venerdì 28 aprile 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DODICI COSE BELLE, ANZI TREDICI

Ora di nanna, Kjersti Annesdatter Skomsvold, Mari Kanstad Johnsen (
trad. Lucia Barni) 
Beisler 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"'È ora della nanna, Bo.' Bo si regge in equilibrio su un piede solo. 
'Ma sto già dormendo.' 'Cosa vuoi dire?' chiede la mamma. 
'Sono un pappagallo, io' dice Bo. 
'Il pappagallo dorme in questa posizione, con una zampa alzata', spiega. 
'È vero, la nasconde sotto le piume così così non prende freddo agli artigli', conferma la mamma."

Ma non si era detto che era ora della nanna? La conversazione tra i due ha preso una direzione inaspettata, e tutt'altro che soporifera. Si parla di animali, di loro abitudini, poi si propongono addirittura spuntini prima di fare il bagno, di lavarsi i denti e di infilarsi il pigiama. 
Tutto questo avviene tra un andirivieni di animali veri, un cane e un gatto, animali di pezza, di cui il preferito sembrerebbe un serpentone di lana a strisce, e animali evocati che assumono via via le sembianze di un bimbetto e di una mamma con gli occhiali: dagli orsi alle lontre, passando per due pipistrelli. 
Però evidentemente la chioccia conosce i suoi polli e quindi sa che tutto questo vivace via vai di bestie alla resa dei conti stancherà Bo e soprattutto lo farà passare dalla veglia al sonno con un bel sorriso in faccia. 
Che poi è la cosa migliore che possa capitare a chiunque.

Almeno una decina di cose belle che capitano in questo libro e in mezzo due ragionamenti su. 
La prima sta nel ritratto della vita vera e nel suo disordine. Senza parere c'è una madre che ha appena preso il contenuto da una lavatrice e lo sta stendendo, e ha appena ritirato quelli asciutti, mentre Bo sul divano si confronta con il cane e il gatto si attacca con le unghie ai pantaloni appena stesi. 


Il testo in proposito è assolutamente muto. 
Sempre in assoluto silenzio quella mamma va avanti con la routine della sera, ovvero raccoglie, con mani e piedi, il delirio di pupazzi che sono in giro, e già che è lì mette a posto anche il giornale (!). 
Si potrebbe scrivere molto sulla piacevole sensazione che si prova a mettere a posto prima di andare a letto, ma porterebbe lontano e comunque è rivolta agli adulti lettori. 
Nel frattempo, essendo multitasking come tutte le donne, parla con il ragazzino e avvia la routine dell'andare a dormire. 
E qui partono la seconda e la terza cosa bella, ossia il gioco che nasce tra i due, ossia di come quel ragazzino lanci ami a sua madre - il pappagallo, il leone dietro il water e cose così - e lei abbia sempre voglia di abboccare e addirittura di rilanciare, come farebbe un vero professionista della pesca. 


Ogni esca di Bo diventa complicità, ovvero intesa, e nello stesso tempo diventa modalità condivisa. Anche su questo si potrebbe scrivere molto sui criteri educativi, piuttosto diffusi e consolidati nel Nord Europa, che molto lentamente stanno diventando patrimonio comune. 
E qui entra in gioco la quarta cosa, ossia le promiscuità con cui in quella casa si vive con gli animali. 
A partire dai mirtilli al gatto, e la sgocciolatura del bagno al cane, da entrambi sul piumino, al muso sul tavolo. 
Anche qui si potrebbe dire molto su quanto diversa sia per un bambino l'infanzia passata con un animale e un'infanzia senza, ma anche questo porterebbe lontano. 
Che il mondo animale sia la spina dorsale anche del testo è evidente, tuttavia le continue occasioni che si dà Mari Kanstad Johnsen creano un tessuto così robusto e interessante che è proprio difficile ignorarlo: dalle foto di famiglia sulle scale, all'acquario sul tavolo, alla vista dall'alto della camera di Bo con i suoi poster (che peraltro potete comprare dal suo sito) e la sua collezione di pupazzi. 


E qui entrano in ballo la quinta e la sesta cosa, ossia i tagli prospettici e il continuo muoversi da una dimensione reale a una immaginata, ma anche un continuo muoversi di corpi e cose che rendono il disegno e la storia ancora più agitati di quello che già sono. Animali che escono dallo specchio e scorrazzano in corridoio, lampade vere e gufi finti, primi piani, panoramiche a volo di uccello, e a volo di rondine, profondità di campo, animali o mamme che sono troppo grandi per poter entrare nel foglio, l'arrampicata sulle scale da parte di Bo, ripreso dal basso, o il suo bagno visto dall'alto sono una gioia. 
La gamba ritratta per assecondare la forma aerodinamica di una rondine. Le schiene che si curvano, le mamme che si accucciano, i gatti che si accoccolano sono tutte piccole bellezze che informano di quanto questo sia disegno solo apparentemente ingenuo. 
E qui entrano la settima e l'ottava cosa, ossia il segno e il colore. Nella tradizione scandinava che sta dando davvero grande prova di sé entrambe le cose dimostrano la loro modernità assoluta, lontane mille miglia dal canone classico, in nome di una ricerca di comunicazione molto "espressionista" del disegno. Davvero Mari Kanstad Johnsen non si è data limitazioni in questo senso ed è un piacere constatarlo: pagine scure scure, ombre illuminate, soggiorni coloratissimi. 


Confusione di segni che a prima vista paiono scarabocchi. Ma mai lo sono. 
Le ultime due cose belle sono dettagli, ma come tali in grado di dire parecchio e di spostare il pensiero. 
Gli occhiali: far indossare alla madre gli occhiali è proprio una bella idea, non importa se consapevole fin dal principio, perché permette di capire all'istante in grande gioco di immedesimazione che è in atto. Brava. 
I risguardi: quelli iniziali funzionano, si potrebbe pensare, da ginnastica di riscaldamento per tutte le sinuosità interne che poi segneranno i contorni di personaggi e oggetti. Quelli finali sono quella cosa a cui si alludeva in principio, ossia quello di saper e voler parlare anche ai grandi. Alla giusta distanza, raccontare in silenzio, di quel mettere tutto a posto e di prendersi due minuti di pace tutti per sé, leggendo il giornale. Oppure di stramazzare sul tavolo da disegno, a tavola finita. Oppure... oppure. Bestie, ovunque. 
Per arrivare alla dozzina quindi direi che è cosa bella aver costruito un libro in grado di parlare molti linguaggi diversi, tenendo bene in conto che questi strani oggetti fatti di parole e disegni sono anche e forse soprattutto territori da condividere. 


E ultima, ma forse la principale, è l'aver dimostrato a tutti che si possono ancora fare libri così tanto belli su una questione così tanto battuta. 

 Carla

Noterella al margine. 
Nel frattempo di cosa bella se ne è aggiunta anche una tredicesima. Ma non spetta a me dirla.

mercoledì 26 aprile 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


FRA MADRE E FIGLIO


L’autore giapponese Shinsuke Yoshitake è ben conosciuto in Italia: diversi editori hanno curato la traduzione dei suoi libri illustrati e degli albi, alcuni dei quali hanno ricevuto importanti riconoscimenti, come l’indimenticabile ‘Non si toglie!’. 
Eccolo tornare a parlare d’infanzia, con ‘Poi però’, che è pubblicato dall’editore Becco Giallo.
Qui è descritto il rapporto fra una madre e un figlio che cresce. L’essenza di questo rapporto è vista, con occhio ironico, ma intensamente partecipe, contrapponendo situazioni apparentemente contraddittorie, raccontate in prima persona da una madre che racconta al figlio le tappe della loro storia comune, che, come per tutti, ha alternato momenti gioiosi e momenti tristi, allegria e preoccupazione: prima piangevi, contrariato dall’atteggiamento di una compagna di giochi, poi però eri pronto a dimenticare tutto e a rimetterti a giocare; e così quando ti ammalavi, eri capace di passare da uno stato di agitazione al tracollo febbrile, per poi riprenderti in men che non si dica.


Poi però si cresce: tutti i figli crescono e il distacco è inevitabile e così pure la lontananza. Poi però, si ritorna a casa, cambiati, magari con una propria famiglia. Ma fra madre e figlio, ancora una volta, la nostalgia e i ricordi si alternano alle mai sopite discussioni, ai diversi punti di vista, alle recriminazioni senza fine.
Poi però…
Così come era stato per ‘La prima volta che sono nata’,  l’albo è rivolto soprattutto alla lettrice adulta, a quella mamma che vede crescere il proprio figlio fra mille arrabbiature e un amore profondissimo, e l’ansia per le malattie, il dispiacere del distacco e quegli abbracci senza fine che mettono rimedio a qualsiasi litigio. Un tira e molla fra lasciar andare e trattenere, fra andarsene e tornare che centra perfettamente la dialettica fra una madre e un figlio.


Lo sguardo di Shinsuke Yoshitake è uno sguardo complice nei confronti di entrambi i protagonisti: di entrambi viene rappresentata la forza e la fragilità: nel bambino che da piccolo dipende dall’abbraccio materno, dalla sua protezione, per emanciparsene nel corso del tempo; e la forza materna che tutto affronta per prendersi cura del proprio figlio, per poi scoprirsi sola al momento del distacco.
La commozione è assicurata, in tutte quelle mamme che hanno visto i figli lasciare il nido o essere in procinto di farlo; ma, per fortuna, si sorride molto di questo ritratto affettuoso di quella che potremmo definire una lunga battaglia in cui in fondo, almeno si spera, vincono tutti.


L’autore giapponese, con il suo stile asciutto, vicino al fumetto, illumina questa tematica universale con delicata ironia; pur con un tratto essenziale, riesce a rendere con grande efficacia gli stati d’animo, le emozioni, i pensieri nascosti e i fili invisibili che legano i due protagonisti.
Lettura consigliata a tutti, dai sei ai novantanove anni.

Eleonora


“Poi però...”, Shinsuke Yoshitake, Becco Giallo 2023









 

lunedì 24 aprile 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

INVASIONE DI SPAZIO

Se incontri un orso
, Malin Kivelä, Martin Glaz Serup, Linda Bondestam 
(trad. Maria Valeria D'Avino) 
Iperborea 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Che cosa devi fare se incontri un orso? 
Non correre. L'orso corre più forte di te. 
Non nuotare. L'orso nuota meglio di te. 
Non ti arrampicare da qualche parte. L'orso si arrampica meglio di te. 
Però potresti giocare un po' col tablet. In questo dovresti essere più bravo di lui." 

In realtà non è l'unica cosa che un bambino sa fare meglio di un orso: un bambino se disegnare meglio gli orsi, e in generale anche tutto il resto che vuole disegnare. Ma l'orso lo batte con l'olfatto e con l'udito, ma stranamente un bambino nell'oscurità ci vede leggermente meglio dell'orso. 
Riassumendo, se un bambino incontra un orso non deve scappare, ma piuttosto camminare piano all'indietro, non fare gesti agitati e se ha qualcosa da offrirgli, è meglio che lo faccia alla svelta. 
È pericoloso urlagli davanti, ma invece se gli parla del più e del meno, va a finire che l'orso si mette in ascolto. 
In sostanza, la cosa migliore da fare è fargli capire che ha davanti una brava persona, ma senza mai voltargli le spalle, per esempio arrostendo due salsiccette. 
Forse sarebbero utili da sapere anche due ulteriori cosette riguardo al linguaggio del corpo: cosa significa per l'orso stare ritti sulle zampe posteriori? In che rapporto sono con i corpi di bambini che si fingono morti? E poi cosa si sa della relazione che gli orsi hanno con le gomme americane? 

Di stringente attualità. 
Un piccolo, in realtà bello grande, vademecum su come comportarsi se si incontra un orso bruno durante una escursione fatta nel bosco da soli. 
Una guida in piena regola che, a parte due o tre facezie, ha un tono molto serio e competente. 

Tra parentesi se l'incontro fosse con un orso bianco, le cose da fare o da non fare sono tutte altre, ma anche la storia sarebbe tutta un'altra. 
A quattro mani, una drammaturga e un poeta, lei finlandese di lingua svedese, lui danese e basta, hanno prodotto questo testo che è allo stesso tempo crudele quanto lucido, divertente e serissimo. 
E anche giustamente un po' fatalista.
Poi è arrivata Linda Bondestam, da Helsinki anche lei, a illustrarlo. 
Ed è subito gioia. 
Almeno quattro le cose degne di nota. 
La prima è quella testona di orso che sbuca dal margine inferiore della copertina e che, complice, un lieve strabismo, guarda a pochi centimetri dal fuoco in cui converge lo sguardo del lettore. La rilegatura in tela fa sì che il pelo ispido dell'orso che Bondestam rende a grandi pennellate dal blu dell'orecchio destro al bruno dell'orecchio a sinistra diventi quasi palpabile. 
La seconda è lo spazio. Da intendersi in molti sensi.


Si apre grande la prima doppia pagina in cui è possibile vedere in contemporanea lo stesso bambino che arriva nel bosco da sinistra in alto con zaino e cestino, si mangia qualche frutto rosso, si spoglia fa un bagno nell'acqua gelida di un ruscello, riparte vestito di tutto punto con il suo cestino, attraversa su un tronco il corso d'acqua, ci molla una pipì (forse il freddo del bagno) e caccia le api che gli ronzano intorno, quindi riprende la sua strada verso l'angolo destro del foglio in basso, dove lo si vede sparire. Giro di pagina: altro scenario. 
Il ritmo ora lo danno le indicazioni del vademecum perché nel frattempo è arrivato l'orso: occorre concentrare l'attenzione sulle cose da fare e da non fare. 
Di notte,invece, in una sorta di cessate il fuoco, tutto rallenta di nuovo per poi dare un ulteriore colpo di gas per cui lo spazio torna a moltiplicarsi, in una sequenza di azioni così importanti da far impallidire ogni possibile contesto boschivo. Bosco che si mostra in tutta la sua bellezza, alle diverse ore mentre si stempera in mille sfumature. 


Poi lo spazio del libro diventa insufficiente e l'orso in tutta la sua maestà si deve mettere per lungo, fino ad arrivare a occupare la doppia pagina con la sua boccona spalancata e piena di denti. 
Doppia pagina è anche per il falso morto, poi tutto torna nei ranghi, si fa per dire. 
La terza è l'ironia che si espande nel testo, ma anche nei disegni, negli occhi, nei loghi del tablet, nella fatica di stare su un albero. 
La quarta è la voce che questo libro ha, nella sua versione italiana, perfetta per essere detta, più che letta. Un unico grande monologo, intervallato da qualche intercalare interiore, ma fatta anche questa a voce alta. 
Un vero piccolo pezzetto di teatro che suona davvero bene. 
Questo è qualora si decida di fermarsi all'aspetto più esteriore, ma a voler leggere tra le parole, scelte una per una con tanta esattezza, il nocciolo della questione viene fuori in tutta la sua serietà. 


Agli orsi i boschi, agli esseri umani i parcheggi per le macchine. 
Agli orsi le salsicce, agli esseri umani i tablet. 
Agli orsi e ai boschi che li contengono, l'indefinitezza dei contorni dell'acquerello, alle persone e ai fagiani il segno preciso di un pennino. 
Quindi, a dar retta a questi tre brillanti autori, come si diceva al principio, pare davvero una questione di spazio, ossia di invasione di spazio. 
Nessuno faccia l'ipocrita e metta mano alla coscienza. 
Direi che è tutto molto chiaro. 

Carla

domenica 23 aprile 2023

PAN DI MANDARINO o PAN D'ARANCIO

Nella nostra chat di famiglia intitolata al naso della pippi, c'è uno in particolare che segnala cose interessanti che si possono provare: essendo leccuccio, di norma si tratta di dolci. 
Questa è presa da un sito che si chiama primochef. 
La cosa che colpisce in questa ricetta è l'assoluta facilità e rapidità nel realizzarla. Talmente rapida che l'accensione del forno a 180° va fatta qualche minuto prima di cominciare a preparare la torta. 
Occorre solo un frullatore. 
Poche ciance. 


Ingredienti 
300 gr di farina 00 
2 uova 
170 gr di zucchero 
100 ml di olio di semi 
250 gr di mandarini non trattati 
 oppure 
250 gr di arance non trattate 
1 vasetto da 125 gr di yogurt 
1 bustina di lievito per dolci 
1 pizzico di sale 

Si prendono i mandarini (o le arance) le si pulisce bene la buccia con il bruschino, li si taglia a metà con tutta la buccia, per togliere i semi, quindi li si fa a tocchetti e li si mette nel frullatore e si frullano fino a che non sono distrutti. 
A questo punto si aggiungono tutte le cose liquide e si frulla nuovamente. 
Quindi si aggiungono le polveri e si frulla nuovamente. 
Il composto che si ottiene è molto morbido e lo si versa in uno stampo da plumcake foderato di carta forno e si inforna per almeno 50 minuti. 


Gonfierà, si spaccherà al centro e sarà buonissimo...

carla

venerdì 21 aprile 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


A COLPI DI CHALLENGE


Torniamo a chiederci cosa significhi per un/una adolescente vivere il proprio disagio al tempo dei ‘social’, di Tik tok e simili. Lo fa, con la consueta attenzione, Daniele Nicastro, con l’ultimo libro ‘Fino all’ultima #challenge’, pubblicato da Lapis.
Premetto che molto di quanto descritto in questo romanzo può sembrare, a un lettore adulto, molto distante e improbabile. E invece non è così: il disagio giovanile, la solitudine, le crisi individuali, i momenti di difficoltà possono anche trovare espressione in modalità che a noi paiono folli: come lanciarsi in una serie di sfide, sempre più difficili, sempre più pericolose, tutte rigorosamente riprese con il cellulare e pubblicate in rete, per raggiungere sempre più ‘like’. Per inciso, le challenge citate nel testo, come la #skullbreakerchallenge o la #birdboxchallenge, sono realmente avvenute.
Il protagonista di questa storia, Michelangelo detto Michi, fa esattamente questo: sostenuto dall’amico Saba cerca di superare il lutto per la morte del nonno affrontando una serie di prove, buffe, grottesche, rischiose, in un crescendo che ha il sapore dell’autodistruzione.
Il nonno è stato il vero padre di Michi e a testimonianza del loro intenso rapporto ci sono una serie di fotografie, scattate con una vecchia Polaroid. E il rapporto con il nonno, che gli ha insegnato ad amare le piante e a prendersene cura, è il vero contraltare all’inconsistenza pericolosa del mondo virtuale dei ‘social’.
L’universo affettivo di Michi vede una madre assente, per necessità, un professore molto partecipe della sua vita, una ragazza, Erica, animata da volenteroso spirito ambientalista.
Non è quindi solo ad affrontare un dolore profondo che il ragazzo cerca disperatamente di fuggire. Ma la presenza affettiva degli altri non riesce a colmare quel vuoto che si sente crescere dentro e a cui dà una risposta disperata: il brivido della prova, l’adrenalina che segna ogni vittoria raggiunta, con un crescendo esponenziale di popolarità.
Pensare che il mondo degli/delle adolescenti sia tutto così sarebbe sicuramente esagerato, ma quello delle sfide mediate da quello strumento del demonio rappresentato dai ‘social’ è un tema vivissimo. Spesso non comprendiamo l’universo simbolico dei ragazzi, né il sistema di valori che regola le loro comunità, ci stupiamo quando ci parlano della crescita dei fenomeni di autolesionismo o dei disturbi dell’alimentazione, influenzati proprio dalle sfide ‘social’.
Anche qui, in questa storia, c’è in fondo la misura di una distanza dal linguaggio giovanile, che fatichiamo a decodificare.
Nicastro, invece, si muove in questo mondo con grande familiarità, parla ‘quella’ lingua, conosce i riti e i miti di questa generazione. In ‘Fino all’ultima #challenge’ racconta con efficacia come un ragazzino possa quasi inavvertitamente scivolare in una spirale insensata di sfide sempre più pericolose, in cui la posta in gioco finisce per essere la vita stessa. Viene da chiedersi come si possa arrivare a questo senza che nessuno se ne accorga, come mai il disagio non sia realmente percepito fino a quando non acquisisce i toni del dramma.
Che ci sia un problema di ascolto, nei confronti dei più giovani, lo constato lavorando nelle scuole medie della periferia romana; qui, nella finzione letteraria, vediamo forse una versione più radicale di un sentimento di solitudine che pervade la vita di tantissimi ragazzi e ragazze.
Consiglio la lettura a ragazze e ragazzi a partire dai dodici anni e la consiglio anche a genitori e insegnanti che vogliano aprire gli occhi sui turbamenti del mondo giovanile.

Eleonora


“Fino all’ultima #challenge”, D. Nicastro, ill. di Francesca D’Ottavi, Lapis 2023




mercoledì 19 aprile 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

A TEATRO

Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria
Kurt Bracharz, Tatjana Hauptmann (trad. Valentina Freschi) 
LupoGuido 2023 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 6 anni) 

"Stava per offrire al maiale una tazza di tè, quando il campanello suonò di nuovo. 
Era la chiocciola con la posta. 
La talpa riceveva raramente qualcosa e, quando capitava, di solito erano volantini di qualche grande magazzino con offerte speciali sui lombrichi in scatola o su vanghe a prezzo stracciato. 
'C’è qualcuno che si chiama Tappa, qui?' 'Senti un po’' ribatté la talpa, 'dovrebbe essere divertente?' 'Questa lettera è indirizzata a Tappa' rispose la chiocciola, 'e io posso consegnarla solo a qualcuno che si chiama proprio così'. 
'Ma io mi chiamo Talpa, sarà un errore.' 'Lo so che ti chiami Talpa, ma non so se è un errore. Quindi non te la posso dare.' 

Breve antefatto. La talpa ha appena ricevuto la visita del maiale che si è affacciato alla sua porta per farle visita. Lei non lo ha riconosciuto scambiandolo per un rappresentante di prese elettriche, per via del suo muso. È un fatto: la talpa non è un falco in fatto di vista. 


La lettera che porta la chiocciola postina apparentemente non è per lei ma per qualcuno con un nome molto simile, però Talpa insiste per averla, tanto da inventare una piccola e innocente bugia. 
Chiocciola si fida e consegna. Ma leggerne il contenuto non è facile per Talpa che si fa aiutare da Maiale. È un fatto: il maiale non è un falco in fatto di lettura. 
La postina invece sa leggere e queste sono le testuali parole che sono scritte sul foglio: Gentile Tappa, hai vinto 100.000 alla lotteria. 
Questa è la storia di una piccola comunità boschiva, di una vincita inattesa, di qualche imbroglio con bugia, di un po' di generosità, di nessun errore di stampa, di una cocente delusione e di una esemplare punizione. 

Come spesso accade nelle piccole comunità boschive, da quella di Tellegen in poi, a osservarle si imparano molte cose. 
La prima: i postini raramente sbagliano. La seconda: mai fidarsi dei tassi. La terza: non è la quantità a fare la felicità. La quarta: solo le volpi non mentono mai. La quinta: i pettegoli 'a fin di bene' è meglio tenerli a distanza. La sesta: alla lotteria si può vincere.


Dunque, le piccole comunità boschive. Credo che la bellezza possa nascondersi lì, in quella piccola e semplice società animale che d'incanto diventa, tra zampe e pellicce, riflesso brillante di una società ben più grande e complessa. Complice anche il sapiente pennino di Hauptmann che con Brachartz condivide più di un intento, su tutti l'ironia puntiforme e lieve che si concede qui e lì, ma anche il piacere di uscirsene dalle cornici e da certe convenzioni.


Il meccanismo è rodato e funziona: piccoli animali del bosco che hanno le loro tane arredate come casette, che hanno abitudini europee nel prendere un tè assieme, che hanno un servizio postale lento ma efficiente, che procedono con contratti e verbali in fatto di transazioni commerciali, che credono di curare la loro salute con un sistema di welfare celere e affidabile, che sconfiggono la congenita miopia con occhiali, che scrivono e firmano atti importanti con penne stilografiche di pregio, che si divertono e sperano nel futuro con le lotterie, che mangiano gomme americane e che usano principalmente il trasporto su gomma. 
Ecco fatto: ci siamo dentro con tutte le scarpe, dentro scenari del genere. Ci facciamo condurre all'interno con fiducia e assistiamo, seduti su una poltroncina in platea, ad una pièce che sul palcoscenico racconta chi siamo. Nessuno spavento nel vedere i limiti, le fragilità che ci tormentano nella vita vera: siamo a teatro, siamo in un teatro boschivo. Insomma, siamo noi, ma, se vi pare, anche anche no. 
Ah, che bellezza, storie così. 

Si sorride, poi si ride di gusto, magari ci si commuove per un attimo. 
Seduti su quella poltroncina tutto dentro si rimescola un po' e quando, calato il sipario e chiuso il libro, finito l'entusiasmo sincero degli applausi, si ritorna verso casa verso la vita, quella vera, la testa si mette a ronzare e i pensieri si susseguono: la curiosità della talpa, la bonomia del maiale, la fiducia della chiocciola, la scaltrezza del tasso, la malignità della puzzola, il valore e il disvalore delle bugie, i sogni nel cassetto di ognuno, il valore effimero della fortuna, la capacità di fare squadra, la lealtà che richiede un patto, il gusto per una chiacchiera al sole tra amici. 
Tutto questo è lì a disposizione, nessun giudizio, nessuna spiegazione, nessuna soluzione: solo una progressione di fatti accaduti tra animali in un bosco. 
In una sorta di preziosa collana di perle ideale, colleziono e infilo nomi di scrittori che concepiscono le loro storie così, da Tellegen a Hub per mettere due punti a distanza. 
Siamo fuori dall'albo, siamo in una pezzatura, ossia in una misura narrativa, più antica: il racconto. 
Oggi, una nuova perlina lucente. 

 Carla

lunedì 17 aprile 2023

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA LETTERA RESPINTA


In ‘Da qui si vede il mondo intero’, il nuovo romanzo di Enne Koens, pubblicato da Camelozampa, tutto comincia così, con una lettera respinta al mittente, da cui la pioggia ha cancellato mittente e destinatario; a trovarla è Dee, una vispa bambina olandese che vive in un complesso di case popolari. Il testo della lettera non chiarisce il mistero: c’è una persona che ama e un’altra che, evidentemente, non vuole saperne.
Dee ha dieci anni e vive con la madre Esther, che lavora come bibliotecaria; i suoi amici più cari sono Kevin, anche lui vive con una madre single, e Vito, compagno di scuola e membro di una famiglia italiana numerosa e chiassosa.
Dee si rivolge a Vito, che la ama perdutamente, per affrontare insieme le indagini sulla lettera dalla busta azzurrina; e speso sguscia fuori casa per andare con lui in cerca di indizi. I tre bambini vivono tutti nello stesso condominio, che è, come è facile immaginare, uno spaccato del mondo intero: ci sono immigrati di vecchia data e recenti, profughi, e olandesi in difficoltà, come la mamma di Dee, che è arrivata lì giovanissima, incinta e sola al mondo.
Della sua vera storia Dee non sa nulla e questo le fa pensare di essere stata adottata o rapita; si aspetta, quindi, da un momento all’altro la rivelazione della sua vera origine e magari i suoi veri genitori la stanno cercando, sono ricchissimi e la porteranno via da lì.
La realtà è molto diversa, decisamente più prosaica, ma non meno drammatica; grazie a una fotografia, Esther si convince a spiegare alla figlia perché, incinta, è stata costretta a scappare di casa: la sua era una famiglia bigotta e la condotta della ragazza risultava inaccettabile, tanto da ripudiarla.
Dee a questo punto sa, anche grazie alle testimonianze di alcune vicine di casa, di essere davvero figlia di sua madre. I sogni svaniscono, ma cade anche la barriera che si era creata fra di loro.
Ma le lettere? Erano proprio indirizzate ad Esther, ed erano scritte da sua madre, in cerca di una riconciliazione, che però la madre di Dee non voleva.
Come prosegue la storia non si può svelare. Posso però sottolineare gli indiscutibili punti di forza di questo romanzo. Innanzitutto, la leggerezza: tutti i personaggi di questa storia si portano il peso di drammi, sconfitte, difficoltà, la loro è la vita di una dignitosa povertà e nello stesso tempo di una grande vitalità; l’autrice racconta questo spaccato di vita vera, piena di contraddizioni, con uno stile leggero, mai pedante, potremmo dire quasi indulgente nei confronti dell’umanità che anima le case popolari. Poi la caratterizzazione dei personaggi, dalla protagonista, Dee, intraprendente e risoluta come Lena di ‘Cuori di Waffel’, fino alle comparse di questa intensa rappresentazione: Bilal il postino, il maestro Mo, la vecchia Elly e via descrivendo.
Una grande foto di gruppo che accoglie l’intenso rapporto madre-figlia, dove i segreti hanno scavato un solco e fatto nascere sospetti.
Infine lo stile diretto, con la narrazione in prima persona, che coinvolge il lettore e la lettrice nelle vicende della protagonista.
Anche in questo libro, stampato con caratteri ad alta leggibilità, sono presenti le illustrazioni di Maartje Kuiper, che firma anche la copertina.
Il romanzo è stato selezionato per Il Jenny Smelik IBBY book prijs ed è vincitore del Bronzen Griffel; immaginiamo che anche in Italia, come il precedente romanzo, ‘Sono Vincent e non ho paura’ ‘Da qui si vede il mondo intero’ riceverà la dovuta attenzione della critica.
Ma saranno soprattutto i giovani lettori e lettrici ad apprezzarlo per la sua freschezza e per la delicata ironia che lo pervade.
Lettura consigliata a partire dai dieci anni.

Eleonora

“Da qui si vede il mondo intero’, E. Koens, trad. O. Amagliani, Camelozampa 2023




domenica 16 aprile 2023

DI MADRE IN FIGLIA! 



Quest'estate ricevo in regalo un bel libro di ricette. 
Un affettuoso omaggio di una figlia alla propria madre e di una madre alla propria figlia, che poi sono sempre la stessa persona, Eugenia. 
Lei è contemporaneamente figlia e madre e ha collezionato in un grande libro verde le sue ricette del cuore, quelle che ha imparato da sua madre e quelle che affida a sua figlia. 
Per farlo ha costruito la maggior parte dei testi con gli originali scritti su un quaderno a righe dalla sua mamma, si aggiungono alcuni suoi foglietti, che sono quelli passati alla figlia in cerca di ricette di famiglia. 
Belle foto della sua cucina, delle sue pentole, dei suoi ingredienti e dei suoi grandi risultati, portati in tavola con grazia.
In tutto sono 100 ricette, di famiglia, appunto. 
Lo leggo con cura, riconosco alcuni sapori della mia infanzia, forse negli anni Sessanta il soufflé di groviera andava di moda?,  e colgo alcune sfide. 
Su una ci ho lavorato molto ed è diventata una preparazione costante del fine settimana della mia di famiglia, il gelato. 
Nella ricetta originale, si tratta di gelato al caffè dalla quale sono partita per produrre poi un invincibile gelato alla liquirizia che stravince su quello Fiorfiore Coop con la liquirizia di Calabria. Vittoria attestata da regolare contest.
Io metto qui le due versioni, ossia quello originale al caffè della mamma di Eugenia e la mia variante alla liquirizia

Ingredienti 
2 uova 
2 cucchiaini di caffè liofilizzato oppure 
8 caramelle Saila di liquirizia purissima 
2 cucchiai di zucchero 
6 meringhe (da sbriciolare) 
125 gr di panna da montare 

Se volete farlo con la liquirizia, mettete a fuoco basso in un dito d'acqua le 8 saila e lentamente scioglietele del tutto. L'acqua lentamente si ridurrà e le caramelle la tingeranno come inchiostro.
 

Montate con il poco zucchero i 2 tuorli. 
Aggiungete la soluzione di liquirizia, oppure il caffè liofilizzato 
Aggiungete le meringhe che avrete sbriciolato con le mani un po' grossolanamente.
Montate la panna e aggiungetela inglobandola con delicatezza.
Montate le chiare a neve e aggiungetele con la dovuta cura.


Finito, o quasi. 
Versatelo in un contenitore da gelato coop (che non comprerete più) e mettetelo in freezer. 
Ogni ora per un paio di volte tiratelo fuori e rimestatelo come fanno le gelatiere. 
Finito, davvero!

Carla

giovedì 13 aprile 2023

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

COSÌ È LA VITA 

La principessa Lucciola
, Fabrizio Silei, Serena Viola 
Edizioni Corsare 2023 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"Non è per niente morta la principessa Lucciola. 
Eccola là con il suo vestito rosso e la coroncina in testa. 
Se la signora Dina avesse ancora gli occhi buoni, la vedrebbe anche lei ma, con gli occhi velati di bianco e le orecchie intasate, non scorge più le stelle e le lucciole più lontane, non ode più il frinire dei grilli farsi più lieve, e per lei, ogni anno, l'estate finisce prima del tempo." 

Le cose però non stanno così: l'estate è agli sgoccioli, è vero, ma ci sono ancora segnali che dicono che non è finita. Gli zigoli cantano, il grillo blu e il rospo gonfio sono ancora nell'erba. Le rondini volano ancora in giro. E le lucciole, anche loro brillano un altro po'. 
A quella bambina non piacciono le cose che finiscono e non tornano più. Non è la sola. 
Ed è per questo che interroga tutti per farsi rassicurare che il loro andarsene non è per sempre. Lei, che vive con la sua nonna perché il papà è sempre in viaggio -quella lucina rossa intermittente è l'aereo che lo porta in giro e da dove la saluta con la mano- lei, che la sua mamma non ce l'ha più. 
Lei, mentre corre nei prati, cercando di non dimenticare nessuno nei suoi saluti, si chiede e chiede.  
Le rondini non torneranno tutte, ma ce ne saranno di giovani, perché così è la vita, lo stesso accadrà con i grilli, mentre il rospo sarà lì ad aspettare che lei lo baci. Marameo! 
Spetterebbe alla scienza del merlo spiegare a una bambina cos'è la vita: matematica e probabilità di farcela: due terzi per un merlo e un terzo per un verme. Ma tanta lucidità di pensiero si inceppa nella domanda sulla pietà verso il verme... 
Verme salvo o verme mangiato, la lucciola principessa è chiara: l'estate finirà, ma, la rassicura, ce ne sarà un'altra e poi un'altra ancora. E nel frattempo, ogni volta che lei ci penserà, l'estate tornerà... 

In questa storia tutto si muove, tutto si accenna, tutto sfugge e, sotto sotto, brulica e fa brusio. 
Un brusio di fondo lo fanno le parole dette a mezza bocca, quelle che non vengono dette belle chiare, a voce alta. Frasi che si interrompono, accenni e allusioni. 
Ecco, tutto questo crea un vocio di sottofondo e un brulicare di pensieri intorno alla questione che la bambina e la sua nonna, e anche un po' la signora Dina sempre un po' goffa e incerta, vedono sospesa sulle loro teste a rabbuiare le giornate. Ma l'estate è più forte di qualsiasi cosa e riempie di sole, odori e sensazioni le giornate della bimbetta che corre avanti e indietro tra i prati, tra la realtà e quello che è il suo immaginario. 


Ricorda la sua mamma attraverso i sensi: la voce, il sapore di un gelato, il fiatone di una corsa e di una risata e nello stesso tempo scappa dai suoi pensieri per parlare con un rospo o con un corvo matematico, il cui cinismo merita di essere messo in discussione. 
Quindi, per riassumere, nel discorso di Silei che non ha certo un passo regolare, alla ricerca dell'ellissi - accelera e rallenta si illumina e si scurisce e ha molte voci dai volumi differenti - si alternano grandi domande, qualche risposta non definitiva e una, forse, superflua, diversi animali, molti suoni, diversi profumi e odori. 
Questo è quello che consegna all'illustratrice che è perfetta per questo ritmo. 
Di lei c'è stato modo di apprezzare quanto con la poesia ci sappia fare: è proprio il luogo perfetto in cui lei si sente di abitare. Mette in campo i suoi strumenti: il colore e le sue macchie, che oltre a solleticare lo sguardo, significano anche molto altro, il movimento di un corpo circoscritto da un segno di matita colorata che non si interrompe e non si stacca mai dal foglio finché non racchiude la forma e il volume voluti. E infine il suo illimitato repertorio di gesti pittorici: baffi di colore, gocce che sembrano casuali e mai lo sono. 


Lei è perfetta qui, perché di istinto si muove per ellissi e per accenni che aprono grandi scenari interpretativi. E allora due macchie rosse sono i gelati di mamma e figlia, racchiuse in una linea gialla piena di luce. Le lucciole diventano stelle, un aereo bianco si rispecchia in una canottiera estiva. 


La pagina del grillo blu è blu, la pagina del rospo verde è verde, la pagina della lucciola gialla è ocra. Una volpe si nasconde dietro una macchia verde. Un repertorio di mani magnifiche tracciate con un segno rosso, mani che nutrono i conigli e le galline e ne stringono, protettive, una di bambina. E su tutto la sua innegabile disinvoltura nel restituire movimento e volume ai corpi disegnati e quindi ad evidenza, bloccati sul foglio. 


Ecco tutto questo fa parte del linguaggio pittorico e, si può dire senza tema di smentita, poetico di Serena Viola. 
Bella idea quella di farla raccontare anche a lei, questa storia luminosa. 

Carla