La fisica degli abbracci, Anna Vivarelli
Uovonero 2021
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
"La sera del ventun settembre Guglielmo 'Will' Malvasi aveva cenato al tavolo degli insegnanti - zuppa di pollo, due fette di roast beef, composta di mele - , per oltre un'ora aveva giocato a backgammon con un collega in una delle salette riservate ai docenti, e alle nove e mezza era uscito dalla sala. Da allora nessuno l'aveva più visto. Non aveva portato con sé né cellulare né computer né abiti né libri né oggetti da toeletta. Erano seguiti indagini e appelli, erano stati controllati treni e aeroporti. Il ragazzo non possedeva un'auto e non risultava che avesse chiamato un taxi. Non aveva lasciato biglietti o messaggi sul computer."
Quello stesso pomeriggio, sulle rive del Cam, era stato trovato un paio di scarpe da ginnastica identiche (ma mai usate) a quelle che Will era solito indossare. Il vecchio Malvasi, il nonno ricco ingegnere, è arrivato a Cambridge, accompagnato dal suo avvocato, per capire qualcosa della scomparsa del nipote, docente - a soli quattordici anni - nel prestigioso college. La sua breve permanenza, due chiacchiere con un elusivo anziano signore indiano, tale Anantram Vikram, non portano a nessun risultato.
Will Malvasi, bambino ad alto potenziale cognitivo addirittura maggiore di quello di Einstein, ha una storia familiare non invidiabile: genitori 'sgangherati' che di lui non si occupano mai, sempre con delle tate che si avvicendano e che non sanno come muoversi di fronte alle sue continue stranezze. A due anni parla, legge e scrive correntemente in due lingue; a sette anni si diploma, a nove entra a Cambridge e a undici anni è arrivata la laurea e lo studio del mandarino, dell'ebraico , del tamil, dell'arabo e dell'indi e dell'urdu. A dodici anni tiene i suoi corsi universitari e si specializza in fisica delle particelle. Non uno qualsiasi. E ora è scomparso. Forse è morto, o così vuol far credere a tutti, con la complicità di un suo 'collega' anziano, un Nobel per la fisica indiano.
La scomparsa di Will, a quattordici anni, sette mesi e sette giorni, non è che la prima di una serie.
Finire nel nulla è la sua specialità. Per lui, la scelta è semplicemente necessaria per mantenersi a debita distanza dagli altri.
Sebbene tutto nella sua vita sia frutto di un programma, quando entra in gioco il caso, le cose cambiano: sarà un colpo di tosse e lo sguardo febbricitante che lo renderanno visibile agli occhi di una cinquantenne sovrappeso che, stanca dopo una giornata di lavoro come badante, aspetta il 51 alla fermata in una strada di Torino.
Questa è la storia del loro incontro, il racconto delle loro vite passate e di un pezzo di vita che decidono di fare assieme.
Due solitudini, tra loro molto diverse, che per una porzione di tempo collimano e incredibilmente hanno il potere di tenere insieme altre esistenze solitarie - grazie a qualcosa che è paragonabile a un abbraccio.
Gran libro. Assolutamente da non perdere.
Un inizio che è puro piacere.
Prima di tutto, in esergo, un indizio sulla difficoltà del vivere nel mondo degli uomini.
Quindi, una dozzina di righe in corsivo, che sono le parole che il protagonista pronuncia davanti ai suoi lettori per riassumere chi lui sia e un punto di partenza tutto nuovo: la sua scomparsa.
Poi le prime pagine si dedicano a una sequenza di fatti. All'improvviso, zac, cambio di scenario e di tempo: un taglio netto.
Bel modo di cominciare una storia: impossibile resistere al desiderio di saperne di più. In primo luogo di questo ragazzo che, a causa della sua plusdotazione, ha un sacco di problemi a livello sociale, ma anche di cosa significhi nei fatti condurre un'esistenza solitaria, con il perenne desiderio di una qualche parvenza di normalità: non aver amici, sentirsi corpi estranei, prodigi importuni.
Attraverso le vite dei due protagonisti principali, Will e Dora, conosciamo due mondi molto diversi che però condividono una esperienza comune: la solitudine.
Da una parte questa donna rumena che ha alle spalle un passato complicato. Un'infanzia povera ma, nonostante l'abbandono del padre, spensierata e speranzosa - come dovrebbero essere le infanzie - un figlio un po' mascalzone temporaneamente in carcere, un marito che l'ha resa vedova presto ma che ha sempre saputo apprezzare la sua arte in cucina, al contrario della vecchia signora a cui fa adesso la badante e che predilige i piatti insipidi. Dora vive in una casa piccola e spoglia, con pochi soldi di stipendio. Piange almeno una volta alla settimana, come terapia purificante.
Dall'altra questo ragazzo sempre in fuga, dalla famiglia, da tutti quelli che sono 'normali', e anche da quelli che sono come lui, menti eccelse. In fuga dal contatto umano, sia quello fisico, sia quello emotivo. Votato alla continua ricerca di diventare invisibile.
Intorno a loro ruotano personaggi tangenti che però ricoprono ruoli imprescindibili per la costruzione dell'impianto narrativo che, va detto con chiarezza, è un piccolo capolavoro di precisione.
Colpisce davvero l'opera di delicato scavo che Anna Vivarelli compie intorno alle anime di tutti costoro.
Come un'archeologa in cerca di sentimenti, pulisce con cura con i suoi strumenti letterari - attraverso un linguaggio preciso e con una sensibilità rara - le figure dei suoi personaggi, con rigore pulisce dal superfluo e mette in luce solo quello che è utile per capire e interpretare.
Alla fine di tutto, tra sorrisi e lacrime, ce li restituisce in modo che di loro siano visibili non solo i contorni, le forme chiare che escono dal terreno, ma anche e soprattutto lo spessore del loro essere lì, di quello che è stato il loro sentire nel corso del tempo, appunto.
Un libro che tutti dovrebbero leggere, non solo per riflettere, una volta chiuso, sul senso che si può dare alla propria esistenza, sul ruolo anche molto diverso che l'affettività gioca nelle nostre vite, sulla difficoltà cui allude la frase di Natsume Sōseki al principio del libro, e naturalmente su cosa significhi essere cognitivamente superdotati, ma anche sulla volontà quasi caparbia di voler credere che seminare qualcosa abbia sempre un suo senso. Prima o poi qualcosa spunterà.
E' uno dei modi che abbiamo per voler e volerci bene.
Piantare qualcosa nel cuore di qualcuno che per sua natura deve tenersi lontano da qualsiasi calore umano, fisico o ideale che sia, coltivarlo, prendersene cura nonostante tutto, annaffiarlo, nutrirlo senza mai perdere la speranza che un giorno da quel terreno apparentemente arido qualcosa germogli... non è roba facile, ma è di questo che si tratta.
La vita di Dora (che porta il nome del più bel fiume che io conosca) e, in qualche misura, anche quella della professoressa Chiari, la vita di Will e forse anche quella di Anantram Vikram, sono lì a dimostrare che questo può accadere.
Carla
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