lunedì 30 agosto 2021

OLTRE IL CONFINE (libri esteri)

"DI DOMAN NON C'È CERTEZZA" (parte 1)
 
The Rock from the Sky, Jon Klassen
Candlewick Press, 2021


ILLUSTRATI
 
"1. The Rock
I like standing in this spot. It is my favorite spot to stand.
I don't ever want to stand anywhere else.
...
Hello.
Hello. What are you doing?
I'm standing in my favourite spot. Come. Stand in it with me.
OK.
What do you think of my spot?
Actually I have a bad feeling about it.
A bad feeling?
Yes."
 
Esterno. Landa piatta e deserta o quasi. Una tartaruga con il cappello è in piedi davanti a un fiorellino: quello è il suo posto preferito dove stare. Arriva un altro animale, una talpa o un armadillo?, che decide di passare del tempo con lei in quel medesimo punto. Ma mentre la tartaruga lo trova molto gradevole, al contrario la talpa/armadillo si sente a disagio... 
 

Come se ci fosse qualcosa di incombente e imminente sopra di loro. Ed effettivamente c'è. La talpa/armadillo si sposta più in là, vicino a uno stelo di tre foglie per sentirsi meglio. La tartaruga gli chiede se lì si sente più a suo agio, ma per la distanza la talpa/armadillo non sente bene ciò che la tartaruga le ha chiesto, quindi torna vicino a lei, al fiorellino, rispondendo che lì accanto a lei si sente ancora peggio di prima e le consiglia di seguirla all'altro punto, quello con le tre foglie. La tartaruga rimane al suo posto, mentre la talpa/armadillo tornata al suo, vede arrivare un serpente. Lo invita a stare un po' lì. A quel punto la tartaruga apostrofa entrambi a gran voce, sostenendo che il suo posto è più bello del loro, ma - come già prima - la distanza si mangia le sue parole, così lei si avvicina per farsi capire. E nell'esatto istante in cui arriva al punto preferito della talpa/armadillo e del serpente e pronuncia la frase che non erano riusciti a sentire - il mio è più bello del vostro - sul fiorellino, ovvero nel punto preferito della tartaruga, atterra dallo spazio la grande roccia, conficcandosi nel terreno.


Così finisce il racconto 1 di questo libro di quasi 100 pagine che ne contiene altri 4: The Fall, la caduta; The Future, il futuro; The Sunset, il tramonto; No More Room, Non c'è più spazio.
Gli interpreti parlanti non cambiano, mentre lo scenario muta, seppure solo in sogno, con il passare del tempo.
Conosciamo così una tartaruga depressa, lievemente bugiarda, fifona, un bel po' sorda, caparbia, invidiosa e anche un po' gelosa. Conosciamo una talpa (o armadillo) sensitiva, accogliente, lievemente romantica e visionaria e molto centrata. E un serpente silenzioso, come solo i serpenti sanno essere. Il fatto che il serpente sia muto, così lo spiega Klassen, dipende dal fatto che lui ha molta paura dei serpenti e quindi preferisce non dar loro il diritto di parola.
 

Nei successivi racconti, come sempre accade nei libri di Jon Klassen, ci sono intere visioni del mondo che li attraversano. Ci sono le fragilità e le insicurezze di alcuni, di quella tartaruga che ruzzola giù dal sassone e se ne vergogna, di quella tartaruga che si terrorizza anche solo sognando, cui si contrappongono le stabilità e le sicurezze di altri, di quella talpa/armadillo che ama godersi la fine dei tramonti, con tutto quello che possono significare... di quella talpa/armadillo che sa schiacciare serenamente un pisolino in compagnia... 
 


E -immancabili- ci sono i cappelli e le bugie. In tal senso si potrebbe pensare che quella tartaruga con il cappello sia una vecchia conoscenza, per averla vista mentire a un amico per arrivare all'unico cappello in palio.
La presenza dei cappelli, è lo stesso Klassen a raccontarlo, è un suo modo per dire che quegli animali stanno indossando i loro abiti di scena: stanno recitando la loro parte (se così è, il riferimento al Beckett di Aspettando Godot, assume ancora più senso). Non a caso, l'unico a non avere il cappello è l'alieno, perché è l'unica presenza che non deve far sorridere o indurre tenerezza. Lui che irrompe nella storia-messa in scena-sogno per scombussolare, per fare paura. Quindi meno caratterizzazioni ha, meglio è  per l'economia della storia.
 


Ma a parte questo ci sono dei legami forti con il suo ultimo libro: Toh! Un cappello! dove già era comparso un tramonto che non si era limitato a fare da sfondo, ma era diventato espressione di una sequenza di stati d'animo.
Con quel libro, The Rock from the Sky e in particolare con il racconto The Sunset, condivide un'atmosfera, ma anche una profondità di senso che nei primi due libri, seppur geniali, non si era ancora vista. Lì come qui tutto si muove intorno alle sfumature emotive che hanno un preciso riscontro anche a livello iconografico. Ma su questo sarà meglio tornarci in seguito.
E forse con esso condivide anche l'interpolazione tra sogno e realtà che, per esempio, è la spina dorsale del racconto The Future.
Questione ironia. Il libro, se ne dirà dopo, fa molto pensare, ma fa anche molto ridere, come è stato in tutti i libri siglati Klassen.
Sebbene non si possa facilmente valutare se The Sunset sia il racconto che fa più ridere i lettori più piccoli, di certo è quello che - per la sottigliezza dell'ironia - mette un sorriso sulla faccia degli adulti, Klassen in testa. 
 

 
Lasciatemi dire che il finale che si tronca con un sospiro inevitabile è un piccolo capolavoro.
Potrei affermare con una certa sicurezza che le risate dei bambini arrivino invece là dove è la comicità a irrompere: a ogni caduta - The Rock e No more Room dove è una pietra a precipitare e The Fall, dove è una tartaruga a ruzzolare. Naturalmente anche il via vai dell'alieno sarà per loro irresistibile.
Attenzione però, come sempre accade nei libri di Klassen, dopo le risate, arriva il pensiero. E qui accade, se possibile, ancora più che in precedenza. [continua]




venerdì 27 agosto 2021

FAMMI UNA DOMANDA!

ALLA RICERCA DI ATLANTIDE


Un primo libro, scritto insieme al figlio Carlo, dedicato alla ricerca di Altlantide, ovvero della città perfetta, Renzo Piano lo aveva già scritto nel 2018 col titolo ‘Atlantide. Viaggio alla ricerca della bellezza’, pubblicato da Feltrinelli.
Quest’anno ne è uscita una versione, scritta sempre in collaborazione con il figlio Carlo, pensata per il pubblico giovanile, con lo stesso editore: ‘Alla ricerca di Atlantide. Viaggio nell’architettura per ragazzi sognatori’.
Il filo narrativo è dato da un lunghissimo viaggio per mare, insieme alla nipote Elsa, a bordo del battello oceanografico Ammiraglio Bagnaghi, alla ricerca delle opere realizzate dal nostro Architetto, salpando da Genova, dove non solo il porto ha visto l’intervento di Renzo Piano, ma anche il nuovo ponte, che sostituisce il Ponte Morandi. 
 

La sezione del nuovo ponte, Ponte Genova San Giorgio, rimanda alla struttura di un vascello, una grande suggestione estetica e simbolica. Il viaggio tocca le città in cui Renzo Piano, chiamato qua e là l’Esploratore o il Geometra, ha lavorato, spesso in collaborazione con altri importanti architetti. Il lavoro collettivo, in cui si devono incontrare l’esperienza dei più anziani con la vitalità dei più giovani, è una delle chiavi dell’approccio di Piano al lavoro di progettazione, così come gli piace più volte sottolineare quanto ricca e importante sia l’esperienza delle maestranze, di tutti i continenti, via via coinvolte nei diversi progetti: talvolta alpinisti, altre volte palombari, sono moltissime le professionalità che vengono coinvolte nella costruzione di edifici nelle più diverse condizioni ambientali.
Questo viaggio fra alcune fra le più importanti realizzazioni del ‘Geometra’ ha il senso di raccontare cosa è davvero l’architettura, quali principi segue e quali finalità.
Non posso riportare tutte le tappe, ma per dare un’idea della densità degli argomenti riporto alcuni esempi: l’aeroporto di Osaka, costruito su un’isola artificiale, fondato sui principi della leggerezza e flessibilità, considerando il territorio così soggetto ai terremoti; il centro culturale di Nouméa, nella Nuova Caledonia: per avvicinarsi alla cultura della popolazione locale, i Kanak, Renzo Piano ha costruito una serie di edifici, una sorta di villaggio, la cui forma richiama le abitazioni dei locali, con una serie di pali in un legno locale, che consente ai forti venti di passare senza distruggere; e il vento passando fra gli elementi della struttura in legno, li fa ‘cantare’.
 
 
A New York ci sono diversi edifici costruiti dal team di Piano: la torre del New York Times, la Morgan Library, una delle più importanti biblioteche del mondo, costruita anche in profondità, il Whitney Museum e la Columbia University, costruita a West Harlem, una vera sfida inserire la nuova sede di una delle più prestigiose università americane nel cuore del quartiere ‘nero’ di New York.
Di alto valore simbolico, la ricostruzione di Potsdamer Platz dopo la caduta del muro di Berlino.
Ma, forse, la costruzione più simbolica è l’Ospedale Pediatrico costruito per Emergency in Uganda, edificato con mattoni di terra cruda, secondo la tradizione locale, ma con modernissimi pannelli fotovoltaici.
Questo è un esempio di quel καλὸς καὶ ἀγαθός che rappresenta la filosofia sottesa all’opera di Renzo Piano: un bello che è buono, l’estetica unita all’etica. Il ‘bello’ che non è negato agli ultimi, alle periferie, ai paesi molto meno ricchi del nostro.
 

Sono molte le riflessioni sul lavoro dell’architetto, del costruttore, contenute in questo libro ampiamente illustrato da Tommaso Vidus Rosin: il rapporto con il territorio, la scelta dei materiali, le soluzioni ardite anche quando sembrano irrealizzabili, la ricerca costante di armonia e misura, le cui idee erano così presenti nella cultura greca classica.
Sicuramente, proprio per le molte implicazioni concettuali, non è una lettura facilissima, ma può essere uno spunto interessante, stimolante per ragazzi e ragazze curiosi e attratti in particolare dalle tematiche della bellezza, dell’ambiente, delle città, magari in chiave ecologica. Parliamo quindi di ragazzi e ragazze dai dodici anni in su, possibilmente affiancati da genitori e insegnanti illuminati.
 
Eleonora


“Alla ricerca di Atlantide. Viaggio nell’architettura per ragazzi sognatori”, Carlo e Renzo Piano, Feltrinelli 2021



mercoledì 25 agosto 2021

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

OZZIPLOZZI 
 

 
I libri di Otfried Preußler, noto autore tedesco, scomparso nel 2013, sono stati più volte proposti al giovane pubblico italiano da editori quali Salani e Nord-Sud. 
Questa volta a riproporre un suo testo ci pensa Giunti: ‘Il brigante Ozziplozzi’ è tornato da poco negli scaffali delle librerie. Tradotto da Rizzoli nel 1994, col titolo ‘Il brigante Pennastorta’, ritorna ora con la traduzione di Marco Astolfi. 
Destinato a lettori e lettrici dai sei agli otto anni, ha una trama semplice, lineare, decisamente fiabesca, ma con un’inclinazione comica molto forte. I protagonisti sono due ragazzini molto amici, Gaspare e Sebastiano, contraddistinti dai rispettivi buffi cappelli; un giorno decidono di regalare alla nonna di Gaspare un macinino per il caffè che è anche un carillon musicale. La nonna ne è felicissima ed è pronta a contraccambiare il delicato pensiero con una torta di prugne con panna montata. Ma il brutale brigante Ozziplozzi, di passaggio da quelle parti, decide di appropriarsi del prezioso manufatto. 
I due amici, a quel punto, si armano di coraggio e decidono di andare a recuperare il macinino e così attirano il brigante con un tranello, per poi seguirlo nel suo rifugio, scambiandosi fra loro i cappelli strada facendo. Il brigante, però, scopre l’inganno e si prepara ad intrappolare i due ragazzi. Gaspare viene venduto al perfido mago Petrosilio Stremolacchio per diventarne il fedele, e stupido, servitore; mentre Sebastiano lustra gli stivali del brigante. 


In una notte buia e tempestosa in cui il mago è lontano dal castello, Gaspare esplorando le putride cantine si imbatte in una fata prigioniera del mago. Lei, trasformata in raganella, prega il ragazzino di trovarle dell’Erbafata, che può consentirle di ritrovare il suo aspetto. Il ragazzino si inoltra nella notte oscura per adempiere con successo al suo compito. Per ringraziarlo dell’aiuto, la fata gli regala un anello magico, che realizzerà i proverbiali tre desideri.
In uno scoppiettante finale, si invertono le parti, i cattivi sono sconfitti e i due ragazzi possono fare ritorno a casa, con un brigante trasformato in tordo, ben chiuso dentro una gabbietta. 
La trama, con i suoi puntuali colpi di scena, è prevedibile agli occhi di un lettore o di una lettrice smaliziati, ma per un lettore alle prime armi è una storia piena di sorprese, che gioca moltissimo sugli scambi di persona, i ribaltamenti di ruolo, gli equivoci e i giochi linguistici, con le storpiature comiche delle parole e le onomatopee. Si capisce da questo quanto questo testo sia perfetto per la lettura ad alta voce, con tutti gli inviti al gioco che il testo contiene. 
 

La comicità che tende al grottesco viene sottolineata dai disegni di F.J. Tripp, colorati da Mathias Weber. 
Lettura leggerissima, spumeggiante, per bambine e bambini a partire dai sei anni. 
 
Eleonora 
 
“Il brigante Ozziplozzi’, O. Preußler, Giunti 2021

lunedì 23 agosto 2021

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

NON TUTTO QUADRA 



Ho conosciuto lo scrittore Stefano Tofani soprattutto dal primo romanzo dedicato a lettori e lettrici giovani: ‘Sette abbracci e tieni il resto’, pubblicato da Rizzoli, è uscito nel 2019 e ora è riproposto nella bella collana dei Bur verdi. In questo romanzo compare per la prima volta Ernesto, ragazzino di dodici anni, con occhiali dalle lenti spesse, non a caso è soprannominato Quattrocchi, e con un’andatura un po’ sbilenca, in seguito ad un incidente in cui ha perso la vita l’amatissima nonna. Il quadro della vita familiare di Ernesto si completa con i genitori separati e molto distanti, che consentono al nostro giovane protagonista di muoversi nel paesino in cui vive in completa autonomia. Il suo amico più caro è Lucio, un ragazzino costretto sulla sedia a rotelle, ma il centro dell’interesse di Ernesto è la compagna di scuola Martina, di cui è perdutamente innamorato. Il centro narrativo del romanzo è dato dalla sparizione della ragazzina, cui seguono le maldestre indagini del protagonista, che, alla fine, riesce a sbrogliare comunque la matassa e a ritrovare l’amica. I punti di forza di questo romanzo non sono pochi: ha un linguaggio di grande freschezza, che riproduce con efficacia un lessico da ragazzini, pieno di modi di dire (superiore!), di dialoghi immaginari con la nonna defunta; c’è poi una descrizione dei personaggi, veri comprimari del nostro Ernesto, che racconta un gruppetto di ragazzini con le più classiche dinamiche fra i bulletti e gli ‘sfigati’, le belle e le imbranate, il ragazzino in carrozzina e il giovane immigrato, tutto incorniciato nella vita semplice di un paesino vicino al mare. Il mondo degli adulti è palesemente distante: ne escono malissimo i genitori, più che distratti, le persone che incarnano le autorità costituite; ma ci sono le dovute eccezioni: il pescatore Fefè e, sopra tutti, la nonna. Il rapporto con la nonna era strettissimo, condito da prelibatezze culinarie e proverbi; la nonna si faceva pagare in abbracci e da qui il titolo del libro: un giorno in cui Ernesto le ha dato più abbracci di quelli richiesti, le dice affettuosamente di tenere il resto. 



Quest’anno è uscito un altro romanzo di Tofani, che vede il ritorno del nostro Ernesto: ‘Nuvole zero, felicità ventitré’. L’azione si svolge circa un anno prima, durante l’ultimo anno delle elementari: c’è ancora la amatissima nonna, i genitori si stanno malamente separando, arriva in paese una nuova ragazzina. Il compagno di avventure questa volta è il Cardella, ragazzino imbranato e sovrappeso, spesso spalleggiato dalla Maura, a sua volta logorroica. Il cuore del racconto vede il ritrovamento di una valigia con due statuette, una chiave e un libretto di incantesimi. Le due statuette rimandano ad una storia d’amore vecchia di tre secoli, che con l’aiuto di una strega e di un gabbiano, trova compimento grazie ad Ernesto. Alla dama infelice appartiene anche il cianometro con cui ogni giorno Ernesto misura l’azzurro del cielo su 53 gradazioni, ma insieme ad esso anche la sua felicità o la tristezza. Qui emergono alcune difficoltà del romanzo, che gioca con due registri ben diversi: il realismo della vita quotidiana di Ernesto, compreso il dolore per la separazione dei genitori, e il racconto fantastico della vicenda dei due amanti; nel non voler risolvere il rapporto fra i due registri si misura la distanza da altri romanzi che questo intreccio utilizzano, da ‘Il grande gioco’ di Almond al ‘Piccolo Regno’ di Wu Ming, uno dei migliori romanzi dedicati all’estate fatale che segna il diventare grandi. Ardua la scelta di dedicare il secondo romanzo per trattare un antefatto, che però gira su registri diversi, non sempre coerenti con il precedente romanzo. Decisamente realistico in alcuni passaggi, in particolare quando descrive la crisi coniugale dei genitori, più infantile negli incantamenti messi in pratica da Ernesto e la sua combriccola. Il personaggio della madre è sfasato rispetto a quello prospettato nel romanzo precedente, che ce l’aveva mostrata come un’adulta del tutto disinteressata ed ignara delle vicende del figlio. In tutto questo, il personaggio di Ernesto continua ad essere il punto di forza, con la sua sincerità, le paure, i desideri irrealizzabili. Così come è originale l’uso del cianometro, offerto in dotazione ai lettori in ogni copia del libro, come unità di misura non solo della bellezza del cielo ma anche degli stati d’animo del protagonista. Letture estive, piene di ironia e di avventura, indicate per ragazzi e ragazze dagli undici anni in poi. 

Eleonora 

“Nuvole zero, felicità ventitré”, S. Tofani, Rizzoli 2021 “Sette abbracci e tieni il resto”, S. Tofani Rizzoli 2019, Bur Ragazzi 2021 


mercoledì 11 agosto 2021

ECCEZION FATTA!

 BLOG IN PAUSA


Shaun Tan, da Piccole storie di periferia


di nuovo in marcia 
dal 23 agosto
 
 

lunedì 9 agosto 2021

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

'IN SOLITARIO'
 
Piccolo in città, Sydney Smith
Orecchio acerbo 2021

ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"Io so che vuol dire essere piccoli in città.
La gente non ti vede e i rumori forti possono spaventarti.
E sapere cosa fare a volte è difficile.
I taxi suonano il clacson. Le sirene vanno e vengono in ogni direzione.
I cantieri battono e trivellano e urlano e scavano.
Le strade sono sempre trafficate..."
 
Ma chi sta dicendo tutto questo? E a chi si rivolge?
 
 
Sta cominciando a nevicare, un bambino, seduto su un autobus che attraversa una grande città, scende e comincia a camminare. Il suo riflesso appare sui vetri dei grattacieli. Ha un piccolo zainetto sulle spalle e un berretto calato sugli occhi. Il suo percorso sembra conoscerlo. Passa davanti a vicoli deserti, dietro un cancello ci sono grandi cani che abbaiano. Si arrampica su un albero e la neve diventa sempre più fitta. Si ferma davanti a uno sfiatatoio dell'aria calda, passa davanti a un pescivendolo, davanti ai giardinetti e sul fianco della chiesa... Il suo cammino prosegue verso un punto preciso.
Mentre lo vediamo muoversi con una certa sicurezza per la città, la voce non smette mai di dare consigli e di infondere coraggio...


Di questo libro non va raccontato di più. Porta in sé un segreto che sarebbe una crudeltà svelare a chi lo voglia leggere per la prima volta.
Piccolo in città è il primo albo di un autore che fino ad adesso ha 'solo' illustrato libri di altri. Per dodici anni, e per circa dodici libri Sydney Smith ha ragionato su come si concepisce un buon albo illustrato. In questo tempo, oltre ad aver imparato molti meccanismi e aver imparato a potenziarli al massimo, ha collezionato premi su premi. Ma, dopo dodici anni, evidentemente ha pensato che fosse arrivato il momento di mettersi alla prova. Su tre grandi questioni interconnesse che regolano la costruzione di un albo illustrato di qualità: il contrappunto, il montaggio e l'ambiguità.
Ma prima di qualsiasi ragionamento, forse può valere la pena raccontare un po' la genesi di questa storia.
Al principio, è lo stesso Smith a raccontarlo in un'intervista, il nocciolo della questione doveva ruotare intorno alla difficoltà di un bambino che scava nella neve una sorta di labirinto in cui si perde. In questo modo tutto avrebbe ruotato intorno all'emotività del protagonista. In tal modo la storia non aveva un plot degno di questo nome e sarebbe stato un libro di sola atmosfera.
Poco convincente sia per Smith, sia per Neal Porter, suo futuro editore, che con ironia gli suggerisce quello che spesso nei libri risolve impasse del genere: aggiungere un cane. Questo suggerimento non convince Smith, ma ha il merito di continuare a ronzargli in testa. A questo si deve aggiungere un altro episodio, un misunderstanding di un testo musicale, sentito durante un suo viaggio in macchina, in cui una voce, tra lo struggente e il protettivo, dice più o meno "perché non posso vederti di nuovo?"
Ed ecco che scatta la scintilla tra i due poli e nasce la storia di Piccolo in città

 
Il bambino diventa coprotagonista e la neve si mette sullo sfondo dell'intera vicenda, pur non perdendo il suo ruolo di elemento drammaturgico fondamentale e imprescindibile per il finale.
A questo punto, con la storia in testa, Smith sa di dover lavorare con i tre fondamentali: contrappunto, montaggio e ambiguità.
Sa anche che la città, quasi come la neve, è elemento di drammaturgia importantissimo. Come la bufera di neve, la grande metropoli crea la necessaria tensione emotiva.
 

Il contrappunto, ovvero quel preciso rapporto dialogico tra testo e immagine costruito sulla distanza più che sull'assonanza, è evidente fin dal principio. Quello che vediamo e quello che sentiamo sembrano in apparenza armonici, mentre invece - proprio giocando sull'ambiguità costruita su un raffinatissimo montaggio di immagini - a lungo andare si separano, creando uno iato, che è il 'segreto' cui si alludeva prima. Un dettaglio fondamentale, a una prima lettura, tende a sfuggire, perché Smith, come ogni bravo regista, guida il nostro sguardo altrove, dove vuole lui.
 

Il grande lavoro di ricerca lui lo ha fatto nel rendere la città con molta onestà: servendosi spesso di vecchie foto che suo padre aveva scattato quando lui era piccolo e scattandone di nuove lui stesso, con quella stessa macchina fotografica paterna. La risultante è una città molto vera, con i suoi angoli trascurati, e con una serie di luoghi che il piccolo protagonista riconosce come familiari. D'altronde ogni bambino ha in testa una mappa del proprio quartiere, con qualche negozio, un giardinetto, un vicolo laterale, una chiesa, ed è proprio quella cui vuole alludere Smith.
Impossibile non notare soprattutto la luce, il tipo di disegno, il taglio di alcune immagini e il ritmo dato dalle tavole di diverso formato.
Uno dei talenti che Sydney Smith dimostra di avere è la sensibilità per la luce e la sua resa attraverso il colore. In questo senso, al principio vediamo le superfici a specchio dei grattacieli che moltiplicano lo splendore della luce, poi il nitore di una giornata di pieno sole si va attenuando via via con l'arrivo della neve che lentamente va ottundendo, nei toni del grigio, tutte le superfici. 
 

Piano piano la neve si mangia i colori e quei pochi che restano visibili, si attenuano, fino ad arrivare a essere solo puntini rossi di fari o fiorellini di una siepe.
Il tipo di disegno, almeno in principio, dato dall'intreccio di linee nere che si spezzano e si intersecano ha un preciso scopo di creare tensione emotiva. Come pure la sequenza del bambino nell'autobus raccontato con una silhouette nera è una pura citazione cinematografica, in quella città sfocata al di là del vetro, ma ha lo scopo di far intuire già molto del protagonista. La tavola intera anticipa quella successiva che, per contrappunto, si compone di una sequenza di 7+7, proprio con la funzione di creare spaesamento e disagio nel lettore e nel protagonista. 
 

I molti silenzi del testo, i gap di cui si parlava a proposito dei libri di Wiesner, hanno il fine di chiamare dentro i propri lettori e le proprie lettrici. E inesorabilmente questo si verifica. L'ambiguità latente diventa ipnotica e fa perdere l'orientamento al lettore, per poi ricompensarlo alla fine, aspettandolo, in uno con il protagonista, in un abbraccio sul finale.
 

Ecco: un autore che al suo primo libro 'in solitario' riesce a creare tutto questo, a portare i propri lettori esattamente nel punto che lui si è prefissato (la sua unica incognita è quella di non poter sapere quando il lettore svelerà il segreto), coinvolgendoli emotivamente fino alla pelle d'oca, merita un premio.
Premio che infatti è arrivato, anche questa volta.
 
Carla

 

venerdì 6 agosto 2021

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

LA VOLONTARIA SOSPENSIONE DELL'INCREDULITÀ

I tre porcellini, David Wiesner
Orecchio acerbo 2021


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni)


"C’erano una volta tre porcellini che se ne andarono per il mondo a cercar fortuna. Il primo decise di metter su casa e si costruì una capanna di paglia.
Arrivò un lupo, che bussò alla porta e disse: 'Porcellino, porcellino, fammi entrare'. E il porcellino rispose: 'Fossi matto! Tu mi vuoi divorare!'
Il lupo allora disse: 'Soffierò e sbufferò, e la casa spazzerò!'"


Tutto inizia come nella fiaba che è familiare a tutti: tre maiali raccolgono materiali diversi e vanno a costruire in giro le loro rispettive case: una di paglia, una di legno e una di mattoni. Arriva il lupo alla casa di paglia e cerca di stanare il porcellino all'interno: soffia e sbuffa ed effettivamente fa saltare il primo maiale fuori dalla casa, ma con la potenza del suo sbuffo lo spinge anche fuori dalla storia. 
 

Ovvero il maiale è lì appeso alla cornice della immagine e di fatto è libero. Questo rappresenta il primo shock, ma già nell'immagine successiva si verifica una seconda anomalia: il testo dice una cosa che gli occhi smentiscono. Secondo shock: il lupo non si è mangiato il porcellino, che invece è in fuga dal lupo, dalla fiaba e dai disegni che la illustrano, in cerca dei suoi fratelli, con i quali condividerà una serie di avventure, anche aeree. Se da un lato la fiaba va avanti come sempre, sebbene su pagine disegnate sempre più spiegazzate, dall’altra i suoi stessi protagonisti attraversano altri libri, altri disegni. Esploreranno mondi, ovvero scenari sempre diversi, portandosi appresso - come accadde nella fiaba dei Musicanti di Brema - sempre nuovi compagni. Insieme costituiscono pagina dopo pagina una banda di amici che condividono il gusto per la scoperta, per la libertà e anche, a fine giornata, per quattro mura e un tetto. Felicemente insieme sani e salvi, davanti a un pasto caldo. E soprattutto sani e salvi fuori dai racconti che li tenevano prigionieri.


Le rivisitazioni delle fiabe classiche non sono una novità. Di solito si lavora su finali che cambiano, su personaggi di storie diverse che si incontrano, oppure si capovolgono i ruoli, ma non si va molto oltre.
Quello che fa Wiesner ne I tre porcellini (in originale è Three pigs a dire il vero) è lontano da ogni tipo di parodia. Lui varca un limite, segnando un punto di non ritorno. Lavora su due registri poco frequentati: da un lato, attraverso diverse forme narrative, dal fumetto al racconto cavalleresco, passando attraverso filastrocche e sillabari, dall'altro lavora sull'immagine e sul concetto di pagina bianca, quale supporto che nasconde un mistero dentro (o forse dovrei dire dietro) di sé. Il risultato è un’opera di somma ingegneria narrativa, piena di ironia, che ha l'obiettivo di generare in chi legge la più pura delle meraviglie e la più sonante delle risate.
 
 
Mi è capitato più volte di pensare che i libri di Wiesner, e questo in modo particolare, siano un perfetto catalogo di tutte le possibilità e potenzialità che un buon autore ha a disposizione nel creare il suo albo illustrato.
Provo ad elencarne alcune. La prima sta nella sospensione dell'incredulità, quella di cui parla Coleridge, sta nella creazione del senso del meraviglioso, al quale ci sottomettiamo con entusiasmo.
Qui si parte da un dato di realtà, per meglio dire di fiaba, e poi la narrazione si mette in un tempo sospeso che dura fino al finale dove si riatterra nella fiaba iniziale con una serie di circostanze modificate. Per tutto il racconto vediamo succedere cose impossibili eppure le accettiamo per vere!
Addirittura i tre porcellini si accorgono del lettore e si rivolgono a lui, parlandogli o guardandolo dritto negli occhi, fin dalla copertina.
La seconda è la creazione del 'taglio' che genera un silenzio temporaneo nel racconto. In qualsiasi tipo di racconto, visivo o scritto, c'è la possibilità di non spiegare tutto per filo e per segno. Anzi, più si creano quelli che in gergo si chiamano gap - lacune, vuoti, buchi - più il lettore, soprattutto se è piccolo, ci si infila dentro per metterci del suo allo scopo di darsi una ragione di quello che vede accadere sul foglio.. Qui, un grande gap attraversa l'intera idea originaria: che cosa è capitato ai personaggi che - per incanto, appunto - si trovano fuori dalla storia e ne creano una seconda del tutto divergente? Ma a ben vedere di gap ce ne sono sparsi ovunque.
A tale proposito è lo stesso Wiesner a parlarne, citando un episodio preciso che ha a che fare con il cinema. "In 2001. Odissea nello spazio c’è forse il taglio più famoso di tutta la storia del cinema, ovvero il lancio dell’osso-arma della scena iniziale. È un taglio che è stato scoperto per caso, e la storia della scoperta mi ha sempre affascinato moltissimo. All’uscita del film mi procurai sia il romanzo da cui era stato tratto – a questo romanzo attribuisco il merito di avermi trasformato in un lettore – sia il saggio sul “dietro le quinte” del film. Venni a scoprire che, un giorno che stavano girando, Kubrick, con la cinepresa in spalla, si mise a lanciare in aria una scopa e a filmare la scopa che saliva e poi scendeva, saliva e scendeva, finché non gli venne l’idea del taglio. Una forma cilindrica lanciata in aria e poi… taglio al satellite. Un’immagine accostata a un’altra: ecco cos’è fare immagini in modo sequenziale, mettere insieme le immagini e vedere come si rapportano l’una all’altra."
La terza possibilità che in questo libro Wiesner sfrutta in modo del tutto originale riguarda la messa in mostra dei meccanismi che governano il linguaggio.
E' di nuovo lui a spiegarlo chiaramente, dicendo che tutto ruota intorno all'idea di un mondo non visto, nascosto sotto, o dietro, la superficie della pagina (o della pellicola). Ci sono diversi strati di cose che l'occhio non vede ma che esistono.
A tale proposito racconta: "Una delle prime volte in cui ho visto dietro la superficie è stata in un film di animazione. Il protagonista della scena era un bambino che correva lungo una strada verso un cinema, correva fino alla fine della pellicola e poi ne usciva fuori. Si vedeva la parentesi, il nulla dietro la pellicola, e poi il bambino che rientrava nel film. Da bambino, ricordo di essermi messo a ridere e di essere rimasto profondamente colpito dal ragazzino che era uscito dall’animazione. Successivamente ho esplorato questa idea per la prima volta in un compito di graphic design all’accademia d’arte. Dovevamo prendere una lettera dell’alfabeto, nera su sfondo bianco, e trasformarla in qualcos’altro. Il mio compito si apriva sulla lettera W, poi la lettera si muoveva, si allungava, usciva dalla pagina, tornava dentro, si frantumava e infine si riassemblava in forma di uccello marino. La chiave di tutto era la pagina bianca. Me la sono immaginata come un portale che si apriva nel libro, potevo mettere la testa dentro e vedere la W muoversi e volare. È un’idea che è rimasta con me e mi sono sempre chiesto se fosse possibile entrare dentro al libro e buttare giù le immagini e vedere cosa ci fosse dietro e dentro, come se esistesse un altro mondo all’interno del libro." In questo libro, la superficie bianca del foglio diventa quindi spazio abitabile, spazio di volo e attraversamento in lungo e in largo; ma è anche contenitore a sua volta di altre pagine 'sorelle' che diventano pannelli illustrativi, che diventano aeroplanini... Geniale.
 
 
La quarta possibilità che sfrutta Wiesner sta nell'uso differenziato di diversissimi registri narrativi. E' di nuovo un film a farci da guida nella sua spiegazione: "Scala al Paradiso di Mike Powell l’ho visto a quattordici, quindici anni. Pensavo che fosse la solita storia d’amore, c’erano David Niven e Kim Hunter… invece l’inizio era molto stilizzato e ne rimasi affascinato. Da una parte c’era la Terra, resa in un technicolor particolarmente intenso, e dall’altra c’era il Paradiso, tutto in uno splendido bianco e nero, con tutta la gamma dei grigi, e il film rende la transizione tra questi due mondi con una grafica spettacolare. Ero affascinato dal modo in cui potevo identificare visivamente i diversi mondi a partire da un diverso materiale e un diverso design. Era possibile, quindi, creare uno stile diverso per ciascuno, amplificando le differenze e passando dall’uno all’altro in modo creativo – che poi è quello che succede anche in questo libro. Attraverso diverse forme narrative, dal fumetto al racconto cavalleresco, passando attraverso filastrocche e sillabari, con grande ironia David Wiesner non smentisce la somma qualità del suo disegno, qui in un vero e proprio catalogo di differenti stili.
 

 

 
Ma se tutto questo forse può essere di interesse per i grandi, va detto che al di là di ogni ragionamento, I tre porcellini resta comunque un'esperienza straordinaria, un esercizio di immaginazione che ogni bambino o bambina dovrebbe fare e rifare e rifare ancora. Fino allo sfinimento.
 

Ecco.


Carla