RITRATTO DELL’ARTISTA DA GIOVANE
Notevole da diversi punti di vista,
l’albo di Orecchio Acerbo dedicato a Joseph Cornell, ‘La
collezione di Joey’. Gli autori, Candace Fleming per i testo e
Gerard Du Bois per le illustrazioni, raccontano l’artista americano
prima da bambino, poi tredicenne, al momento della sua prima
esposizione ‘non ufficiale’.
Joey è un bambino curioso, con la
passione sfrenata per il collezionismo, ma non quello che insegue
sempre la stessa tipologia di oggetti; quella di Joey è una passione
indifferenziata, ma tutta in chiave estetica. Il suo motto, ‘Se mi
piace, lo tengo’, è in sé una filosofia: non ci sono oggetti
inutili, perché rotti, incompleti o inutilizzabili per l’uso per
il quale sono stati concepiti; qualsiasi oggetto può avere un’altra
vita, non nel senso del riciclo, ma in quello squisitamente estetico
dell’assemblaggio.
E dunque la collezione di Joey cresce
ogni anno, tanto da dover essere trasferita dalla casa al fienile;
qui il ragazzino, dopo la morte del padre, allestisce la sua prima
mostra per la famiglia, in cui gli oggetti vengono assemblati nei
modi più disparati, creando una straordinaria ‘Wunderkammer’.
Di questa passione per il
collezionismo, che continuerà anche da adulto, Cornell riesce a
creare una forma d’arte originale, non ascrivibile realmente a
nessun movimento artistico, anche se viene associato spesso ai Surrealisti. Nella sua maturità, l’espressione più frequente è
quella delle shadow boxes, scatole in legno, con un lato in vetro, in
cui gli oggetti venivano composti, accompagnati da frasi o da
interventi pittorici.
Già in questo c’è un incredibile
salto: un oggetto non è solo ciò che è per il suo uso comune,
esiste per la sua forma, magari alterata dall’uso. Ogni oggetto può
essere in sé estetico, ma a renderlo tale è lo sguardo
dell’osservatore, che vede un lato nascosto, un lato implicito. E
l’accostamento di un oggetto all’altro, la collocazione in uno
spazio diventa il gesto artistico per eccellenza, il gesto creatore
di qualcosa che prima non era visibile e che si manifesta per mano
dell’artista.
Questa modalità così essenziale è
vicina al gioco libero dei bambini, che trasformano una cosa in
un’altra, animano gli oggetti inanimati. E questo è il secondo
punto d’interesse che troviamo nell’albo: l’esplicitazione di
una profonda affinità fra una modalità artistica e il mondo ludico
dell’infanzia. Cornell stesso fece un’esposizione in cui alcune
opere erano poste all’altezza di bambino, proprio perché
nell’infanzia l’immaginazione non è assoggettata alla
verosimiglianza.
L’albo, dunque, racconta proprio il
passaggio dalla raccolta inconsapevole, ‘se mi piace, lo tengo’,
all’idea più strutturata di connessioni inconsuete che l’artista
crea, contando sull’immaginazione di chi guarda e che vedrà, in
questo o quella raccolta, qualcosa di ‘esotico’, ‘celeste’,
‘magico’.
Nella complicità di sguardi, fra
creatore e pubblico, si fonda questa curiosa cosmogonia.
Il testo, dell’autrice americana
Candace Fleming, è conciso e semplice quanto basta per essere
comprensibile a bambine e bambini al di sopra dei sei anni; ed è
gestito con grande cura da un’impaginazione che segue il ritmo del
discorso. Le immagini del franco-canadese Gerard Du Bois
sono evocative e minuziose quanto il soggetto richiede: in evidenza
gli oggetti simbolo di questo artista, il carretto, la cassaforte, il
sasso con il biglietto.
Lettura preziosa per bambine e bambini,
con adulti al seguito, dotati di immaginazione.
Eleonora
“La collezione di Joey”, Fleming
C., Du Bois G., Orecchio Acerbo 2019
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