venerdì 30 agosto 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


L’ARTE SEGRETA DELLE VOLPI

E’ uscito da poco il secondo volume della trilogia firmata da Inbali Iserles, autrice britannica, dedicata all’arte magica esercitata dalle volpi. Come ben si comprende, si tratta di un ciclo fantasy che mescola due ingredienti di grande successo, animali e magia, rivolgendosi soprattutto a lettori consolidati sì, ma non troppo. Che l’autrice sia un’esperta del genere è fuori questione: insieme ad altre scrittrici firma con lo pseudonimo Erin Hunter il ciclo Warrior Cats, che ha avuto un discreto successo anche in Italia.


Il primo libro di questa nuova serie, uscito per Salani l’anno scorso, si intitola ‘Foxcraft. L’arte segreta delle volpi’ e ci introduce nel mondo magico di Isla, giovanissima volpe che si ritrova improvvisamente sola dopo che un gruppo di volpi, ‘forzate’ da un mago potente, ha sterminato la sua famiglia. Tutti meno uno, il fratello Pirie, che Isla a questo punto cerca disperatamente. Per farlo deve attraversare territori sconosciuti, prima di tutto il Grande Ringhio, ovvero la città degli uomini, i ‘senzapelo’. Affronta numerosi pericoli, aiutata da una volpe più grande, Siffrin, che le spiega anche i rudimenti dell’arte magica delle volpi, che lei sembra possedere inconsapevolmente. Vuole convincerla a raggiungere gli Anziani, vecchie volpi sagge, le uniche in grado di fermare il Mago che sta gettando scompiglio nel mondo delle volpi.


Nel secondo volume, uscito recentemente, dal titolo ‘Foxcraft. Il consiglio dei saggi’ , Isla ha lasciato Siffrin e arriva nella parte selvaggia del mondo volpino e incontra un altro personaggio in cerca della sua famiglia, Haiki, che sarà suo compagno di viaggio. Nelle terre selvagge incontra un altro gruppo di volpi, anche loro sotto attacco dell’esercito zombie, cioè di volpi sotto incantesimo, che cercano di annientarle. Questa volta Isla si convince e dirigersi verso la roccia degli Anziani, in cerca di aiuto; non sa che il suo viaggio metterà in pericolo gli oppositori del Mago.
E’ davvero impossibile entrare nel dettaglio della trama di questi due romanzi fantasy, che, come da regola non scritta, mettono in fila avventure e colpi di scena, amicizie, tradimenti e tanta magia.
La struttura narrativa di Foxcraft è lineare, semplice quanto basta per catturare il lettore e la lettrice per le prime volte alle prese con storie lunghe, in cui è indispensabile seguire la trama con attenzione. A questa voluta semplicità si affianca un evidente apprezzamento per il mondo animale: il mondo magico in questione vive sotto l’influsso delle stelle di Canista, la costellazione magica in cui si riconoscono tutti i canidi, lupi, coyote, volpi, cani, che non a caso parlano la stessa lingua, pur essendo molto diversi fra loro e non amandosi affatto. L’autrice conosce bene il comportamento di questi animali, che viene ben descritto nella caccia, nel riposo, nelle relazioni fra simili. E in più, ingrediente di rilevante importanza, quella magia che tutto pervade, con le varie arti: quella di imitare i versi degli altri animali, di assottigliarsi fino a scomparire alla vista dei nemici, di guarire un consimile ferito.
Lo schema che si snoda nel racconto è classico: il Bene, incarnato dalle volpi ‘buone’, contro l’oscurità del Male, potente e feroce, la cui avanzata porta la morte nelle verdi vallate popolate dalle volpi. In tutto questo i ‘senzapelo’ sono solo comparse, chiuse nelle loro macchine rumorose e dedite alla persecuzione degli animali liberi. E’ un mondo manicheo, che al di là degli inganni della magia, non prevede sfumature nel dividere le armate del bene e del male.
Se questo può non attrarre lettori e lettrici esperti, sicuramente rappresenta una buona palestra per chi comincia ad affrontare letture impegnative, fra la fine delle elementari e l’inizio delle medie. La scrittura è scorrevole, il ritmo serrato, i protagonisti volpini suscitano una istintiva simpatia, con i loro nasi frementi e le movenze scattanti.
Per questo considero questa serie una buona proposta di lettura per lettrici e lettori avventurosi.

Eleonora

“Foxcraft. L’arte segreta delle volpi”, I. Iserles, Salani 2018
“Foxcraft, Il Consiglio dei saggi”, I. Iserles, Salani 2019


mercoledì 28 agosto 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


SPERDUTI


E’ una storia di grande fascino, un romanzo che merita appieno la Carnegie Medal ricevuta nel 2018: ‘Alla fine del mondo’, di Geraldine McCaughrean, da poco pubblicato da Mondadori nella collana Contemporanea, è un grande romanzo.
Racconta la storia, ispirata a un fatto reale accaduto nel 1727 nell’arcipelago scozzese di Saint Kilda, di un gruppo di uomini, con una ragazza camuffata da ragazzo, rimasti soli nell’isolotto di Warrior Stac per nove mesi. Erano andati lì, in estate, a fare incetta di uccelli marini, preziosi per la carne, le piume e l’olio, assai ben pagato. Dovevano restare qualche settimana e invece nessuno è venuto a riprenderli.
Il romanzo della McCaughrean, autrice nota al pubblico italiano, è il racconto della loro lotta per la sopravvivenza, delle loro diversità, dei loro disperati destini.
Il protagonista è Quilliam, un adolescente che, insieme ad altri ragazzi, accompagna i tre adulti ‘uccellatori’, destinati cioè a guidare la breve stagione di caccia su un isolotto sperduto nell’oceano. Se l’inizio di questa impresa appare prevedibile, ma non per questo meno duro, la presa di coscienza che è passato troppo tempo e che nessuno verrà a riprenderli spalanca davanti a questo gruppo di persone la prospettiva di un inverno durissimo, flagellato dalle tempeste, senza poter contare su altro che se stessi. C’è chi si auto nomina pastore, pretendendo di dettare legge; chi è spinto da visoni mistiche e chi, come Quilliam, cerca di tenere viva la speranza fra i più piccoli raccontando storie e nominando ciascuno ‘custode’ di qualcosa: della memoria, del tempo, dei preziosi strumenti di lavoro. A renderlo più forte è l’amore per la giovane ragazza arrivata da poco nel paesino costiero da cui vengono tutti: Murdina, l’affettuosa maestra che ha insegnato loro a leggere e a scrivere. Il lavoro di uccellatore è durissimo e feroce, non lascia scampo alle diverse specie di uccelli che lì si affollano per deporre le uova o ripararsi: le pulcinelle di mare, le berte, i fulmari. Quill si affeziona a un’alca, un grosso uccello marino, ora estinto, incapace di volare, che lo accompagna nelle diverse, pericolosissime imprese. La sua feroce uccisione, da parte dei compagni di sventura, è per il ragazzo un segnale dell’imminente definitiva sventura, la fine del mondo. Alla fine una barca arriverà, quella dell’implacabile esattore dei tributi, che li raccoglie e li riporta in un villaggio reso deserto, o quasi, da un’epidemia di vaiolo. Pochi uccellatori potranno riabbracciare i familiari, Quill, con il cuore inaridito dall’aver perso tutto, vuole imbarcarsi e lì, sulla banchina del porto, c’è un colpo di scena finale.
‘Alla fine del mondo’ è un potente romanzo corale che più che raccontare quanto l’isolamento possa cambiare le persone e svelarne l’intima natura, racconta in primo luogo la durezza della vita di questi uomini all’estremo nord della Scozia, dipendenti dalla natura e in lotta perenne con essa; niente può essere perduto, niente tralasciato, una piuma, un coltello, una fune. E’ una natura matrigna, che però nutre e sostiene anche quando non è rimasto più niente. Solo Quill, narratore di storie, riesce a vedere in un animale lo specchio affettivo della sua solitudine.
Nonostante sia una storia ambientata all’inizio del ‘700, la narrazione è avvincente, ci trasporta su un isolotto sperduto a condividere la lotta per la sopravvivenza di un manipolo di persone che non hanno altro che la loro esperienza e la loro tenacia. Efficace la traduzione di Anna Rusconi, precise le illustrazioni di Jane Milloy e la mappa di Ian McNee. Mi incuriosisce il fatto che l’editore inglese, Usborne Publishing, non abbia utilizzato il proprio marchio italiano per la traduzione. E trovo sia una sottovalutazione da parte dell’editore italiano Mondadori aver scelto la collana Contemporanea, più esplicitamente per ragazzi, rispetto a quella de I Grandi, dove trovano spazio romanzi, come questo, adatti anche a un pubblico adulto.
Bella lettura, avventurosa e drammatica, da affrontare dai dodici anni in poi.

Eleonora.

“Alla fine del mondo”, G. McCaughrean, Mondadori 2019

lunedì 26 agosto 2019

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


CORRERE


Un nuovo romanzo di Jason Reynolds, ‘Run’, della serie dedicata ai Defenders, la squadra di atletica che abbiamo conosciuto nel romanzo ‘Ghost’, vede questa volta una protagonista femminile, Patina Jones. Anche lei afroamericana, anche lei con una storia complicata alle spalle: il padre morto all’improvviso mentre la mamma era incinta della sorellina; la mamma cui il diabete toglie le gambe e la costringe ad affidare le figlie alla famiglia del fratello.
Patina, o Patty, nonostante tutto questo, ha una vita abbastanza regolare, divisa fra la scuola e gli allenamenti di atletica. Ma si sente diversa, in quella scuola esclusiva in cui tutte sembrano perfette. In realtà tutte loro, le compagne di classe con cui deve redigere una ricerca su Frida Kahlo, le insegnanti, la stessa zia bianca, che sembra così ‘normale’, hanno dei segreti, una vita alle spalle che non è esattamente rose e fiori.
Il mondo è complicato ed è complicato essere un’adolescente qualsiasi quando ci si porta sulle spalle il peso di un lutto, la distanza della madre, la responsabilità di aiutare la sorellina a crescere: farle le treccine con le perline magiche, ascoltare le sue storie e soprattutto le sue domande imbarazzanti (dove sono andate le gambe di mamma?)
In tutto questo, che mescola la solitudine, la rabbia, il dolore e la voglia di esistere, s’inserisce l’atletica con il solito impagabile coach Brody, che ha preso sotto l’ala tutti i suoi ragazzi. All’inizio del libro sappiamo com’è andata a finire la prima gara di Ghost, ora siamo alla vigilia di nuove gare dove Patina corre nella staffetta 4x800.
Per correre questa gara bisogna trovare l’affiatamento perfetto ed essere capaci di dare tutto per la squadra. Le cose non sono mai semplici, però, e non resta altro che prepararsi al meglio, allenandosi duramente e, il giorno della gara, compiendo quei gesti scaramantici che danno sicurezza: le treccine con le perline rosse di Maddy, le unghie laccate come l’atleta Flo Jo, ovvero Florence Griffith Jones, affascinante velocista degli anni ‘80, e una montagna di rabbia da trasformare in determinazione.
Come sempre i romanzi seriali suscitano dubbi sul fatto che la freschezza, l’originalità della trama, le caratterizzazioni dei personaggi possano sopravvivere alla ripetizione legata ai diversi romanzi del ciclo. Eppure, sì, Jason Reynolds riesce a farci entrare nella vita dei suoi personaggi con grande naturalezza; costruisce le sue storie come tanti cammei che alla fine si incastonano in un ritratto di gruppo, nell’immagine di ragazze e ragazzi di oggi, costretti ad affrontare problemi che non sono quelli propri dell’adolescenza, ragazze e ragazzi cresciuti in fretta, che devono fare i conti con la loro storia personale e con la realtà sociale in cui vivono. Reynolds in questo ciclo, a differenza di altri romanzi, mantiene un tono leggero, una lettura ottimistica sulla possibilità di riscatto rappresentata dallo sport e soprattutto dalla sua dimensione collettiva. Costruisce storie in cui i giovani lettori e lettrici possano riconoscersi, al di là dell’Oceano che separa quei ragazzi dai nostri.
Lettura non difficile, ma tutt’altro che banale per ragazze e ragazzi dai dodici anni in poi.
Eleonora

“Run”, J. Reynolds, Rizzoli 2019

giovedì 22 agosto 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL BINOMIO FELICE

Che bravo cane!, Meg Rosoff (ill. Grace Easton) 
(trad. Stefania Di Mella)
Rizzoli, 2019


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"'Quindi sì' continuò 'si può dire che mi sono licenziata. Per il momento. Mi prendo un periodo di pausa per ritrovare la mia pace e la mia serenità. D'ora in avanti l'unica persona della quale mi occuperò...sarò io.' E così dicendo, diede a Betty un bacio sulla testa e andò a infilarsi i suoi pantaloni da yoga."

Mamma Peachey ha appena preso una decisione importante che lascia interdetti gli altri membri della sua famiglia: un marito e i tre figli. Da questo momento in poi nessuno di loro potrà più contare sul suo aiuto. Niente pranzi o cene o colazioni, niente spesa, niente lavatrici o panni stirati, niente sveglia la mattina, niente pulizia della casa. Niente di niente. Le sue ore libere dal lavoro le passerà a perfezionare le sue posizioni yoga e a coltivare i propri sogni. Se al principio tra i familiari si diffonde un certo qual senso di liberazione da obblighi e doveri - cene da asporto, nessuna cura della casa e ritardi su ritardi a scuola e sul lavoro - con il passare dei giorni soprattutto a Betty, la piccolina di casa, vien su un certo qual senso di mancanza di affetto. Urge un rimedio. Spetta ancora a Betty il compito di trovare una soluzione. A quattro zampe.
Un cane preso da un canile può sostituire una mamma e una moglie, almeno temporaneamente?

Se si pone questa domanda a un bambino, la risposta non sarà affatto univoca.
Meg Rosoff sembra saperlo molto bene e su questo costruisce una storia che lavora su un binomio felicemente armonico: cani e bambini.
Non esattamente una novità, in questi ultimi anni, se pensiamo per esempio a Jutta Richter o Eva Ibbotson.
Secondo il canone, sebbene il cane arrivi in una famiglia composita, è solo con Betty che instaura un rapporto affettivo degno di questo nome. Tanto il cane quanto la bambina sono piuttosto originali e tra loro in buona sintonia. Betty ha un'onestà intellettuale molto sviluppata, è l'unica che sa leggere i sentimenti e ha una buona capacità progettuale che abbina a una discreta manualità. 


Al contrario Meg Rosoff disegna il resto della famiglia, come problematica e tutto sommato accessoria. Tutti sono costruiti secondo un repertorio di stereotipi umani: un padre poco autorevole e molto distratto, una sorella maggiore con velleità revansciste e intellettuali, e un fratello pigramente in cerca di autoaffermazione. Per la madre, invece, la simpatia è immediata. Incontrovertibile la sua scelta.
Il cane, Mc Tavish (ispirato a un cane in carne e ossa conosciuto dalla Rosoff a cui lei stessa dedica il libro), è come già accennato il perno della questione. Tutta la vicenda è filtrata attraverso il suo sguardo e anche la risoluzione del problema originario la si deve principalmente al suo ingegno.
Se da un lato si sente tanto il bisogno della Rosoff di fare luce sulla questione 'cani abbandonati' (due paginette a fine libro sulla Blue Cross for Pets), come pure sull'impegno che richiede tenere un cane in famiglia 'un cane è per la vita, non solo per Pasqua', dall'altro il lato migliore del libro è di fatto lo sfondo. Ovverosia le dinamiche interne di una famiglia con un problema.


Sebbene tutti i personaggi siano piuttosto peculiari, è ben possibile che molti lettori possano riconoscere nel ménage di questa famiglia, affinità con le proprie. E che ci ragionino sopra. Questa qualità, unita a una scrittura davvero felice che le ha fatto guadagnare l'Andersen di recente, assegna al libro un valore ulteriore che, per paradosso, è diverso da quello stringente sul 'tema' in sé.
Quando la differenza la fa la capacità di concepire una buona storia...

Carla


lunedì 19 agosto 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


QUANDO CAMBIA IL TEMPO

La grande battaglia, Andrea Antinori
Corraini 2019



ILLUSTRATI PER MEDI (dai 6 anni)

"Affacciatevi alla finestra e osservate il cielo: sta piovendo? Sì? Bene (si fa per dire), è il momento giusto per sedersi sul divano, trovare una posizione comoda e leggere questo libro.
Nel caso invece ci fosse il sole, credo che la scelta migliore sarebbe comunque sedersi sul divano, trovare una posizione comoda e leggere questo libro. Perché? Basterebbe un passo fuori dalla porta e sono sicuro che inizierebbe improvvisamente a piovere."

E' piccolo. Avvolto nella sua mantellina gialla, dall'angolino più in basso, si rivolge al suo pubblico da un microfono perché siano in molti a sentirlo. 
 

Poi attraversa una pagina bianca e va incontro a una nuvola grigia che spunta a destra del foglio, in alto dove sono di solito le nuvole. È troppo scura per non essere di pioggia. E infatti cade la prima goccia, che più che una goccia è una linea di acqua azzurra che termina sulla sua mano.
Il tempo di mettersi il cappuccio e le linee, ovvero i percorsi delle gocce, diventano moltissime. E inarrestabili e implacabili lo seguono ovunque lui vada.
Che la battaglia abbia inizio.

Di questo libro i primi particolari che colpiscono l'attenzione sono legati al design dell'oggetto in sé: il formato e il colore che porta dritto al segno.
Siamo in casa Corraini.
Il formato è insolito e, così come ha messo a teorema Suzy Lee, ad evidenza funzionale alla creazione di uno spazio scenico determinato. Qui inequivocabilmente verticale, come verticale è il tragitto della pioggia. 


Il formato nella Grande Battaglia serve inoltre a creare la giusta distanza tra i due contendenti che, non a caso, si affrontano, almeno al principio, dagli angoli opposti della doppia pagina. E questa grande altezza del foglio ha anche il merito di rendere la sfida impari fin dal principio: la gestione della pagina alta Antinori la utilizza con intelligenza, rendendo piccolo, minuscolo, il perdente e concedendo l'intero spazio al vincente, la pioggia. E questo lo sottolinea anche il colore: poco giallo tanto blu, ovvero azzurro.
Per molte pagine, l'alto e il basso ospitano i poli in opposizione: il nuvolone e il bimbetto in cerca di sole, anch'esso, puntualmente nell'angolo.
Al centro del libro le cose si squadernano un po', ma sono digressioni sul tema.
E così, senza dire o spiegare niente, attraverso una buona gestione dello spazio, un buon ritmo nella composizione (nuvole grandi o nuvole piccole, acqua che sale acqua che scende) Antinori riesce a costruire uno stato d'animo: quello di una grande battaglia o, per meglio dire, di una lotta impari e di una giornata decisamente storta per qualcuno.
E lo fa con una modalità che gli è consona: giocando e chiamando dentro il suo lettore.
Il secondo elemento che colpisce è il colore in uno con il segno. 


Opposti, e antagonisti anche visivamente il blu, ovvero l'azzurro, e il giallo sono rispettivamente il colore della pioggia e il colore dell'impermeabile, ovvero del protagonista, e del sole, il grande atteso e, a caduta, di tutti gli altri elementi che si susseguono nella storia: dall'autobus, alle tigri, passando per un cammello. Un po' di verde al centro a ribadire ancora un volta che blu e giallo sono i colori della sua miscela di composizione. Al nero, ovvero al grigio di nuvole o letame, il compito di essere il contrappunto del bianco, ma anche il tratto di una matita che disegna.
Nel susseguirsi delle pagine sono riconoscibili diversi omaggi, o citazioni, che Antinori fa ai Maestri: da Mari a Lionni, passando per Suzy Lee.
Ma a parte questo, è il segno significante l'arma vincente di Antinori.
Chi lo conosce, sa che a questo giovane illustratore piace disegnare come un bambino, di norma con le matite che usano i bambini. Sia che voglia fare propria la massima di Picasso, ovvero che sia in cerca di una sincertià data da uno sguardo non ancora contaminato, sia che sia in cerca di altro, in questo libro quello che colpisce è l'immediatezza del significato che il segno porta in sé. In particolare le grandi righe blu, ovvero azzurre, per la pioggia che costituiscono il Leitmotiv dell'intera storia e che a un certo punto si svincolano dal loro significato oggettivo di righe di pioggia e diventano pura grafica, fino ad annullarsi in un pattern, nella quarta di copertina. Ma prima di farlo, hanno comunicato un sacco di cose al lettore: a seconda del loro spessore, della loro inclinazione, della loro assenza o sovrabbondanza.
Sempre in casa Corraini siamo.

Alcuni, seppur sporadici, guizzi creativi giocano sull'assurdo che si può creare disegnando: i colpi di fionda o di spada che tagliano l'acqua che cade, sono una bella idea. Mentre è ancora tutta da costruire la qualità della grafica del testo che, peraltro, poco sposta o aggiunge al disegno.


Ma ci sarà tempo per fare strada.


Carla

venerdì 9 agosto 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri pr incantare)


CHOLESTEROL FREE

Incubi al formaggio, Ross Collins (trad. Leonardo Sorrentino)
Biancoenero Edizioni 2019



NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

" 'Con quale formaggio posso tentarti oggi, amico mio?' gli chiese togliendo della feta dal suo grembiule.
Nell'ultimo mese Hal era stato molte volte nel suo negozio.
'Niente formaggio oggi', disse Hal. 'Devo risolvere il mistero degli incubi al formaggio'. Tirò fuori dal suo zaino un pacchetto di etichette e le mostrò a Mr Halloumi. 'Tutti questi formaggi mi fanno venire degli incubi terribili, e voglio scoprire perché'."

Tutti quei formaggi provengono dalla stessa fabbrica che ha un nome poco rassicurante:
Casa del formaggio della Contessa
(per-niente-malvagia) von Udderstein.

Si tratta di una fabbrica che produce formaggio per bambini. A Bovinia.
Hal e il suo cane grasso, Rufus, partono alla ricerca. Dopo un viaggio sempre più estenuante che parte dall'aeroporto e finisce a dorso di capra, Hal fa una serie di scoperte molto istruttive: la fabbrica è interamente gestita e occupata da mucche che hanno come obiettivo punire l'umanità che pretende sempre più latte e sempre più suoi derivati. In particolare i bambini che mangiano yogurt, gelati con panna e frappè riceveranno la loro dose di formaggio malvagio, prodotto con latte malvagio, che provocherà orribili incubi e forse li farà desistere e cambiare abitudini alimentari.


Hal con il suo cane sono prigionieri nella fabbrica: non resta che tentare una fuga in piena regola, non prima però di aver messo fuori uso l'intera catena di montaggio produttiva.

Libro da mettere in tasca e da leggere in montagna, vicino a un alpeggio e a una malga, tra mucche brucanti, in una pausa dell'escursione verso la vetta. 
Per varie ragioni, non ultima la scrittura facilitata, Incubi al formaggio ha il dono di poter essere 'letto e assaporato' con grande velocità e grandi risate.
Di questo libro lieve, molto comico, certamente cholesterol-lowering la cosa che più colpisce sono alcune assurdità narrative, come per esempio il sistema di trasporti, o il linguaggio bovino, o il cane Rufus, ma soprattutto il disegno. 

 
Ross Collins d'altronde questo mestiere fa, l'illustratore.
Scozzese di origine, britannico nello stile, dimostra di conoscere l'ironia e certe distorsioni della Gravett e i grandi occhi di Kitamura.
Eclettico, di ognuno sa rielaborare la lezione con una prospettiva però piuttosto personale.
Digeribile, nonostante tutto il formaggio che contiene, il libro oltre a far ridere, ha una piccola missione da compiere. Che è quella di mettere a fuoco nella testa dei bambini e delle bambine che il cibo ha un suo costo preciso (e che non siamo noi a pagare), che diventa impattante se non regolato a dovere.
Senza necessariamente diventare vegetariani o vegani (e meno male che esistono), tuttavia ragionare un po' sullo sfruttamento del bestiame da allevamento credo non possa nuocere alla salute. Anzi.
L'umanità ha la fortuna di occupare e presidiare, nella piramide alimentare, la vetta. E su questa questione forse dovremmo mostrarci più sensibili e attenti.
Per questa ragione se ne consiglia la lettura accanto a un alpeggio, dove gli animali vivono in condizioni relativamente accettabili. 

 
Una volta ridiscesi a valle, le cose purtroppo dovremo constatare che molto spesso vanno diversamente.

Carla



mercoledì 7 agosto 2019

FAMMI UNA DOMANDA!

ANZI, UN PLEXILIARDO DI DOMANDE!

 
‘Papà, dove si accende il sole? Tutte le domande che si possono fare a un padre scienziato’ è frutto di una piccola idea geniale, che vede la collaborazione di un papà divulgatore scientifico e una figlia, fonte inesauribile di domande, dai quattro ai nove anni. Trascritte su un taccuino, le domande di Laura Martinez Lasso, con le risposte di papà Antonio Martinez Ron, sono diventate un libro originale e divertente, che sostituisce i noiosissimi e vetusti Libri dei perché, tutti compilati in chiave adulta.
In questa raccolta di domande buffe, incoerenti o assolutamente argute, c’è tutto il mondo dell’infanzia, che ancora non è inquadrato nei criteri della logica formale e che spesso inventa risposte creative di fronte all’immensità del mondo da conoscere.
Gli argomenti sono disparati e riguardano il mondo animale, il cielo e le stelle, le grandezze infinite, e la nostra finitezza. Il libro è strutturato in capitoli, aperti da una domanda di partenza, cui segue un creativo botta e risposta fra padre e figlia.


Alcuni esempi di domande: ‘perché esistono i rinoceronti e non gli unicorni?’, ‘perché non ci sono pianeti quadrati?’, ‘perché non si può scivolare sull’arcobaleno?’. Le risposte, che non riporto per un eccesso di cattiveria estiva, sono in realtà risposte aperte, che inducono a nuove domande e che non temono di ammettere quello che in effetti non si sa. Un approccio fondamentale per non chiudere i più piccoli nell’ambito ristretto di certezze fasulle.
Non mancano temi importanti, di natura etica, come ‘perché mangiamo gli animali?’ o, ancor più inquietante ‘e cosa succede quando moriamo?’. Anche qui, devo dire, le risposte brillano per onestà intellettuale e per coraggio, anche se è evidente che ciascuno/a di noi a queste domande risponde a partire dal proprio punto di vista filosofico o religioso, non c’è una risposta che vada bene per tutti.
Questo con buona pace di chi cerca nei libri risposte ad hoc per le situazioni che si stanno vivendo e che non si riesce ad affrontare, oppure qualcosa che assolva al compito di gestire la curiosità dei bambini.


Questo libro, poco vistoso, con una grafica ed illustrazioni non vistose, ma efficaci nella loro ironia, insegna alcune cose importanti: che le domande di bambini e bambine, a qualsiasi età, sono importanti e meritano la dovuta attenzione; che non ci sono domande impossibili, perché è assolutamente lecito, ed onesto, ammettere i propri limiti e dire cosa non si sa, magari industriandosi per cercare insieme risposte attendibili; che la conoscenza è un processo infinito, affascinante, divertente soprattutto se lo si attraversa insieme, adulti e piccoli, in un’esplorazione potenzialmente infinita. Infine, in questo contesto, non ci sono risposte ‘sbagliate’: le risposte buffe, le invenzioni dei bambini, fra cui il plexiliardo della nostra Laura, non sono che l’equivalente delle ipotesi, idee che vanno sottoposte al vaglio della realtà. Se non ci fossero stati adulti in grado di pensare risposte ‘impossibili’, molti passaggi rivoluzionari della scienza non avrebbero avuto luogo.
Prendete ‘Papà, dove si accende il sole?’ come un eccellente modello per tutti quei momenti preziosi in cui un bambino o una bambina vi fanno una domanda.
Lettura da condividere con lettrici e lettori dai sei anni in poi. E buon divertimento!

Eleonora


“Papà, dove si accende il sole?”, A. Martinez Ron, L, Martinez Lasso, Salani 2019



lunedì 5 agosto 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

La casa che un tempo, Julie Fogliano, Lane Smith, 
(trad. Chiara Carminati)
Rizzoli 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)

"In cima alla collina
c'è la casa
che pende sbilenca.
La casa che un tempo
non era screpolata così.
La casa che un tempo
era invece dipinta di blu."

Due bambini si affacciano su un sentiero in salita che porta alla casa che casa non è più. E arrivati lassù trovano una porta sospesa e una finestra rotta. Che fare? Entrare. Sottovoce e in punta di piedi la esplorano e si interrogano sulla mancanza, sul silenzio che è arrivato dopo il rumore di chi la ha abitata. Ma la grande domanda è appunto: quegli oggetti continuano a parlare e allora chi ha vissuto tra queste mura, chi si è guardato in quello specchio, o dormito in quel letto, o riposato su quella sedia?
Vanno in direzioni diverse i pensieri di quei bambini: forse un capitano o forse una pittrice o forse gli abitanti sono solo smarriti in cerca delle chiavi perse?
La casa rimane lì e sembra voler aspettare o più semplicemente testimoniare. Magari è anche contenta di poter ospitare il bosco che ha intorno e che piano piano entra dal tetto.
Le domande restano domande, il garbuglio di rovi , che allude a Rosaspina senza troppi sotterfugi, viene riattraversato e al di là della pagina e al di là del bosco c'è una casa e - ancora una volta - c'è una cena che li aspetta.

Julie Fogliano non va mai ignorata. 


Per tre ordini di motivi: ha spesso cose belle da raccontare, come capita ai poeti, prende velocità e direzioni differenti, come capita ai poeti, e la sua voce sale sempre fuori dal coro, come capita ai poeti.
E come se non bastasse, in questo preciso libro viaggiano con lei due altri grandi talenti: quello di Chiara Carminati, alla traduzione, che fa suonare la lingua con parole come un silenzio che scricchiola o una porta sospesa tra l'andare e il venire, e quello di Lane Smith, illustratore gigante.
Julie Fogliano negli Usa (e anche altrove, a giudicare dalle molte lingue in cui sono tradotti i suoi libri) è un'autrice molto amata e molto stimata.
In Italia, finora, non pare essere per tutti.
Forse perché è poesia? E si sa, la poesia è una roba da iniziati.
Forse perché la sua non è velocità ma lentezza? E si sa, chi è lento resta indietro.
Forse perché si occupa di piccolezze, come un seme che non cresce, o una balena che non passa, o una casa un po' sbilenca e rotta? E si sa, cose così son senza importanza.
Che dire? Il peggio è per chi la ignora.
Intorno a due perni tutto ruota: una casa e l'assenza, il non essere (di dickinsoniana memoria).


Si tratta di una casa che non è più una casa, ovvero è avvenuto quel lieve passaggio fondamentale che l'ha resa diversa da prima. Continua a essere una house, seppure sbilenca, ma non è più home di qualcuno, a parte la famiglia dell'onnipresente uccellino di Lane Smith. 


Linguisticamente, tale differenza esiste e resiste anche nel tedesco, ancor più precisamente che nell'inglese, e si percepisce nella distinzione tra Haus e Zuhause (in italiano suonerebbe qualcosa come 'Casa' e 'a casa') e che il traduttore dell'edizione Sauerländer non si è lasciato sfuggire, tradendo il titolo originale, ma restituendo il senso originale della questione.
Una casa può esistere anche 'in assenza' di abitanti. Ma un 'a casa' non può esistere 'in assenza' di persone.
Julie Fogliano ha ancora una volta fatto centro.
Parte da un piccolo punto per poi ampliare l'orizzonte e rendere universale il valore del suo discorso.
Si era partiti da un seme, si era partiti da un desiderio di bambino, e si era finiti a parlare del senso della cura, dell'attesa, della tenacia, dell'impegno, della speranza. E oggi qui si parte da una vecchia casa di legno abbandonata che, sebbene formalmente sia un contenitore senza funzione, diventa agli occhi di quei bambini che la esplorano uno scrigno pieno di cose preziose che hanno il merito di suscitare curiosità, immaginazione e riflessioni su cosa faccia di un edificio una casa. Domanda imprescindibile per l'umanità intera, comparabile all'interrogativo: che cosa fa di un corpo umano una persona?
Per mettere nelle mani di chi legga questo libro un temone del genere senza dare la sensazione si tratti di un macigno insormontabile, la poetessa Julie Fogliano fa la poetessa e costruisce, alleggerendo, stemperando, mischiando. E si prende il suo tempo.
E con lei, Lane Smith. Entrambi riempiono di aria 'la casa che (era) un tempo' e danno corpo e concretezza visiva all'immaginario. E lo fanno in perfetta armonia e accordo di toni. Lane Smith smaterializza ciò che nella storia è concreto e dà spessore e colore a ciò che è solo immaginazione. 



Le due tecniche affiancate sono lì a dimostrarlo.
Tutto questo conferisce una bella profondità di ragionamento.
Fogliano con una sequenza di oggetti e domande che prendono mille direzioni diverse, e con un finale che, oltre a rendere un omaggio alla cena calda per antonomasia preparata per Max nel 1963 da Sendak, conferma questo scenario come il più condivisibile, nell'immaginario collettivo, per rendere l'idea di Home, Zuhause, a casa.


Lane Smith, da un lato, costruisce con frammenti (che arrivano anche dalla sua infanzia?) un collage di elementi diversi e dall'altro colora con la sua tecnica specialissima in cui mischia e stratifica l'acrilico o il gesso al colore a olio. La precisione è affidata al pennino. E nella composizione finale tutto viene rielaborato al computer.
Il risultato è il medesimo: rarefazione, trasparenza, profondità di ciò che è vero e corposità di ciò che è solo immaginato. Tutto, attraverso un processo lento e accurato e talvolta imprevedibile.

Carla


venerdì 2 agosto 2019

FUORI DAL GUSCIO ( libri giovani che cresceranno)


RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE


Notevole da diversi punti di vista, l’albo di Orecchio Acerbo dedicato a Joseph Cornell, ‘La collezione di Joey’. Gli autori, Candace Fleming per i testo e Gerard Du Bois per le illustrazioni, raccontano l’artista americano prima da bambino, poi tredicenne, al momento della sua prima esposizione ‘non ufficiale’.
Joey è un bambino curioso, con la passione sfrenata per il collezionismo, ma non quello che insegue sempre la stessa tipologia di oggetti; quella di Joey è una passione indifferenziata, ma tutta in chiave estetica. Il suo motto, ‘Se mi piace, lo tengo’, è in sé una filosofia: non ci sono oggetti inutili, perché rotti, incompleti o inutilizzabili per l’uso per il quale sono stati concepiti; qualsiasi oggetto può avere un’altra vita, non nel senso del riciclo, ma in quello squisitamente estetico dell’assemblaggio. 


E dunque la collezione di Joey cresce ogni anno, tanto da dover essere trasferita dalla casa al fienile; qui il ragazzino, dopo la morte del padre, allestisce la sua prima mostra per la famiglia, in cui gli oggetti vengono assemblati nei modi più disparati, creando una straordinaria ‘Wunderkammer’.
Di questa passione per il collezionismo, che continuerà anche da adulto, Cornell riesce a creare una forma d’arte originale, non ascrivibile realmente a nessun movimento artistico, anche se viene associato spesso ai Surrealisti. Nella sua maturità, l’espressione più frequente è quella delle shadow boxes, scatole in legno, con un lato in vetro, in cui gli oggetti venivano composti, accompagnati da frasi o da interventi pittorici.
Già in questo c’è un incredibile salto: un oggetto non è solo ciò che è per il suo uso comune, esiste per la sua forma, magari alterata dall’uso. Ogni oggetto può essere in sé estetico, ma a renderlo tale è lo sguardo dell’osservatore, che vede un lato nascosto, un lato implicito. E l’accostamento di un oggetto all’altro, la collocazione in uno spazio diventa il gesto artistico per eccellenza, il gesto creatore di qualcosa che prima non era visibile e che si manifesta per mano dell’artista.
Questa modalità così essenziale è vicina al gioco libero dei bambini, che trasformano una cosa in un’altra, animano gli oggetti inanimati. E questo è il secondo punto d’interesse che troviamo nell’albo: l’esplicitazione di una profonda affinità fra una modalità artistica e il mondo ludico dell’infanzia. Cornell stesso fece un’esposizione in cui alcune opere erano poste all’altezza di bambino, proprio perché nell’infanzia l’immaginazione non è assoggettata alla verosimiglianza.


L’albo, dunque, racconta proprio il passaggio dalla raccolta inconsapevole, ‘se mi piace, lo tengo’, all’idea più strutturata di connessioni inconsuete che l’artista crea, contando sull’immaginazione di chi guarda e che vedrà, in questo o quella raccolta, qualcosa di ‘esotico’, ‘celeste’, ‘magico’.
Nella complicità di sguardi, fra creatore e pubblico, si fonda questa curiosa cosmogonia.
Il testo, dell’autrice americana Candace Fleming, è conciso e semplice quanto basta per essere comprensibile a bambine e bambini al di sopra dei sei anni; ed è gestito con grande cura da un’impaginazione che segue il ritmo del discorso. Le immagini del franco-canadese Gerard Du Bois  sono evocative e minuziose quanto il soggetto richiede: in evidenza gli oggetti simbolo di questo artista, il carretto, la cassaforte, il sasso con il biglietto.


Lettura preziosa per bambine e bambini, con adulti al seguito, dotati di immaginazione.

Eleonora

“La collezione di Joey”, Fleming C., Du Bois G., Orecchio Acerbo 2019