venerdì 29 aprile 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

L'ARCHEOLOGIA DEI SENTIMENTI 

La fisica degli abbracci, Anna Vivarelli 
Uovonero 2021
 

 NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni) 

"La sera del ventun settembre Guglielmo 'Will' Malvasi aveva cenato al tavolo degli insegnanti - zuppa di pollo, due fette di roast beef, composta di mele - , per oltre un'ora aveva giocato a backgammon con un collega in una delle salette riservate ai docenti, e alle nove e mezza era uscito dalla sala. Da allora nessuno l'aveva più visto. Non aveva portato con sé né cellulare né computer né abiti né libri né oggetti da toeletta. Erano seguiti indagini e appelli, erano stati controllati treni e aeroporti. Il ragazzo non possedeva un'auto e non risultava che avesse chiamato un taxi. Non aveva lasciato biglietti o messaggi sul computer." 

Quello stesso pomeriggio, sulle rive del Cam, era stato trovato un paio di scarpe da ginnastica identiche (ma mai usate) a quelle che Will era solito indossare. Il vecchio Malvasi, il nonno ricco ingegnere, è arrivato a Cambridge, accompagnato dal suo avvocato, per capire qualcosa della scomparsa del nipote, docente - a soli quattordici anni - nel prestigioso college. La sua breve permanenza, due chiacchiere con un elusivo anziano signore indiano, tale Anantram Vikram, non portano a nessun risultato. 
Will Malvasi, bambino ad alto potenziale cognitivo addirittura maggiore di quello di Einstein, ha una storia familiare non invidiabile: genitori 'sgangherati' che di lui non si occupano mai, sempre con delle tate che si avvicendano e che non sanno come muoversi di fronte alle sue continue stranezze. A due anni parla, legge e scrive correntemente in due lingue; a sette anni si diploma, a nove entra a Cambridge e a undici anni è arrivata la laurea e lo studio del mandarino, dell'ebraico , del tamil, dell'arabo e dell'indi e dell'urdu. A dodici anni tiene i suoi corsi universitari e si specializza in fisica delle particelle. Non uno qualsiasi. E ora è scomparso. Forse è morto, o così vuol far credere a tutti, con la complicità di un suo 'collega' anziano, un Nobel per la fisica indiano. La scomparsa di Will, a quattordici anni, sette mesi e sette giorni, non è che la prima di una serie. 
Finire nel nulla è la sua specialità. Per lui, la scelta è semplicemente necessaria per mantenersi a debita distanza dagli altri.
Sebbene tutto nella sua vita sia frutto di un programma, quando entra in gioco il caso, le cose cambiano: sarà un colpo di tosse e lo sguardo febbricitante che lo renderanno visibile agli occhi di una cinquantenne sovrappeso che, stanca dopo una giornata di lavoro come badante, aspetta il 51 alla fermata in una strada di Torino. 
Questa è la storia del loro incontro, il racconto delle loro vite passate e di un pezzo di vita che decidono di fare assieme. Due solitudini, tra loro molto diverse, che per una porzione di tempo collimano e incredibilmente hanno il potere di tenere insieme altre esistenze solitarie - grazie a qualcosa che è paragonabile a un abbraccio. 

Gran libro. Assolutamente da non perdere. 
Un inizio che è puro piacere. 
Prima di tutto, in esergo, un indizio sulla difficoltà del vivere nel mondo degli uomini. Quindi, una dozzina di righe in corsivo, che sono le parole che il protagonista pronuncia davanti ai suoi lettori per riassumere chi lui sia e un punto di partenza tutto nuovo: la sua scomparsa. Poi le prime pagine si dedicano a una sequenza di fatti. All'improvviso, zac, cambio di scenario e di tempo: un taglio netto. 
Bel modo di cominciare una storia: impossibile resistere al desiderio di saperne di più. In primo luogo di questo ragazzo che, a causa della sua plusdotazione, ha un sacco di problemi a livello sociale, ma anche di cosa significhi nei fatti condurre un'esistenza solitaria, con il perenne desiderio di una qualche parvenza di normalità: non aver amici, sentirsi corpi estranei, prodigi importuni
Attraverso le vite dei due protagonisti principali, Will e Dora, conosciamo due mondi molto diversi che però condividono una esperienza comune: la solitudine. 
Da una parte questa donna rumena che ha alle spalle un passato complicato. Un'infanzia povera ma, nonostante l'abbandono del padre, spensierata e speranzosa - come dovrebbero essere le infanzie - un figlio un po' mascalzone temporaneamente in carcere, un marito che l'ha resa vedova presto ma che ha sempre saputo apprezzare la sua arte in cucina, al contrario della vecchia signora a cui fa adesso la badante e che predilige i piatti insipidi. Dora vive in una casa piccola e spoglia, con pochi soldi di stipendio. Piange almeno una volta alla settimana, come terapia purificante. 
Dall'altra questo ragazzo sempre in fuga, dalla famiglia, da tutti quelli che sono 'normali', e anche da quelli che sono come lui, menti eccelse. In fuga dal contatto umano, sia quello fisico, sia quello emotivo. Votato alla continua ricerca di diventare invisibile. 
Intorno a loro ruotano personaggi tangenti che però ricoprono ruoli imprescindibili per la costruzione dell'impianto narrativo che, va detto con chiarezza, è un piccolo capolavoro di precisione. 
Colpisce davvero l'opera di delicato scavo che Anna Vivarelli compie intorno alle anime di tutti costoro. Come un'archeologa in cerca di sentimenti, pulisce con cura con i suoi strumenti letterari - attraverso un linguaggio preciso e con una sensibilità rara - le figure dei suoi personaggi, con rigore pulisce dal superfluo e mette in luce solo quello che è utile per capire e interpretare. 
Alla fine di tutto, tra sorrisi e lacrime, ce li restituisce in modo che di loro siano visibili non solo i contorni, le forme chiare che escono dal terreno, ma anche e soprattutto lo spessore del loro essere lì, di quello che è stato il loro sentire nel corso del tempo, appunto. 
Un libro che tutti dovrebbero leggere, non solo per riflettere, una volta chiuso, sul senso che si può dare alla propria esistenza, sul ruolo anche molto diverso che l'affettività gioca nelle nostre vite, sulla difficoltà cui allude la frase di Natsume Sōseki al principio del libro, e naturalmente su cosa significhi essere cognitivamente superdotati, ma anche sulla volontà quasi caparbia di voler credere che seminare qualcosa abbia sempre un suo senso. Prima o poi qualcosa spunterà. 
E' uno dei modi che abbiamo per voler e volerci bene. 
Piantare qualcosa nel cuore di qualcuno che per sua natura deve tenersi lontano da qualsiasi calore umano, fisico o ideale che sia, coltivarlo, prendersene cura nonostante tutto, annaffiarlo, nutrirlo senza mai perdere la speranza che un giorno da quel terreno apparentemente arido qualcosa germogli... non è roba facile, ma è di questo che si tratta.
La vita di Dora (che porta il nome del più bel fiume che io conosca) e, in qualche misura, anche quella della professoressa Chiari, la vita di Will e forse anche quella di Anantram Vikram, sono lì a dimostrare che questo può accadere. 

Carla

mercoledì 27 aprile 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

INDAGANDO ANCORA GLI UCCELLI

Britta Teckentrup aveva già esplorato il mondo dell’ornitologia un paio di anni fa, dedicando un libro all’uovo. Ed ecco qui un secondo volume, sempre pubblicato da Uovonero, dedicato al piumaggio: ‘La penna’ racconta con rigore analitico un altro elemento caratteristico degli uccelli, affiancando un testo pensato e scritto con uno schematismo molto razionale a tavole che riescono ad essere contemporaneamente realistiche e suggestive.
Il testo è denso di informazioni che tendono a sottolineare i punti fermi delle definizioni, che analizzano struttura e funzioni del piumaggio: quindi progressivamente si descrivono le parti di una penna, la sua struttura e le diverse caratteristiche che le penne assumono a seconda della funzione che svolgono; ci sono le penne ‘di contorno’, timoniere e remiganti; ma ci sono grandi differenze anche in base alle caratteristiche del volo, con uccelli destinati a coprire grandi distanze, oppure a svolazzare all’interno di una foresta; ci sono uccelli marini ed altri, ormai non più volatori, che passano la loro vita nel freddo estremo del polo sud.


In realtà il testo è estremamente analitico, riportando con precisione e molti dettagli le tante caratteristiche dei diversi tipi di uccelli. Non mancano accenni agli antenati preistorici e all’uso simbolico e decorativo che le penne hanno avuto nella storia umana.
Trattandosi di un lavoro di Britta Teckentrup non si può non notare non solo la cura con cui vengono rese le immagini, ma anche la raffinatezza delle tavole: gli sfondi a tinte neutre sfruttano sovrapposizioni e velature per dare profondità e corpo alla rappresentazione del soggetto, che viene reso senza il realismo tipico del disegno naturalistico, ma non sacrificando nulla delle sue caratteristiche fondamentali. Trattando degli splendidi colori delle varie livree, la Teckentrup può facilmente variare gamme cromatiche, lavorare sulle sfumature, oppure sfruttare i violenti contrasti di colore.


La resa è quindi di grande impatto, suggestiva e affascinante, tanto quanto l’oggetto di questo studio monografico.
Quanto all’uso di questo libro da parte di scienziate e naturalisti in erba, direi che per i più piccoli, dai sette anni in poi, è consigliata l’assistenza di adulti disponibili ad integrare le spiegazioni, nel testo molto chiare, ma anche molto sintetiche. Per i più grandi sarà interessante affiancare la curiosità per il mondo naturale con quella per l’illustrazione naturalistica, nelle sue diverse versioni, e a questo punto anche per il pubblico italiano di possibilità ce ne sono tante.
L’unico appunto che mi sento di fare è di non aver pensato a strumenti come un glossario e una bibliografia, che possono aiutare i lettori e le lettrici più appassionati; così come non c’è accenno alle fonti, anche quello strumento utile di approfondimento.


Ma si tratta di ben poca cosa, di fronte a un libro ben pensato e ben fatto, a partire dalla carta, dalla rilegatura, l’impaginazione e via continuando. Una bella prova d’autore, in coerenza con la precedente pubblicazione già menzionata.

Eleonora

“La penna”, B. Teckentrup, Uovonero 2022



lunedì 25 aprile 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

GLI ETERNI RAGAZZI LIBERI

La storia del pianeta blu, Andri Snær Magnason (trad. Maria Cristina Lombardi), 
illustrazioni di Andrea Antinori 
Iperborea 2022 


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni) 

"All'improvviso la stella smise di formare cerchi nell'aria e cominciò a puntare dritto verso il pianeta blu. E si udì un gran fragore, che si faceva sempre più forte. Brimir e Hulda si strinsero l'uno all'altra. 'Oh no, è una stella cadente o un meteorite?' 'E' un'astronave cadente'. L'astronave si avvicinava sempre più veloce e tutt'intorno a loro si diffuse una luce accecante. Gli uccelli sugli alberi si svegliarono e volarono via levando forti gridi, gli scoiattoli si infilarono giù nelle tane dei conigli, i pesci si nascosero tra le alghe e Brimir e Hulda chiusero gli occhi e si rannicchiarono sulla sabbia. 'Ci viene addosso!' urlò Hulda. 'Ci schiaccerà!' 

I due bambini si tennero stretti e dopo si udì una tremenda esplosione. Passata l'onda d'urto e ristabilitasi una certa calma i due si alzarono e andarono a vedere il punto in cui l'astronave si era schiantata: un profondo buco, un cratere in cui il razzo a testa in giù appariva conficcato. Uscivano dal suo interno colpi sordi, come di qualcuno che volesse aprire a tutti i costi il portellone. Ai loro occhi comparve un essere gigantesco. 
Tutti gli altri abitanti dell'isola, rigorosamente solo bambini, andavano immediatamente avvisati e messi in all'erta: un mostro spaziale era appena atterrato sul pianeta blu. 
L'intero pianeta blu era popolato esclusivamente da bambini e animali che vivevano in assoluta armonia. Panorami meravigliosi in una natura incontaminata e rigogliosa e una volta all'anno lo spettacolo prodigioso del volo delle farfalle, milioni di esemplari che uscivano tutte insieme dalle cavità del monte Luce e volavano per una intera giornata per poi tornare nel buio e riaddormentarsi per un altro anno intero. 
Il fatto che sul pianeta mancasse del tutto la presenza degli adulti gli astronomi se lo spiegavano in ragione dell'ansia che in loro avrebbe provocato quella vita piena di meraviglie e avventure e totalmente senza regole da rispettare: nessun adulto avrebbe potuto resistervi a lungo. Nessuno, ma Gaio Fracasso sì. La sua astronave si è appena conficcata nel terreno e lui ha appena aperto il portellone per uscirne. Così cominciano le rocambolesche avventure vissute da quel manipolo di eterni ragazzi liberi cui Fracasso ha promesso la vera felicità. Loro, a dar retta alla sue parole, si illudevano che la vita fosse già bella così com'era. Grazie a lui, un po' mago e un po' affarista, le cose sarebbero potute andare ancora molto meglio... a prezzi modici. 

Uno dei meriti maggiori della buona letteratura è quello di non doversi fare carico dell'impegno di spiegare ogni cosa che viene raccontata. 


Questo può essere frustrante per tutti coloro che amano avere sempre tutto sotto controllo, ma per tutti quelli che invece, quando leggono una storia, sospendono il dubbio e si abbandonano alla c.d. fede poetica, è un bel gusto. 
Qui, la richiesta al lettore è molto circostanziata: ma allora ci si chiederà, da dove venivano i bambini? Come facevano a moltiplicarsi? Non diventavano mai adulti? Come facevano a nascere, se non c'erano adulti sul pianeta?. La risposta è semplice: nessuno lo sa... 
A questo punto, che è solo pagina 9, si può decidere di chiudere il libro e dire no, non fa per me oppure scegliere di andare avanti e farlo con quella spinta necessaria che si deve dimostrare di avere al principio di ogni percorso avventuroso. 
Questo libro è costellato di bivi del genere, di fronte ai quali i lettori devono ogni volta scegliere e fare eventuale dichiarazione di fede. Se un adulto, categoria umana che programmaticamente Magnason rende responsabile di una serie di misfatti e di cattivi comportamenti, incarnandola tutta nel personaggio obliquo di Gaio Fracasso, comincia a leggere questo libro proverà abbastanza presto un qualche disagio emotivo. Se invece i lettori saranno ragazzini e ragazzine è molto probabile che la sensazione che proveranno sarà di assoluta confortevolezza. 
Anche questo è, a mio avviso, un segnale positivo. Tanto più un adulto fa fatica ad accomodarsi in un libro per bambini, tanto più quel libro ha effettive possibilità di essere un buon libro. 
Terza caratteristica che mi pare interessante risiede nella buona capacità che ha Magnason di affidare alla storia, alla sequenza bella fitta di fatti che si susseguono, un senso che è superiore a ogni intreccio per quanto ben costruito. Tutto alla fine assume un tono universale, in cui ciascuno può riconoscere parti di sé e parti del mondo e della società in cui vive. E ragionarci sopra, volendo. 


Se per quasi tre quarti del libro succedono cose, sia chiaro molto avventurose ma sempre anche molto ben strutturate per logica e coerenza, nelle ultime trenta pagine i fatti continuano ad accadere, ma tutto il nocciolo di senso si condensa e diventa magicamente chiaro a tutti. E la cosa che si fa più evidente di tutte è la complessità del vivere comune. 
Gaio Fracasso, nei suoi ragionamenti manichei mette in luce quanto sia obiettivamente difficile mettere in salvo la felicità di più gente possibile. Per lui è tutto molto chiaro: se il sole lo si tiene inchiodato davanti all'isola, saranno i suoi abitanti a trarne tutti i benefici, ma per tutta quella parte del pianeta che è all'ombra, al buio, le cose saranno ben diverse: a sentire lui tutto si riduce a un mero differenziale di quote. 
Un pugno di ragazzini, però, la vedono diversamente. 
In un bel crescendo di argomentazioni, che Magnason mette in bocca all'imbonitore Fracasso, ai due bambini che hanno visto di persona come si vive al di là del sole e della luce perenne, e a tutti quei bambini che rappresentano ormai una sorta di 'popolo bue', totalmente incapace di esprimersi in modo lucido e critico (si parla di di giustizia, di uguaglianza, di propaganda, di democrazia, di guerra), la storia acquista profondità e si sfaccetta in tante differenti angolazioni, come è giusto che sia. 
Pronta per diventare patrimonio e riflessione comune. 
Scritto nel 1999, il libro vince una serie di prestigiosi premi, tra cui - prima volta per un libro per l'infanzia - il Premio islandese per la letteratura. Arriva in Italia nel 2000 tra i Delfini Fabbri e adesso approda da Iperborea, con un titolo lievemente diverso, ma con la stessa felice traduzione di Maria Cristina Lombardi, e con differenti illustrazioni, di quell'altro eterno 'ragazzo libero' che è Antinori, che qui sembra però patire un po' lo spazio angusto e la forza della storia.

Carla

giovedì 21 aprile 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

ESTINTOPEDIA

La storia molto movimentata del nostro pianeta ha già visto ben cinque grandi estinzioni, estinzioni di massa durante le quali una bella fetta del mondo vivente è scomparsa; quindi, sostenere che l’estinzione è legata strettamente all’evoluzione della vita non è sconcertante. La molteplicità delle specie viventi oggi sono dunque la punta dell’iceberg che rappresenta l’insieme dei viventi che, nel corso delle ere geologiche, hanno popolato la Terra.
Quindi, perché ci colpisce tanto il fenomeno delle estinzioni degli ultimi secoli, se non decenni?


Probabilmente perché è un processo che avviene sotto i nostri occhi, di cui siamo spesso responsabili, almeno in parte, e che riguarda specie animali simbolicamente importanti. Il nostro rapporto con il mondo animale, infatti, è intriso del significato simbolico che attribuiamo, o abbiamo attribuito, a questa o quella specie. Il lupo, il leone, l’orso, insomma i grandi predatori hanno spesso una valenza totemica, che riverbera anche in noi, lontani anni luce dalla vita selvaggia.
Il libro che firmano insieme Serenella Quarello, per i testi, e Alessio Alcini per le immagini, con la rigorosa supervisione scientifica di Marco Ferrari, pubblicato da Camelozampa, si intitola ‘Estintopedia’ e si propone al lettore proprio come viaggio nel mondo di animali estinti, ritrovati, o in via d’estinzione.


Di alcune estinzioni siamo stati diretti testimoni, assistendo alla dipartita dell’ultimo esemplare di una determinata specie; in altri casi non c’è l’assoluta certezza che non vi siano altri esemplari in natura, come il rospo arlecchino della notte stellata, o l’opossum pigmeo di montagna. In altri casi abbiamo eletto alcune specie, come il panda gigante, a veri e propri simboli della difesa dell’ambiente. Come si sottolinea giustamente nel testo, oggi siamo in gran parte responsabili della criticità in cui versa la sopravvivenza di numerose specie: le minacciamo direttamente, con la caccia, per esempio, oppure con il traffico illegale di specie rare, oppure modificando significativamente l’habitat in cui gli animali vivono e così via. Se guardiamo con realismo al futuro, guerre permettendo, un futuro con una Terra pesantemente sovrappopolata, è abbastanza scontato pensare che alcuni habitat potranno esistere solo nei parchi e nelle riserve e così le specie che le caratterizzano. Ma proprio la storia delle gigantesche estinzioni di massa del passato più remoto ci insegna che la biosfera ha risorse che forse non riusciamo a comprendere fino in fondo.


In ‘Estintopedia’ non ritroviamo un approccio sistematico al tema, quanto una articolata e complessa carrellata di specie strane, o meno strane, che hanno sfiorato l’esistenza umana e sono più o meno velocemente scomparse.
Una sorta di Wunderkammer, di gabinetto delle meraviglie che raccoglie esemplari di tutti i tipi, dall’immensamente grande all’incredibilmente piccolo.
Le illustrazioni di Alessio Alcini richiamano molto l’illustrazione naturalistica dell’ottocento inglese, un’illustrazione realistica, attenta al dettaglio, ma, nel nostro caso, attenta anche alla caratterizzazione dei soggetti animali. Dal bianco e nero al seppia per i soggetti ormai perduti, pastelli e acquarello per i soggetti ancora tra noi. Tutti trattati con il gusto per il meraviglioso, quello ‘stupore’ all’origine di ogni sapienza.


La lettura di questo bel libro illustrato, che si affianca ad altri realizzati sullo stesso tema, è adatta a lettrici e lettori amanti della natura e degli animali, a partire dai sette anni.

Eleonora

“Estintopedia”, S. Quarello e A. Alcini, Camelozampa 2022


martedì 19 aprile 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

MAI ABBASTANZA

Avrei voluto, Olivier Tallec (trad. Maria Pia Secciani) 
Edizioni Clichy 2022 


 ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

 "'Non voglio più essere uno scoiattolo. Mai più! Del resto nessuno sogna di diventare uno scoiattolo. Nessuno vuole passare le sue giornate da solo, saltando da un ramo all'altro in cerca di pigne. No, sul serio, non voglio più essere uno scaoiattolo! Se avessero chiesto il mio parere, avrei scelto di essere un'altra cosa. Un castoro, per esempio.'" 

Nella testa dello scoiattolo essere un castoro avrebbe significato rispettabilità, in nome della proverbiale dedizione al lavoro. Salvo poi doversi ricredere, dopo una sola giornata di faticoso spostamento di tronchi sulla schiena e di piedi nel fango. Nessuno ne parla, ma la vita di un castoro è esageratamente faticosa. Forse, continua il ragionamento dello scoiattolo (che adesso ha denti e coda da castoro), sarebbe più dignitoso essere cervo. Se nasci cervo sei simbolo di nobiltà, salvo poi doversi ricredere, perché un cervo è preda ambita dai cacciatori e passa il suo tempo a nascondersi, altro che sole in una radura. Forse, continua a ragionare a voce alta lo scoiattolo (che adesso ha denti e coda da castoro e corna da cervo) la cosa che sarebbe più desiderabile è essere riccio. Se sei riccio mangi le more succulente, ma purtroppo anche i lombrichi. Senza contare il grande pericolo che si corre a essere ricci quando si cerca di attraversare una strada...  

Lo conosciamo bene, lo scoiattolo di Tallec. 


Lo abbiamo visto essere p-ossessivo nei confronti del suo albero: in perenne ansia che qualcuno glielo toccasse. E dopo un anno esatto abbiamo scoperto che di quello stesso albero era determinato a prendersi cura, ma nei fatti lo depredava di tutto: dalle pigne al legno, senza misura. 
Un altro anno è passato e lo scoiattolo è di nuovo qui a parlare con noi. L'ansia e quel suo approccio smanioso all'azione continuano a essere caratteristiche peculiari del suo carattere. Adesso sta attraversando una crisi di identità bella e buona. Si macera al pensiero di essere scoiattolo e ha ben chiaro nella testa il senso di frustrazione e insoddisfazione nell'essere quello che è. Quindi comincia a passare in rassegna tutta una serie di altri animali che sicuramente stanno meglio di lui. 
Salvo poi doversi ricredere... e verificare che il suo problema è molto più diffuso di quanto immaginasse.
Di Tallec non ce n'è mai abbastanza. Molte cose sul suo modo di concepire le storie sono state già dette nel corso degli anni. Basta digitare Tallec come chiave di ricerca in questo stesso blog e si può passare un piacevole pomeriggio a leggere tutto il bene che ne penso. 
Undici post dedicati ai suoi libri. 


Forse qui val la pena mettere a fuoco qualcosa di ancora non detto: la sua capacità di lavorare sul dettaglio e di renderlo 'parlante' per il pubblico dei più grandi. 
Non c'è nulla di riprovevole o furbetto a cercare di piacere, di entrare in dialogo con un pubblico di adulti e di farlo in un contesto a loro estraneo - almeno formalmente - ovvero un libro per bambini. 
Au contraire. 
L'albo illustrato è un terreno di confronto quasi naturale tra piccoli e grandi. Viene concepito, scritto, illustrato e poi inevitabilmente letto da persone adulte. Inutile nascondersi dietro un dito. Inutile far finta che non sia così. 
Se torniamo ai dettagli per i grandi, il primo notevole lo si nota già in copertina, nella postura che assume lo scoiattolo con le sue 'braccia e gambe'. Sebbene i suoi occhi spiritati e magnetici siano lì a cercare un dialogo personale quanto disperato con il lettore, non importa quanti anni abbia, a un secondo giro dello sguardo la cosa che si nota sono quelle manine sulle ginocchia: un colpo da maestro, che forse i bambini non coglieranno, ma a un adulto difficilmente potrà sfuggire. 
Nella prima pagina, il fenomeno si ripete nella postura dello scoiattolo che si specchia nell'acqua, in una sorta di Narciso alla rovescia, che proprio non riesce a piacersi. Poi si va avanti con lo sguardo alienato dei castori, poi c'è il cervo in favore di luce, attraversato da un provvidenziale raggio di sole tra la fitta boscaglia. 

Poi ancora quei due segni, uno rosso e uno bianco, che segnano il tronco dell'albero dietro cui lo scoiattolo in cerca di nuova identità si nasconde al segugio che passa sullo sfondo. E se vi fosse sfuggito, lo potete notare una seconda volta nella pagina successiva. 
Chiunque almeno una volta abbia fatto una passeggiata in montagna sa di cosa si tratta. 


Per non parlare della chiocciola ...borgognona o ancora, proprio sul finale, dell'eloquenza del gesto dello scoiattolo di fronte a chi come lui è in cerca di una nuova identità. 
Un secondo elemento di valore che forse va sottolineato, e questo ha effetti benefici su chiunque a prescindere dall'età, è la sua capacità di dare spessore quasi emotivo alla natura dentro cui ambienta le sue storie. 


Attraverso un sapientissimo uso del colore sa creare una tangibile atmosfera luminosa: dal rosso di un bosco autunnale, alla lama di luce che attraversa il fitto di una foresta, da una collina resa per macchie di colore, a un prato tagliato in due da una strada asfaltata che finisce in un orizzonte corrusco di nubi che preannunciano un temporale estivo. 
Una silenziosa ginnastica che ha lo scopo di allenare il gusto di ognuno nei confronti della bellezza. 
Da collezione ed è confermato: di Tallec, mai abbastanza. 

 Carla

venerdì 15 aprile 2022

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


LA GUERRA DELLE ALLODOLE


Con colpevole ritardo, ho affrontato la lettura di ‘La guerra delle farfalle’ , titolo inglese ‘The Skylark’s War, di Hilary McKay, pubblicato nell’autunno scorso da Giunti.
Il romanzo racconta la storia della famiglia Penrose, londinese, dei loro parenti e amici, in particolare nel periodo della Prima Guerra Mondiale. Personaggio principale è Clarry, sorella minore di Peter; i due ragazzi, orfani di madre, vivono con il padre, un uomo freddo e distante, se non ostile. In estate, però, raggiungono in Cornovaglia i nonni, congiungendosi anche al cugino Rupert. Il ricordo di quelle estati, del cugino Rupert che li aspetta alla stazione rimane per Clarry una fonte di conforto nei momenti più duri che dovrà affrontare.
La prima parte del romanzo racconta, con un’accurata ricostruzione d’ambiente, la crescita di fratello e sorella: lui, per rimandare l’ingresso al collegio, si lancia da un treno in corsa, rompendosi malamente una gamba; lei lotta per poter continuare a studiare, superando l’ostilità del padre, convinto che per una ragazza l’istruzione non sia necessaria.
La ragazza riesce nell’intento ed entra nel liceo femminile, dove viene notata da un’insegnante che ne scorge il talento, spingendo la sua ambizione fino all’ammissione ad Oxford.
Nel frattempo, nelle loro vite irrompe la Grande Guerra, Rupert si arruola, con grande disperazione di Clarry, e parte per il Fronte Occidentale; lo segue Simon, il migliore amico di Peter al college, segretamente innamorato di Rupert. La sorella di Simon, Vanessa, diventa infermiera in uno dei tanti ospedali in cui vengono curati i reduci.
La vita prosegue così, con molte privazioni e la paura costante di ricevere il telegramma fatale che annuncia la morte al fronte di un congiunto. Simon, detto Tuttossa, rimane ucciso, Rupert sembra aver perso il suo equilibrio mentale. Il finale, forse un po’ prevedibile, rimette in ordine le relazioni familiari, con matrimoni, dipartite, figli e nipoti.
In realtà, lo sviluppo della trama e l’arco narrativo percorso dai diversi personaggi, compresa una nutrita schiera di personaggi secondari, è l’asse portante del romanzo, che è una storia di trasformazioni: di ragazzi e ragazze che raggiungono l’età adulta, scoprono la durezza della vita, compiono scelte a volte avventate, affrontandone le drammatiche conseguenze. Nello stesso tempo, è l’affresco di un’epoca che si affaccia alla modernità: ci sono i treni a vapore, ma i cavalli sono ancora la principale forza motrice. Le donne sono ancora imbrigliate nel perbenismo vittoriano, ma comincia a serpeggiare una forte spinta all’emancipazione. Su tutto, l’accento posto sui sentimenti, dagli affetti familiari agli innamoramenti giovanili, alla continuità della vita familiare.
Ne emerge un’opera di grandi ambizioni, sicuramente ben documentata ed equilibrata nello sviluppo narrativo. Sicuramente un po’ faticosa per i nostri giovani lettori e lettrici, che spesso cercano nelle storie una sequenza ininterrotta di azioni.
Una piccola nota sul titolo che in italiano, nella traduzione di Roberto Serrai, fa riferimento alle farfalle di carta che Clarry manda al fratello per consolarlo, durante i suoi soggiorni in collegio. Il titolo originale, invece, si riferisce ad un passaggio in cui l’autrice racconta della presenza delle allodole vicino alle trincee.
Un’altra cosa che a molti sembrava strana era che le allodole cantassero proprio nella loro lingua. In inglese per gli inglesi, in francese per i francesi, in olandese per gli olandesi.
Ancora più incredibile, era che dall’altra parte delle trincee, a poche centinaia di metri, le allodole cantassero in tedesco.’
Direi che avrebbe avuto più senso lasciare il titolo originale, per l’evidente sottolineatura dell’assurdità della guerra.
Consiglio caldamente la lettura a ragazze e ragazzi, a partire dai tredici anni, che amino le storie ben costruite, i personaggi descritti a tutto tondo, la ricostruzione d’ambiente fatta con il necessario rigore storico.

Eleonora

“La guerra delle farfalle”, H. McKay, Giunti 2021


mercoledì 13 aprile 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

NESSUNO E' PERFETTO

L'indovinello della tigre, Fabian Negrin 
Edizioni Corsare 2022


ILLUSTRATI PER MEDI (dai 6 anni) 

" 'Guardate i miei occhi può uno così bello essere cattivo?' chiese la tigre. 
'Suvvia candide pecorelle, vi sporcherete tutte lì dentro.' 
La pecora più vicina all'entrata guardando gli occhi della belva le domandò: 'Ma se noi usciamo, bellissima tigre, non è che poi ci mangi?' 
'Mangiarvi? Io? Come potete pensare una cosa simile?' 'A chi mai può venire in mente una tale cattiveria?' si lamentò la tigre offesa. 
Commossa, la pecora uscì per consolarla ma appena fuori la tigre la divorò." 

Un gregge di pecore è nascosto all'interno di una miniera di carbone. All'entrata, troppo angusta per permetterle di entrare, c'è una tigre affamata. Il solo modo che ha per arrivare alle pecore è quello di convincerle a uscire da lì. Le pecore, seppure molto impaurite dalla presenza della belva, credono sempre alle sue parole, alle sue lusinghe. Il terrore sembra coglierle solo nel momento in cui la tigre le divora, una dopo l'altra: dal buio della miniera vedono quello che accade alla luce del sole. Ma sembra non essere sufficiente. 


Se la prima volta, a sentire la tigre, si è trattato di un malaugurato errore, la seconda morte è stata piuttosto un'illusione ottica, un miraggio. 
Poi arriva l'indovinello. 
In tutta onestà sono davvero pochi coloro che a un indovinello riescono a resistere. Le pecore non fanno eccezione. 
Un indovinello un po' in rima e un po' no che parla di sassolini, di lumache chiuse in casa, di cagnolini di guardia e di un topo con un sacco, di aragoste, di insalata e anche di un'amatissima crostata. 


Via via le pecore tentano con le loro risposte, ma i continui errori costano loro molto caro. Fino al momento in cui la più sagace del gregge dà la risposta esatta. 
Il fatto è che la tigre ancora una volta non sa resistere e la mangia in un amen, salvo poi scusarsi per essersi distratta. La sequenza di abboccamenti della tigre non ha fine fino a sera, l'ora dell'ultima vittima. Satolla, a fine giornata, nell'abbeverarsi allo stagno, trova il suo destino. Fatale. 

Gli occhi della tigre e lo sguardo di Negrin. Ammalianti i primi, leale il secondo. 
Tanto la tigre è determinata ad arrivare con ogni mezzo possibile, quindi anche la più bieca disonestà, a ottenere il suo scopo, tanto Fabian Negrin si dimostra determinato a essere onesto nel raccontare la natura delle cose.
 

A costo di apparire scomodo, posizione per lui spesso confortevole, racconta qui - secondo il canone della favola - la natura di un animale, ma nello stesso tempo la natura di certa umanità. Sull'istinto di una tigre affamata non c'è bisogno di aggiungere molto. Nessuna commozione nei confronti del suo pranzo. Lo dice bene il 'proverbio islandese' che apre il libro: La tigre non ha un interruttore per spegnerla quando ci fa comodo... 
La tigre è tigre e fa la tigre. La sua furbizia è nella sua fame. Non ci sono distinguo da fare. 
Tuttavia, come in ogni favola, dietro quella tigre, dietro quelle parole seducenti e spesso bugiarde, si nasconde il potere, ossia la protervia di tutta quell'umanità scaltra che la esercita nei confronti dei più deboli, dei più ingenui, degli inermi. 
La furbizia, il ricorrere all'inganno, l'eloquio che confonde, sono tutti strumenti per arrivare al proprio obiettivo senza tenere conto di una complessità maggiore, senza considerare l'altro da sé. In sostanza, la furbizia della tigre sta nel cercare di soddisfare il suo più impellente e primario bisogno, senza curarsi troppo delle conseguenze.
 

In questo senso, la tigre della favola che Negrin inventa dimostra a tutti la sua furbizia, ma non la sua intelligenza. 
Nessuno è perfetto.
Ci sta quindi che lui per lei progetti quel finale senza scampo. E a ulteriore conferma porta in salvo, in extremis, anche le pecore che come unica colpa hanno avuto quella di essersi fidate. E dalla favola si arriva a un finale da fiaba. Ma questa è un'altra questione. 
Negrin ha molte espressioni, che si riconoscono diverse nei suoi tanti libri. Ma su una cosa dimostra di essere fortunatamente uguale a se stesso: coraggioso nel dire la verità. In questo senso, ha saputo mettere in crisi intere schiere di adulti disegnando le loro debolezze, i loro limiti e la loro estraneità patente nei confronti dell'infanzia. Di questa, invece, ha saputo vedere il coraggio e l'intraprendenza e la capacità immaginativa e una salvifica, quando consapevolmente esercitata, estraneità al mondo dei grandi. 
Di un genere a lui congeniale, la fiaba, ha sempre saputo e voluto rappresentare il lato 'oscuro', spesso inquietante, affilato e tagliente, proprio quell'aspetto che dall'inizio dei tempi ce l'ha resa necessaria. Negrin fa una scelta molto netta di campo. 
Altrettanto si può dire che faccia sul versante visivo. Un sottile ma tenace filo sembra tenere insieme questo libro a un altro di qualche anno fa, apprezzato mai abbastanza, La lingua in fiamme (2014) poesie e nonsense che sarebbero piaciuti ad Edward Lear. 
Qui come lì parrebbero vicine le scelte compositive, la tecnica (forse), la sintesi del tratto, la scelta di un colore guida, qui qualcosa come un pantone blu petrolio (mentre all'indovinello e ai risguardi è la carta a diventare verde e il disegno bianco) là invece le fiamme pretendevano il rosso. 
La grande qualità del disegno è evidente, in quella tigre che prende mille pose diverse, in perenne movimento, che quasi scompare o esce di scena e poi ritorna in primo piano senza mai perdere la sua forza corporea di grande e possente felino, compresa l'eleganza nel giorno delle ipotetiche nozze.
 

Ma il suo talento irriverente è anche nella resa del vello delle spaurite pecore, linea ondivaga, ghirigoro continuo, un po' confuso, tremebondo ed esitante che si distingue dalle righe sicure e nette della spregiudicata tigre. 

Carla 

lunedì 11 aprile 2022

FAMMI UNA DOMANDA!

PAURE ANIMALI


La paura è un’emozione comunissima, che condividiamo con i nostri fratelli animali. Studiarla da un punto di vista scientifico significa cercare di spiegarne la funzione, da un punto di vista evoluzionistico. Chiara Morosinotto, ecologa, con l’aiuto del fratello Davide, tenta di spiegare tanta complessità a ragazze e ragazzi con un testo agile e spesso divertente: ‘La paura del leone. Perché tutti gli animali si spaventano e perché alla natura va bene così’, pubblicato da Rizzoli.
Quello che può sembrare un concetto semplicissimo, tutti conosciamo e sperimentiamo la paura, in realtà svela aspetti molto diversi: c’è ovviamente la paura della preda che sfugge al predatore, ma anche quella che induce alla reazione esemplari adulti che vogliono proteggere la prole; tremano di paura quegli animali che sono alla base della catena alimentare, e che sono cibo per diversi predatori, ma ha paura anche un predatore imponente come un puma di fronte ad un predatore più forte, che poi siamo noi umani.
L’autrice, che ha svolto moltissimo lavoro sul campo, soprattutto in Finlandia, racconta con precisione moltissimi esempi di strategie difensive alimentate dalla naturale paura di fronte ai diversi predatori, dal mimetismo delle farfalle, agli stratagemmi di tanti uccelli che difendono il proprio nido.


Questa nutrita e divertente serie di osservazioni e aneddoti mi ha fatto pensare ad un altro libro che aveva la stessa ispirazione: ‘L’anello di re Salomone’, di Konrad Lorenz, in cui lo scienziato austriaco, fondatore della moderna etologia, raccontava il suo rapporto con gli animali che popolavano la villa fuori Vienna in cui elaborò da giovane le sue osservazioni sul campo. Questo testo, famosissimo e letto tuttora con piacere da tantissimi lettori, descrivendo gli episodi spesso esilaranti della sua esperienza, introduceva nello stesso tempo, in termini divulgativi, alcuni aspetti della sua teoria che lo avrebbero portato al Premio Nobel.
Anche qui, la brava Chiara, che non credo che aspiri, almeno per il momento, ad un riconoscimento del genere, introduce concetti importanti relativi alle strette interrelazioni fra le specie in un ecosistema, come, per esempio, si evince dalla vicenda dei lupi del Parco di Yellowstone.
Molta parte dell’evoluzione dei comportamenti difensivi e di fuga hanno a che fare con il rapporto preda/predatore: ad ogni nuova tattica difensiva corrisponde un nuovo stratagemma elaborato dal predatore e così via. Viviamo su un pianeta in cui la vita è cresciuta e si è differenziata così, in una catena alimentare in cui si mangia e si è mangiati, fino al predatore più efficiente di tutti, l’homo sapiens. Viene facile il parallelismo con quella che, dal secondo dopo guerra in poi, è diventata la corsa agli armamenti che il grande dr. Seuss rappresenta ne ‘La battaglia del burro’. Solo che lì i due popoli contendenti, che del panino imburrano rispettivamente la parte di sopra o quella di sotto, sono colti nell’immagine finale in cui sono costretti all’immobilità perché lasciarsi sfuggire l’arma finale rappresenterebbe la fine del mondo. In natura a questo non si arriva mai, perché ciascun animale tende a salvare se stesso più che a distruggere l’intera genia del suo nemico.


Riflessioni filosofiche a parte, direi che questo libro , dalla lettura scorrevole ma dal contenuto impegnativo, può sicuramente attrarre ragazze e ragazzi che abbiano un interesse non superficiale per la natura, a partire dai dodici anni. Lo vedo bene insieme ai libri di Luca Perri, pubblicati da De Agostini, testi cioè che valorizzano l’intelligenza dei propri lettori, che ampliano orizzonti, che suscitano desiderio di approfondimento.
La copertina e le illustrazioni che precedono i capitoli sono dell’eccellente Dieter Braun.

Eleonora

“La paura del leone. Perché tutti gli animali si spaventano e perché alla natura va bene così”, C e D. Morosinotto, Rizzoli 2022