visitate i siti degli editori: www.topipittori.itwww.principieprincipi.com

NOTIZIE DOLCI E SALATE DA GRANADA


Sono tornata da Granada dove ho trascorso tre giorni bellissimi con mia sorella Maria (vedi post del 10 agosto: Viva Maria! E viva la caponata!). Ho riportato dal viaggio un frutto che non conoscevo e che viene coltivato in alcune località costiere della provincia di Granada e di Malaga: la chirimoya. Ho fotografato due frutti a Roma e in effetti risentono molto del viaggio in aereo, sono un po’ ammaccati e il colore originario é un verde salvia senza alcuna sfumatura marrone come invece si vede nella foto.



La chirimoya ha origine sulle montagne del Perù e dell’Ecuador dove cresce spontaneamente. Ho trovato anche la foto di un vaso di ceramica a forma di questo frutto che risale alla cultura precolombiana Chavín ed è conservato nel Museo chileno de arte precolombino di Santiago del Cile (qui trovate la scheda del museo con tutte le informazioni al riguardo (http://www.precolombino.cl/mods/coleccion/pieza.php?id=569#74).



I conquistatori spagnoli lo chiamarono manjar blanco per il colore della sua polpa molto dolce, cremosa, con un gusto che ricorda la pera e la banana. Fu introdotto in Spagna nei secoli XVI e XVII, anche se solo nel XIX e XX secolo se ne iniziò la coltivazione per il commercio. Oggi ha addirittura il marchio DOP: Chirimoya de la Costa tropical de Granada-Málaga.

Lunedì ho aiutato Maria nel suo locale e ho riportato in Italia per tutti quanti la ricetta degli sformatini di melanzane.
Per 6 stampini di 9 cm di diametro e 6 cm di altezza:

2 melanzane medie del tipo allungato
1 peperone rosso
2 uova
capperi
basilico
aglio
prezzemolo
latte
olio extravergine di oliva
sale

Tagliate a dadini le melanzane.
Spellate il peperone dopo averlo passato in forno caldo per venti minuti; tagliatelo a quadratini e fate saltare in padella con un filo d’olio aromatizzato da uno spicchio d’aglio la dadolata di verdure.
Sbattete le uova con un pochino di latte e unitele velocemente alle verdure ottenendo così un insieme cremoso.
Imburrate gli stampini, mettete sul fondo due o tre foglie di basilico; riempiteli e immergeteli in un bagnomaria caldo. Infornate a 200° per un quarto d’ora.
Nel frattempo preparate la salsa di accompagnamento frullando tre grossi ciuffi di prezzemolo, tre manciate di capperi e mezzo bicchiere di olio.
Una volta cotti gli sformati, fateli raffreddare per almeno dieci minuti e poi capovolgeteli e conditeli con la salsa.
Eccoli, sono già in vetrina con un delizioso cappellino rosso

Lulli

domenica 25 settembre 2011

E' ANDATA! ovvero I FROLLINI DELLA PARTENZA


Breve storia lacrimevole e piena di grandi speranze di un gruppo di biscotti viaggiatori -    Questo è un blog che parla di libri e di cucina e non di fatti personali. Tuttavia ogni tanto, pezzettini erratici delle nostre vite private, emergono qua e là nei post. Questa è una di quelle volte.
Da dieci minuti Margherita, la giovane studiosa che ho per figlia, è partita per Bologna dove domani comincia la sua università, a Chimica.
Sono stata brava, non ho pianto davanti a lei.
Non mi sono commossa quando qualche giorno fa mi ha chiesto una lista di titoli di libri che io reputo fondamentale che lei legga e le ho messo in mano Grandi Speranze e Sistema Periodico (mi parevano entrambi di buon auspicio oltre che meravigliosi). Imbambolata, ma sorridente, sono stata quasi tutta la mattina a vedere come riempiva di 'mappine' (straccetti, in dialetto napoletano: così a casa nostra chiamiamo i vestiti) e pezzetti della sua camera le molte borse e borsoni, sparsi sul pavimento della sua camera. Di nuovo senza perdere il controllo, l'ho aiutata a caricare le 4 valigie e 3 zaini in macchina. L'ho abbracciata e le ho sussurrato ancora con voce ferma che è stato davvero un piacere averla conosciuta (ma potrei aggiungere che è stato un piacere averla avuta come figlia, averla cresciuta, averla frequentata, averla vista crescere....)
Mi sono girata e sono tornata verso casa e, solo allora, due goccioloni caldi caldi mi hanno attraversato le guance, cadendo sull'asfalto. Piano, in silenzio. Non ho mosso neanche le spalle. Nessuno se ne è accorto, dietro di me.
Spero.
Tra i mille bagagli con cui ho caricato la macchina che la sta portando a Bologna, c'era anche un sacchetto di carta contenente pacchetti separati con biscotti diversi che ho prodotto nelle ultime serate per tutte quelle persone che ci sono state vicino e ci hanno dato una mano in questi ultimi tempi difficili di trasferimento da una città all'altra (alludo soprattutto alla faticosa ricerca di una casa).
C'erano biscotti per i nostri cari Laura e Fabrizio. C'erano biscotti per Giordana e c'erano biscotti per 'la Giulia'. Loro sono stati gli unici a dirci sì in un mare di 'no, mi dispiace'.
Qui di seguito la ricetta dei frollini alle noci che sono toccati in sorte a Giordana.    
Ingredienti
100 gr di gherigli di noci
90 gr di burro a temperatura ambiente
60 gr di zucchero di canna non raffinato
qualche goccia di essenza di vaniglia
125 gr farina bianca 00
un cucchiaino di lievito
zucchero a velo per ricoprirli
Scaldate il forno a 130° quindi metteteci i gherigli per una decina di minuti perché si tostino un po'. Tolti dal forno, sminuzzatene la metà, mentre l'altra metà la tritate finemente con il mixer. Montate con un frullatore, o a mano faticando molto, il burro con lo zucchero e le gocce di vaniglia: deve diventare un composto soffice. incorporate quindi le noci, poi unite la farina con il lievito amalgamando con delicatezza. Con il composto, molto oleoso (con burro e noci non si scherza) e morbido fate delle palline della grandezza di una piccola noce (se vi inumidite le mani viene più facilmente). In questa fase della lavorazione, la vera difficoltà è resistere alla tentazione di mangiarsi tutto il composto ancora crudo...
Fatte le palline, disponetele a una certa distanza l'una dall'altra (perché un po' gonfiano e si allargano) sulla leccarda del forno.
Fate cuocere per 30 minuti circa, tenendo presente che devono restare un po' morbidi nella loro parte centrale.
Da cotti e caldi (maneggiateli con estrema cura, perché si sbriciolano anche con il solo sguardo), metteteli su una graticella affinché si raffreddino, quindi spolverateli con lo zucchero a velo.
Sono in assoluto i miei biscotti preferiti, ma vanno mangiati con parsimonia. Viste le tracce che lasciano le briciole cadute su un foglio di carta (mi riferisco alla pagina del libro da cui questa ricetta proviene: Isidora Popović, Al forno. Ricette biologiche per dolci e torte salate, Logos 2010), vi sconsiglio vivamente di mangiarli leggendo un libro che non sia vostro e che dobbiate restituire in buone condizioni.
Fate i biscotti, ma fate anche un po' il tifo per la piccola/enorme Margherita da oggi in cammino!
Carla

giovedì 22 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

RI-VO-LU-ZIO-NE!

In un blog che mette insieme libri e cibo non poteva mancare:


LATTE DI GALLINA, Fabrizio Silei
Emme Edizioni, 2011

NARRATIVA PER MEDI (dai 6 anni)

"- No! Le galline sono ovipare e non fanno latte-.
- Quelle di Sfiz sì! Hanno grandi mammelle e fanno il latte. Mio nonno che vuole campare cento anni, lo compra e se lo beve tutto! - aveva sostenuto Betty la saputella. Di fronte all'evidenza, il povero maestro aveva dovuto correggersi sbuffando come un toro infuriato: Tutte le galline sono ovipare e non allattano, tranne quelle di Sfiz che, accidenti a lui, non so che diavolo di galline abbia! -"(p.10-11)

Non si può negare che il fatto sia piuttosto strano: in una fattoria dell'Oregon, un tipo di nome Sfiz alleva galline e poi le munge. Il prezioso latte che ne ricava lo vende a peso d'oro, perché, a detta sua, guarisce ogni male e non fa invecchiare.
Le galline che in origine, erano normali galline, racconta sempre Sfiz, una notte furono rapite dagli alieni, ma quando il disco volante le 'risputò ' a terra non erano più le stesse e cominciarono a produrre latte.
Latte miracoloso, a detta di Sfiz e di tutti quelli che, con la bottiglia in mano, fanno la fila per ottenerne un po'.
Il costo sempre più alto (dettato anche da spese aggiuntive come i reggipetti con pizzi francesi che le galline ora pretendono) innervosisce i compaesani che, capitanati dalla vecchia Gertrud, vogliono studiare il fenomeno da vicino e arrivare a produrre LATTE DI GALLINA LIBERO. Assoldano una fine mungitrice dalle dita delicate, rapiscono le galline e, al momento di slacciar loro i reggipetti, si accorgono che essi non contengono turgide mammelline, ma palle da tennis, da baseball, di natale, palle fatte di stracci, mele finte, mele cotogne....ah, ah! e allora da dove arriva il latte miracoloso?
Non sarò certo io a dirvelo.

Fabrizio Silei ci ha abituato al suo continuo trasformismo letterario. Riesce a passare da romanzi o storie per ragazzi di forte impegno (penso a L'autobus di Rosa, Orecchio Acerbo 2011, Bernardo e l'angelo nero, Salani 2010; Alice e i Nibelunghi, Salani 2008) a libri per più piccoli, abitati dalle bestiole che lui realizza con il cartone (penso all'Invenzione dell'ornitorinco, Artebambini 2011; CartArte, Artebambini 2010). In questo libro, pensato come prima lettura per bambini di 6 o 7 anni, Silei racconta una storiellina assurda e comica che ha il pregio di far ridere e anche di stupire un po' nel colpo di scena finale, ma anche di far ragionare sulle 'furbizie' del commercio.
E' uno libro piccolo, in brossura, con illustrazioni un po' sacrificate e sottotono per gli standard della Cantone, all'interno di una collana storica della Emme (prime letture) che ormai non attira più la nostra attenzione. Tutti fattori questi, che concorrono a rendere Latte di gallina un libro quasi invisibile. Non se lo merita: leggetelo e chissà che anche a voi non venga in mente di metter su un commercio di uova di vacca...

mercoledì 21 settembre 2011

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


L'AFRICA, I MASAI E IL CORAGGIO


Quando ho finito di leggere Il leone  di Joseph Kessel, già recensito da Carla, ero veramente perplessa, per la duplice impressione che mi provocava: da una parte un bel libro d’avventura, avvincente e scritto con abilità; dall’altra un approccio, un’atmosfera segnata, per me, da un modo folkloristico di descrivere l’Africa, considerato che è stato scritto alla fine degli anni Cinquanta. La protagonista, la ragazzina inglese, figlia del direttore del parco in cui si ambienta l’azione, vede uomini e animali che popolano l’Africa come pedine del suo gioco, anche crudele; e il giovane guerriero Masai, che osa aspirare al suo cuore, è descritto come un invasato, a mala pena vestito e tanto folle da farsi uccidere da King, il leone che Pat ha allevato e che comanda a bacchetta (tanto da essere gelosa della sua famiglia felina). Il padre, direttore del parco, che interviene per porre fine al duello mortale fra leone e Masai, per una frazione di secondo si chiede se è lecito sparare al leone (!) . Nello stesso tempo, il moran, cioè il giovane guerriero che deve affrontare ancora la prova di coraggio che lo farà entrare definitivamente nel mondo adulto, è talmente fuori di sé da farsi abbindolare da una ragazzina che lo manipola così come manipola il leone; è un selvaggio che si nutre di latte e di sangue, irretito dall’orgoglio e dall’esaltazione guerresca. Sarà stato perché questo personaggio femminile è ostico da digerire, incosciente in quanto ragazzina, ma sapiente nello sfruttare i sentimenti altrui, ho fatto fatica a prendere le distanze da una descrizione del genere, lontana, per fortuna, dalla sensibilità contemporanea verso le culture 'altre' (che nel frattempo, spesso, sono state omologate e inglobate)! E che filtro robusto bisogna fornire ai giovani lettori per scremare l’avventura, avvincente quanto si vuole, da questo approccio molto segnato storicamente.

I bellissimi, fieri e coraggiosi guerrieri, pastori transumanti, atleti formidabili, ornati da collane e bracciali ormai conosciuti in tutto il mondo, fanno parte del mito e in questo modo entrano in una storia di tutt’altro taglio, scritta e illustrata da Thierry Dedieu ed edita da L’Ippocampo junior (www.ippocampoedizioni.it) in due volumi: Yacouba e Kibwe (La storia di Yacouba).
  

Anche qui, col tono della leggenda e abbandonando la cifra del realismo, si affrontano un piccolo moran, Yakouba, e un leone, Kibwe. Il leone è stremato da uno scontro con un suo pari e si rivolge al ragazzo dicendogli che non c’è onore nel battere un avversario nelle sue condizioni. Ma non affrontarlo significherà per lui il discredito presso la sua tribù. Il ragazzo sceglie il coraggio di dire no, la morale individuale vince sull’etica collettiva; pagherà il suo prezzo, verrà posto ai margini del gruppo, a pascolare la mandria di vacche. Ma questa mandria non sarà più attaccata dai leoni. I due protagonisti si incontrano nuovamente nel secondo libro, in cui, fedeli alla propria amicizia, saranno costretti a separarsi per sempre.
Questa volta la figura del guerriero Masai è vista come metafora di quel passaggio all’età adulta che richiede scelte difficili e atti di coraggio non sempre prevedibili. Il coraggio si misura nel numero di leoni abbattuti (questa sì, è la logica del grande cacciatore bianco), o nel saper riconoscere nella vita dell’altro un valore e una dignità irriducibili? E’ auspicabile ricevere il consenso del proprio gruppo, anche a scapito di ciò che si ritiene giusto, o è preferibile conservare il rispetto di se stessi, magari a costo dell’isolamento, sia pure momentaneo? Sapere di essere nel giusto rende abbastanza forti da sopportare la distanza dal resto della comunità? Il libro ha un testo breve (è pur sempre un illustrato) e affida l’efficacia del racconto alle immagini, con la forza del tratto nero che sottolinea l’essenzialità della storia; è l’esempio di come si possa trattare con semplice evidenza anche discorsi difficili, che un ragazzino magari non è in grado di razionalizzare, ma che hanno molto a che fare con il diventare grandi all’interno di un gruppo di 'pari'.

(Sul tema del conflitto fra etica pubblica ed individuale, nonché sul tema del passaggio di tradizioni da una cultura all’altra, guardate anche il bellissimo Antigone, riduzione per i ragazzi indiani dell’omonima tragedia greca, realizzato da Gita Wolf e Sirish Rao per la Tara Books; il libro è tradotto in italiano dalle edizioni Lapis www.edizionilapis.it).

Eleonora

"Il leone”, J. Kessel, Salani 2011
"Kibwe“ T. Dedieu, L'ippocampo junior 2007
Yakouba”, T. Dedieu, L’ippocampo junior 2009

domenica 18 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


PAPA', SEI UN DIO!!

L'OMINO E DIO, Kitty Crowther
Topipittori, 2011

ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni) 

"«Chi sei?» domanda educatamente.
«Sono Dio»
«Sei Dio? IL DIO?
Non ti immaginavo assolutamente così.»
«Primo, non sono il Dio. Sono un dio.»
Questa la devo ricordare, pensa l'omino. "



Un omino - dolcevita, giacchino bianco e pantaloni a sigaretta neri - passeggia. Su una pietra è seduta una figurona piuttosto informe, avvolta da un alone luminoso: è Dio. Uno dei tanti, a suo dire. Un omone con cui l'omino comincia a discorrere. Fatte le dovute presentazioni, l'omino non resiste all'idea di mettere alla prova le capacità trasformistiche e così Dio diventa coniglio, gorilla o capo indiano. "Sembri mio padre" dice l'omino e poi lo invita a casa per pranzo. Un giro allo stagno, dove Dio cammina sull'acqua perché non sa nuotare come omino, una sosta tra gli alberi dove Dio vola perché non sa arrampicarsi come omino. Arrivata la sera, i due si dividono, non prima però di aver notato un punto di contatto: il nome, Teo. Ognuno torna a casa propria con i propri pensieri: l'omino pensa che un giorno così lo ha cambiato per l'eternità. Dio, tornato da sua moglie, prepara la cena, progetta un tuffo nello stagno e spera un giorno di imparare ad arrampicarsi sugli alberi come Teo.

Dai libri di Kitty Crowther sono attratta naturalmente. Non posso mai fare a meno di aprirli e perdermi nelle sue tavole che ricordano disegni fatti da un bambino creativo e zelante nell'arte del colorare con i pastelli.
Come è arrivato in libreria, sono stata convocata da Eleonora perché ci teneva che lo vedessi e che ne discutessimo un po' assieme. Fatto. Seduta sul solito sgabello, l'ho letto e riletto e il primo pensiero che ho fatto è stato: questo libro ha due pagine di troppo, le ultime. Però ho anche pensato che Kitty Crowther di norma non racconta storie inutili. E anche Giovanna Zoboli e Paolo Canton, in qualità di editori, non hanno mai pubblicato storie il cui senso non fosse sotto gli occhi di tutti. Quindi evidentemente ero io che stavo sbagliando.
Ci ho ripensato e ho cambiato prospettiva. E ha funzionato.
Un omone e un omino o, se preferite, Teo e Dio (ovvero la stessa cosa) che fanno un tratto di strada assieme. Ho capito, ho capito cosa mi stava raccontando. Ora è tutto chiaro.
In quell'omone che Teo vede come Dio, si nasconde un bel papà: affettuoso, apparentemente fallibile, generoso, stupefacente.
E in quell'omino si nasconde un bambino, sognatore, infallibile, curioso, affascinato.
A me pare una delicatissima metafora del legame padre-figlio, grande-piccolo laddove il grande asseconda e incentiva sogni e talenti del piccolo, anche a costo di qualche piccola bugia. E il piccolo, intimidito dall'autorevolezza, vede nell'omone un punto di riferimento, un affascinante adulto che non smette mai di stupirti, un ideale cui aspirare che porta in sé un pochino di te.
Vedete, così funziona tutto, anche le ultime pagine, che raccontano (o forse sarebbe più onesto dire che mi ricordano) una delle tante serate in cui due genitori, dopo aver assistito alle fantasmagorie di cui il loro bambino è stato capace durante il giorno, lo hanno messo a dormire e ora, nella tranquillità, in un mondo di soli adulti, si accorgono di quanto 'divini' debbano essere per lui. Genitori che non si sottraggono al loro ruolo di 'giganti luminosi' per il loro piccolino.
E' davvero un libro gigante. E luminoso.
Carla


LA MARMELLATA DELLA PREOCCUPAZIONE


La figlia unica e prediletta va a fare l'università a Bologna e parte tra una settimana. Sono giorni convulsi e un tantino agitati. Fino a 48 ore fa non aveva ancora trovato una camera che accogliesse lei e il suo disordine. Ero davvero preoccupata. E quando sono preoccupata, non riesco a pensare molto. Le mie idee vanno sempre verso il problema e lì si avvolgono tra loro. La cosa migliore è fare cose con le mani e la marmellata (soprattutto se già fatta altre volte) è una di queste.
Alle 12 e mezza sono corsa al mercato di Ponte Milvio e dal mio amico di Montelibretti ho comprato - a saldo, vista l'ora - le susine Stanley che sono perfette per questa marmellata. 


E ho cominciato.

CONFETTURA (o marmellata)  di SUSINE

ingredienti:
3,5 kg di susine già pulite
2,8 kg di zucchero
1 bicchiere di rum (facoltativo)
1 cucchiaino di cannella
succo di un limone

Tagliate a pezzettini le susine e mettetele in un pentolone con lo zucchero, il rum, il succo di limone e la cannella, mescolate con un cucchiaio e poi lasciate lì per due ore.



Trascorso il tempo, mettete sul fuoco moderato e di tanto in tanto mescolate e schiumate, se necessario. Passati circa 20 minuti, introducete un minipimer nel pentolone e frullate in modo che non rimangano pezzi troppo grandi (la durata di questa operazione è a totale vostra discrezione, se volete i pezzettoni, poco minipimer, se la volete con la frutta ridotta a molecole, molto minipimer). Se non avete il minipimer, potete tranquillamente passarla nel frullatore: funziona lo stesso.
Continuate a farla cuocere (meglio se scoperta ed eventualmente a schiumate) a fuoco basso per altri 40 minuti circa. Fate i soliti controlli per verificare che non stia caramellando ma che non sia troppo liquida, versando un po' di marmellata su un piattino e facendola freddare rapidamente (un 'giro' nel freezer è l'ideale).
Ancora bollente, la marmellata va versata nei barattoli che vanno riempiti fino all'urlo (così diceva il piccolo francesco, amico di mia figlia, quando ancora non dominava alla perfezione l'italiano) e quindi chiusi e messi capovolti, uno vicino all'altro, tutti avvolti in un plaid caldo, in modo che il calore si disperda il più lentamente possibile. Io non mi chiedo il perché di certi gesti, perché sono ubbidiente, fideista e anche scaramantica. Fatelo anche voi.

 Carla

sabato 17 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


CON OCCHI SFAVILLANTI

LA SEDIA BLU, Claude Boujon
Babalibri, 2011

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"«E' una sedia», disse Bruscolo.
«E' una sedia blu», precisò Botolo....che subito la fece diventare un rifugio. «Mi piacciono molto le sedie», dichiarò. «Ci si può nascondere sotto.»"

In un deserto, molto deserto, che riempie con la sua sabbia giallina l'intero libro, quasi all'orizzonte si intravede una macchia turchese. Voi avreste resistito alla tentazione di andare a vedere? Loro, no. Due canidi, Botolo, color Pluto (un tono di marrone che non ho mai visto addosso a nessun cane vero), amante della precisione, e Bruscolo, nero e longilineo, vanno a vedere cos'è. E' una sedia, una sedia turchese (se preferite, color uovo di pettirosso: anche a me piace la precisione).
Una sedia, dimostrano i due amici, può essere molte cose: rifugio, barca, scrivania, camion dei pompieri...basta guardarla con occhi giusti. Il camelide che sopraggiunge, con occhi non proprio sfavillanti, nella sedia vede solo una sedia e quindi...ci si siede. E Bum! Patatrac. Fine del gioco.

Il mondo è fatto così: realisti e sognatori. I realisti vedono il mondo come è, i sognatori come potrebbe essere. I realisti vedono le cose vicine, i sognatori guardano all'orizzonte.
I realisti si siedono su una sedia, i sognatori la tengono in equilibrio sulla punta del naso.
Immaginare, avere gli occhi giusti per saper immaginare, è prerogativa dei più piccoli. Ma, permettetemi di dire che conosco un buon numero di adulti che quello sguardo particolare non lo hanno mai perso. E' la loro capacità di vedere al di là delle cose che li rende speciali.
Un libro bellissimo che mi pare sintesi perfetta dell'idea di immaginazione.
Con pochissimi elementi, pochissimi colori, pochissimi tratti, pochissimi personaggi Claude Bounjon riesce a raccontare l'universale.
Munari (ecco, lui è uno di quegli adulti cui alludevo prima) diceva che complicare è facile, semplificare è difficile. Concordo. Questo libro è un capolavoro di semplicità.
Ma siccome io penso, come Bruscolo e Botolo, che una sedia non sia solo una sedia e che un libro non sia solo un libro, mi preme dirvi che La sedia blu racconta bene anche la storia di questo blog: due sognatrici (alle quali se ne è aggiunta una terza) che decidono di giocare seriamente con ciò che incontrano sul loro cammino, con sé stesse, con gli altri, con le cose che amano e magari anche, un giorno chissà, con una sedia turchese, ma - possibilmente - sempre a debita distanza dai camelidi.
A tutti i bambini cui leggerò questo albo, suggerirò di rimanere come Bruscolo e Botolo e di usare sedie e tavoli come rifugi, casette o piste di atterraggio, temporaneo.

Breve postilla dolorosa e speranzosa: Claude Bounjon è morto nel 1995 - e qui è l'aspetto doloroso - ma in Italia sono ancora pochi i suoi libri pubblicati (con Babalibri Il litigio, Povera Gelsomina, Le minestre magiche, Buon appetito, Signor Coniglio: www.babalibri.it), ma in Francia con L'ecole des loisirs (www.ecoledesloisirs.fr) sono addirittura 29 - e qui è l'aspetto speranzoso...

carla

giovedì 15 settembre 2011


OLTRE IL GIARDINO DEI BIRICOCCOLI
 Venerdì 9 settembre c’è stata l’inaugurazione della quinta edizione di Pomarium, dieci giornate per il frutteto amatoriale (http://www.pomarium.net/), organizzato dal Parco vivai Belfiore a Lastra a Signa, vicino a Firenze. Questo vivaio da ventotto anni si occupa di recuperare piante da frutto antiche e oramai desuete. Il luogo è bellissimo, lo spazio è molto esteso, ma ciò che mi ha colpito è che esistono moltissime varietà di mele, pere, fichi rispetto a quelle che comunemente troviamo, non dico al supermercato, ma anche sui banchi dei nostri mercati rionali: più di trenta varietà di mele, altrettanti tipi di fichi e di pere. E poi piante da frutto per me completamente sconosciute come, per esempio, l’azzeruolo, una sorta di piccolissima mela, e il biricoccolo, un ibrido naturale tra albicocco e susino. Tutte queste coltivazioni sono state quasi completamente accantonate, dimenticate a favore di alberi da frutta con un rendimento commerciale decisamente più vantaggioso per i coltivatori, a scapito di un impoverimento della varietà e della biodiversità.
Questa meraviglia è stata amplificata ancora dall’incontro nel pomeriggio con Libereso Guglielmi, giardiniere classe 1925 che, da ragazzo, entrò con una borsa di studio nella Stazione sperimentale di Floricultura che Mario Calvino, il padre dello scrittore, aveva creato nei giardini di Villa Meridiana a Sanremo.


Libereso, il ragazzo che nel racconto di Italo Calvino, Un pomeriggio Adamo, innaffia le piante di nasturzio “piano piano, come versasse caffelatte”, con la sua maniera di raccontare che è un continuo fluire di ricordi, ha sostenuto con grande entusiasmo l’importanza di introdurre nella scuola dell’obbligo lo studio delle piante cosicché i bambini sappiano riconoscere e siano in grado di raccogliere le erbe e i fiori ‘mangerecci’.
Nel 2008 è stato pubblicato dalla casa editrice Socialmente un libricino dal titolo Oltre il giardino, le ricette di Libereso Guglielmi, a cura di Claudio Porchia. Si tratta di una raccolta di appunti tradotti in ricette e di disegni realizzati dal grande maestro. Sono ricette sintetiche, a volte mancano dei passaggi, a volte ingredienti citati nella lista non si ritrovano nella preparazione, ma vale la pena provarle perché vi si ritrova il suo flusso di parole e di forza.

Ho preparato la torta di nocciole che mi sembra adatta per la prima colazione:

100 gr di nocciole
200 gr di farina
200 gr di zucchero
1 tazza di olio extravergine di oliva
5 uova
un bicchiere di latte
la scorza di un limone
mezza bustina di lievito

Tostate le nocciole in forno per un quarto d’ora a 190°. Pestatele nel mortaio. Impastate la farina, le uova, lo zucchero, l’olio e il latte. Unite le nocciole, la scorza di limone grattugiata e il lievito passato al setaccio. Cuocete nel forno a 170° per 40 minuti.



Lulli

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


Comincia un periodo, quello che precede il Natale, in cui si concentrano moltissime novità per ragazzi e bambini: diventa davvero difficile scegliere e non se ne voglia chi non rientrerà in questa rubrica. Questa settimana ho scelto i libri di due editori non proprio grandi, per invogliare i nostri lettori ad andare a spigolare fra gli scaffali delle librerie.


 













Il primo: Pulcette in gran forma con Le pulcette in giardino, di Beatrice Alemagna, seguito de Nel paese delle pulcette: le vivaci pulcette vogliono uscire dal loro vecchio materasso e fare nuove amicizie; ma è difficile fare amicizie se si è pieni di pregiudizi…
Realizzato da Phaidon, cartonato adatto anche ai bimbi di 4/5 anni, ancora una volta Beatrice Alemagna stupisce per la semplicità con cui affronta una tema grande come quello dei pregiudizi e per la mirabile tecnica, un po’ cucito, un po’ collage che ha utilizzato anche nel precedente

Il secondo: il coloratissimo Emozioni, di Mies van Hout, Lemniscaat. L’idea guida del libro è semplice: rappresentare le diverse emozioni attraverso le espressioni di pesci variopinti; la scelta tecnica (colori molto intensi su sfondo nero) è di grande impatto visivo e, nello stesso tempo, ironica: come non riconoscersi nel pesce infuriato, o nei colori smorti del pesce annoiato…Un libro per parlare di emozioni e, magari, per giocare alle facce. Lemniscaat è un editore olandese non grande, che si fa notare alla Fiera di Bologna per le meravigliose tavolate imbandite con prosciutti vari e parmigiano (e forse anche per questo gli vogliamo bene); ma lo seguiamo con piacere anche per i libri davvero belli che ogni tanto ci regala, come “La casa sull’albero”, premiato a Bologna nel 2010.

Eleonora

Le pulcette in giardino”, B. Alemagna, Phaidon 2011. Età di lettura consigliata, dai 3 anni.
Emozioni”, M. Van der Hoot, Lemniscaat 2011. Età di lettura consigliata, dai 3 anni.
Se volete saperne di più, visitate i siti degli editori: it.phaidon.com/store, www.ilcastelloeditore.it

mercoledì 14 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


LA RISCOSSA DEL PECORINO

AMANDA E IL CIOCCOLATO, Bernard Friot, Anne Herbauts
Il Castoro, 2011

NARRATIVA PER MEDI (dai 6 anni)





 “Ti prego, Amanda, assaggia questo”, la supplica. L'ho creato apposta per te. Si chiamerà il Quadratino Amanda”
No, no e no!” grida Amanda. “Ho detto di no ed è no. Punto e basta! Non ne posso più dei tuoi cioccolatini. Voglio carote, carne al sangue e trippa!” (p. 4)

Questo è quello che la esasperata Amanda urla al suo papà, maestro cioccolataio, quando gli propone l'ennesima leccornia dolce. Amanda Pralina Sacherina, figlia del più famoso cioccolataio della regione, non ne vuole più sapere di mangiare dolci: lei vuole gorgonzola, fontina e pecorino puzzolente. Questo rifiuto genera nel suo affettuoso e 'dolce' papà il più nero sconforto. Tra dubbi esistenziali e crisi psicologiche, Gianpiero Fava cioccolataio decide di dare vita a una nuova creazione: barretta al cioccolato con pomodoro e formaggio fuso. Forse con questa riuscirà a riconquistare il cuore della sua amata bambina...Il racconto si ferma qui e poi il lettore si trova davanti a una scelta di tre diversi finali. Uno di tipo 'sociale' (o sarebbe più corretto definirlo 'socialista'?) uno di tipo 'romantico' tout-court' e un terzo di tipo 'gastronomico'.
La storia, pur essendo piccola e senza grandi pretese, sta su molto bene: è divertente per esempio nella scelta dei nomi ed è comica o tenera in più di una situazione. Sa essere imprevedibile e sottile in più di un caso. Bernard Friot si riconferma un grande autore anche nelle cose 'piccole' come questo librino. Inoltre è affiancato dalla, come sempre bravissima, Anne Herbauts, particolarmente ispirata, forse anche grazie al tema della cioccolata che a un belga (quale è lei) non può certo risultare indifferente. Come sempre gioca sugli scorci, sulle improvvise alterazioni di dimensioni delle figure, sul raffinato uso di carte per il collage e timbri, nonché di una gamma di colori inconsueti in un libro per bambini: i diversi toni del marrone, certamente suggeriti dalla materia prima che 'farcisce' il libro in questione.
Molto meno interessante è, a mio giudizio, l'altro titolo di Friot all'interno della stessa collana: La lavagna chiacchierona, ma d'altronde tra una tavola di cioccolata e una tavola di ardesia voi quale scegliereste?

domenica 11 settembre 2011

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN FURBO IN CUCINA

ZUPPA DI NIENTE, Darabuc, Rashin Kheiriyeh
Logos, 2011

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

Nella vita vera, detesto i furbi e gli imbroglioni. 
Nelle fiabe, è un'altra cosa. Lì, faccio un'eccezione per tutti quei furbi che puniscono la stupidità. Altro difetto che tollero poco. Per questa ragione, adoro i due sarti che mettono in mutande l'imperatore, adoro il Piccolo Claus che imbroglia il Grande Claus e, più in generale, mi schiero dalla parte dei piccoletti e poveretti che nella scaltrezza trovano l'unica loro arma contro i più grandi e i più ricchi e i più potenti.
Ed ecco perché vi propongo questa storiellina che con la fiaba della tradizione popolare ha molto a che fare.

"Con più polvere sulle scarpe che denari nel borsello, bussarono alla porta del palazzo Mariavolpe e Piergatto. - Signore, avrebbe qualcosa da darci...? Un tozzo di pane, una tazza di brodo...? - Macché niente. Sono povero come un cesto senza pane e una pentola senza brodo - mentì Giantopo."


Così si incontrarono due furbacchioni e uno sciocco avaro.
Mariavolpe e Piergatto, probabilmente reduci dal loro ultimo colpaccio ai danni di un burattino di legno e non ancora dismessi i loro abiti da mafiosi americani anni Trenta, sono in cerca di cibo a sbafo. E cosa c'è di meglio che ottenerlo con l'inganno da un topetto taccagno che pensa di essere furbo?
Il gioco è semplice. Basta avere due sassi in tasca, un po' di faccia tosta e, naturalmente, una buona idea.
Come già nella fiaba della tradizione brasiliana intitolata Zuppa di pietre (F. Lazzarato, Il pappagallo che fa cra-cra, Mondadori 1995) il furbo Pedro Malazarte ottenne da una vecchia avara una squisita zuppa, mettendoci di suo solo due sassi, così Mariavolpe e Piergatto preparano con i succulenti ingredienti, ottenuti senza parere dallo sciocco topo, un'ottima minestra. Tuttavia la cattiveria non ha limiti e, se almeno Pedro condivise con la vecchia la zuppa, qui Giantopo deve accontentarsi di sgranocchiare la parte più tenera dello stufato, ovvero i sassi.
Come nella migliore tradizione dei libri Logos (collana Oqo. Ve ne ho già accennato in altri post...), anche qui si ritrova un testo divertente, al limite della filastrocca nel suo ripetersi, che Darabuc aveva già proposto, per es. in Occhiobrusco (ill. Maurizio A.C. Quarello, Logos 2009). A questo si aggiunge l'ironia dei disegni della giovane e pluripremiata illustratrice iraniana Rashin Kheiriyeh. Le sue tavole prendono corpo attraverso l'uso alternato di tecniche quali la texture con pastosi colori a olio dalle tinte pastello, il collage e il tratto leggero di una matita. Il tutto organizzato con tagli di prospettiva insoliti e mai banali.
Ecco dunque un altro libro Logos che valeva la pena di aspettare.

Tuttavia, con tutto questo scrivere di zuppe e di sassi, non posso non citare quello che io considero, nella tradizione del genere, un Libro con la L maiuscola: Zuppa di sasso (scritto e magistralmente illustrato da Anais Vaugelade e pubblicato da Babalibri nel 2001). 

E' uno di quei libri che - dico sempre ai bambini - se non lo hai letto potrai diventare alto, ma non crescere, diventare grande...(di solito dopo questa mia sentenza rimangono perplessi, eh eh).
Protagonista un lupo vecchio e senza denti che, in un sacco sulla spalla, porta a fatica un pesante sasso. Gallina, maiale, cavallo, oca, pecora capra e cane, dapprima sospettosi, ma in seguito ben contenti dello stare in compagnia, contribuiscono inconsapevolmente a creare un gustoso minestrone secondo la sconosciuta ricetta del lupo. Zuppa di sasso mi è sempre piaciuto per questa sua atmosfera sospesa, ribadita secondo me dal piccolo disegno finale che non vi svelo. Sguardi perplessi e atmosfera sospesa, in cui ciascuno sta un po' a guardare quello che fanno gli altri e poi vi si adatta. A parte il lato thriller che io ci trovo, quel che resta in testa, una volta chiuso il libro, al di là della furbizia del lupo e della dabbenaggine degli altri, è la sensazione che tutti abbiano comunque passato del buon tempo assieme, compreso tu che sei il lettore.
E questo fa la differenza.
carla

venerdì 9 settembre 2011

MANGIARE CON GLI OCCHI


Penso che la bellezza sia una caratteristica importante di ciò che mangiamo. La bellezza, che è poi anche bontà, nasce dalla cura con cui un piatto è stato preparato, dall’attenzione con cui sono stati scelti gli ingredienti e anche dalla maniera in cui viene presentato.
Per questo oggi ho preparato il pesto e l’ho utilizzato per riempire dei pomodori di Pachino di tipo ciliegino. Li ho messi dentro i pirottini che si usano per cioccolatini e pasticcini (tutti rigorosamente ‘ini’).
Prima di tutto affrontiamo l’annoso argomento della materia prima: abito a Roma e il basilico di Prà (basilico genovese a denominazione di origine protetta) non lo trovo. Ogni volta che vado a Genova compro al Mercato orientale questa meravigliosa erba aromatica di color verde tenue, dalle foglioline ovali il cui profumo è delicato e senza tracce di menta. Oltre ad avere queste caratteristiche fisiche, in Liguria del basilico si raccoglie la pianta intera quando è piccola e assolutamente senza fiori. Infatti viene venduto in mazzetti con le delicate radici ancora ricoperte dalla terra che ne protegge l’umidità e avvolte in carta velina.
A Genova Prà esiste anche il Parco del basilico che dal 2006 si trova all’interno di Villa Doria-Podestà (http://www.parco-basilico.it/).

Per la prima volta mi ritrovo a scrivere le dosi del pesto: l’ho sempre preparato a occhio assaggiando via via la salsa durante la preparazione.
Oggi invece ho pesato tutto!
Ho usato:
190 gr di foglie di basilico (già pulite dai rametti)
150 gr di parmigiano reggiano grattugiato
30 gr di pecorino grattugiato
70 gr di pinoli
1 spicchio d’aglio piccolo
olio extra vergine di oliva ligure (dal sapore delicato in maniera da non coprire troppo quello del basilico) sufficiente ad amalgamare il tutto



Altra questione: il mortaio di marmo e il pestello. Tempo fa ho provato a usarlo iniziando con l’aglio, aggiungendo poi il basilico e tutto il resto ma sono riuscita a preparare il pesto per condire al massimo le trenette di due persone, non di più. Mi riservo, però, di dedicare un intero post al pesto  - che bel gioco di parole - con il mortaio, perché lo merita!
Quindi uso il mixer con l’accortezza di mettere il bicchiere e la lama nel congelatore qualche ora prima di usarlo in maniera che la salsa non si scaldi troppo
Nel mixer, quindi, metto in sequenza: l’aglio, le foglie, parmigiano e pecorino, i pinoli e infine l’olio.
É fondamentale assaggiare per sentire se è necessario aggiungere altro parmigiano o altri pinoli per renderlo più dolce (soprattutto in mancanza del basilico di Prà).
Ho svuotato i pomodorini dai semi, li ho lasciati riposare capovolti sullo scolapasta e poi li ho riempiti.
Eccoli, sono bellissimi.

Lulli