venerdì 31 agosto 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


TRA CUORE E GOLA
 
Viaggia verso Poesie nelle tasche dei jeans
Chiara Carminati Pia Valentinis
Bompiani 2018


POESIA

"SILENZIO

Corpo a corpo
ho lottato con le parole
le ho pressate piegate distese
schiena a terra
le ho attese
in lentissimi agguati le ho
avvinghiate con furia e confuse
tra loro roventi ma poi
eccole chiuse
tra cuore e gola
niente da dire
c'è da sentire
solo il

."

Si chiude così Viaggia verso: poesie nelle tasche dei jeans.
Che alluda al silenzio che conclude il bellissimo lavoro di una poetessa, che alluda al silenzio di chiunque non sia in grado di dare voce al proprio discorso, che alluda al silenzio, altrettanto bello, che si ha quando le parole sono finite (e il libro si chiude) poco importa. La grandezza della poesia sta in questo: nell'essere capace di accendere i 'fuochi' personali che ognuno cova per sé. Tanto più la poesia è buona tanto più la linea di confine tra l'intenzione e interpretazione può dilatarsi.
Questo è per dire che la poesia è per tutti. È di tutti.


Tuttavia alcuni punti fermi cui Chiara Carminati, come un ragno, àncora la propria tessitura per catturare un lettore ideale sono visibili e condivisibili.
Si può partire dal primo, quei jeans e quelle tasche del titolo. I jeans e le tasche sono metafora di un tempo, di un'età, ma soprattutto di un modo di stare al mondo. Non riguardano l'infanzia, ma piuttosto l'età dell'indipendenza, del distacco, della misura di sé. I primi jeans li indossano creature in crescita che si confrontano con la necessità di provare a stare sulle proprie gambe.
E le tasche rimandano a quelle degli 'anni in tasca'.
La Carminati così si incammina in quella direzione ed esplora il territorio e avvisa i propri lettori: sto parlando di voi, ragazzi e ragazze. Di voi, a voi che la poesia vi hanno insegnato a temerla se non addirittura a odiarla (Perché odio la poesia).
A conferma che i jeans e le tasche, così come le parole 'viaggio' e 'verso' (quest'ultima nella geniale doppia accezione di preposizione e di sostantivo: una 'carminata'!) alludano a una strada da fare e quindi a una meta da raggiungere, si evidenziano altri ancoraggi della sua tela intorno all'adolescenza.
Il primo: la fragilità. È l'insicurezza di sé, di fronte all'altro, di fronte al gruppo: ovvero la sensazione di essere diversi, di non essere capiti, di non essere all'altezza, di non essere visti o ricordati, di essere giudicati (Dov'è il trucco?, Vicky chi?, Ho rotto lo specchio, Compagni, Però piove)

Ciuffo in alto
sguardo in basso
mi nascondo quando posso
mi confondo quando passo...


Il secondo: la potenza. Opposto al precedente, è la fierezza di sé, di fronte all'altro, di fronte al gruppo: ovvero la volontà di essere se stessi, diversi, la certezza di essere all'altezza, di essere apprezzati, visti o ricordati (Buoni propositi, Persona Mancante, Escluso, Bici)

...Ciuffo in basso
sguardo altero
punto il mondo come un faro
pelle azzurra smalto nero

Il terzo: le metamorfosi. È la consapevolezza o la sensazione di incarnare un 'altrove', di essere in mezzo al guado, di aver lasciato indietro qualcosa e di avere davanti qualcos'altro (Cresco non cresco, Sono non sono, Due di tutti, Ci sono giorni)
E in mezzo
in bilico
tra prima e poi
ci siamo noi

Il quarto: la 'rete' di protezione. Quel luogo virtuale di relazioni virtuali qui trova spessore nel tentativo di andare al di là di se stesso per ridare ai rapporti umani corpo, forma e soprattutto anima (Nickname, Nati digitali, Chat sciatt)

E non so dove
cliccare
per dire
'mi dispiace'.


Il quinto: l'amicizia tra farfalle (Souvenir, Happy hours, Tradimento, Amiche di classe). Quell'amicizia effimera, che basta un nulla per sovvertirla e trasformarla in dispetto, antipatia. Un mondo che, con Chiara Carminati definirei, senza dubbio, tutto femminile.

Il sesto: l'amore, in discesa e in salita. Nelle sue molteplici espressioni: quello che crea scompiglio, quello che si impasta con la timidezza, quello che fa affondare, quello che fa litigare, quello che è per sempre, forse (Tu eri dentro, io ero fuori, Falling in love, Litighiamo, Il resto, Serratura rotta)

PRIMO AMORE
Ti
mi
do

Con più di sei punti di attacco si ha già una tela di ragno ben solida e bellissima a vedersi. Ed è proprio di questa bellezza che non si può tacere. Chiara Carminati e Pia Valentinis in bianco e nero (amiche profonde, niente farfalle) incidono sulla pagina con i loro rispettivi codici, condividendo leggerezza di segno, ironia, capacità di tenere vigile l'orecchio e l'occhio con meravigliosi 'duetti' sul senso (o sensi) di immagini e testo.
Tessitura e tela hanno segnato il principio di questa interminabile riflessione che sarebbe bello concludere, per assurdo, con un punto di partenza - nel senso letterale del termine (d'altronde ogni tela di ragno comincia da un punto). Il primo punto che si fa, cucendo, e che segna l'avvio del percorso di un filo. Quale sarà il suo tragitto non è dato sapere in anticipo, ma di certo a questo filo per andare avanti 'fa bene' un nodo fermo da cui iniziare.
Il senso di ciò vale per tutti. È di tutti.


E anche questo cerchio mi pare chiuso.

Carla

NOTERELLA AL MARGINE. Purtroppo non è superfluo ribadire che un libro del genere dovrebbe entrare nelle tasche di tutti quegli adulti che per professione o per passione abbiano a cuore la formazione della persona. Anche la propria.
La poesia si riconferma necessaria.




mercoledì 29 agosto 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


JONAS


Come ho avuto modo di sottolineare, con una qualche prudenza si stanno sviluppando produzioni che, nell’ampio settore della letteratura di genere, esplorano il territorio delle storie di paura.
Lo fa anche Francesco Carofiglio, che qui esordisce come autore per ragazzi, con ‘Jonas e il Mondo Nero’, pubblicato da Piemme con il marchio Battello a vapore, a fugare qualsiasi dubbio sui destinatari del romanzo.
Si tratta di un romanzo densissimo di riferimenti letterari, dai maestri della paura Stephen King e Neil Gaiman, a Carroll, alla Storia infinita di Ende alle suggestioni mostruose di Lovecraft. E questa ‘densità’ è sicuramente un punto di forza, ma nello stesso tempo anche un limite, per i troppi richiami a situazioni già descritte, ovviamente con modalità e stili diversi.
In breve, la trama: Jonas è un ragazzino, un dodicenne qualsiasi, dalla vita qualsiasi: pochi amici, una famiglia un po’ triste e strani presentimenti, che gli permettono di vedere creature oscure che si muovono in mezzo alle persone normali. Jonas è, ovviamente, un prescelto a sua insaputa, è l’unica persona che può impedire che i due mondi paralleli, quello che vivono le persone normali e l’oscuro mondo di sotto, entrino in contatto. Lui può impedire che il mondo dell’oscurità si impadronisca, nel Giorno degli Incroci, del mondo normale e lo travolga. Essendo lui ignaro del proprio ingrato compito, alcune creature dell’Extramondo, una sorta di mondo ‘di mezzo’, si occupano del suo addestramento e della sua protezione.
Abbiamo quindi un mondo al limite del distopico, un mondo freddo e grigio in cui l’oscurità ha cominciato ad insinuarsi; e un anti-eroe, Jonas che non è esattamente un ragazzo di successo: come non pensare a Standish  e al suo mondo sull’orlo della perdizione? La descrizione del personaggio principale è sicuramente una delle parti migliori del romanzo, con le sue piccole manie, la solitudine, la difficoltà a districarsi nel mondo dei sentimenti. Sembra del tutto inadatto a rivestire i panni dell’eroe e invece trova in se stesso la forza per affrontare la ‘prova’.
Il mondo dell’oscurità richiama moltissimo i mondi di Lovecraft, con tanto di porte e di guardiani che impediscono alle oscene mostruosità di invadere il mondo umano. Anche qui il mostruoso si annida appena un po’ più sotto del mondo normale, nelle oscure gallerie che si stendono sotto la città; anche qui l’oscurità si manifesta dove meno te l’aspetti, infiltrandosi in luoghi della vita quotidiana.
Se ricordate anche Guillermo del Toro, con Trollhunters, si era cimentato con questo schema di narrazione, con il mondo di sotto, in questo caso quello dei Troll rapitori di bambini, che si manifesta esattamente dove un bambino penserebbe , cioè sotto il suo letto; qui l’horror, con le descrizioni dei mostri, si mescola con una robusta dose di umorismo, che ovviamente cambia il tono di tutta la narrazione.
Carofiglio non segue certo questa strada, al contrario dipinge atmosfere via via più cupe e inquietanti, aggiungendo rivelazioni che rendono imminente il giorno fatale.
Nella sua densità letteraria, fatta di molte letture ‘di genere’, il romanzo può costituire un apri-porta non verso l’oscurità ma verso le sterminate praterie delle storie di mistero e di paura, con una bella dose di immaginazione.
Lo immagino adatto a lettrici e lettori già abbastanza allenati, a partire dai dodici anni.

Eleonora

“Jonas e il mondo nero”, F. Carofiglio, Piemme 2018


lunedì 27 agosto 2018

FAMMI UNA DOMANDA!

DOMANDE PER PICCOLI


Se ne parla di meno, anche perché la produzione è più occasionale e ripercorre, con poche eccezioni, percorsi già consolidati: è la divulgazione destinata ai bambini di scuola materna, soprattutto a partire dai quattro anni.
Vi segnalo una nuova collana, che mi sembra abbia non pochi meriti, ma anche qualche limite.
L’autore è Martin Jenkins, che si avvale della collaborazione di diversi illustratori, Hannah Tolson e Richard Jones. L’editore originale è la Walker Books, in Italia la traduzione è di Fatatrac, storico editore per bambini, ormai parte integrante del gruppo Giunti. Si tratta, per ora, di due albi che raccontano le stagioni con ‘Un anno con gli scoiattoli. Una storia sul susseguirsi delle quattro stagioni’ e l’altro le trasformazioni della crescita animale e vegetale con ‘La farfalla e il fagiolo. Una storia sulle fasi della crescita’.


Partendo dal primo, decisamente più riuscito, vediamo una piccola storia strutturata intorno alla vita di una coppia di scoiattoli, attraverso il passaggio delle stagioni; interessante è l’impaginazione che, con la dimensione e la collocazione dei diversi testi, evidenzia la storia rispetto alle poche righe di spiegazione. La storia poi, alterna la descrizione della giornata degli scoiattoli con la presenza mobile di un gufo (disegnato, ahimè, anche questa volta come un allocco). La mobilità di quest’altro soggetto costituisce un elemento di sorpresa e di continuità nel passaggio da una fase all’altra.


Nel secondo albo vengono descritti, come dice il titolo, i cicli vitali di un fagiolo e della pianta che ne deriva, e di un uovo di farfalla, con le relative metamorfosi.
Ovviamente le due vicende sono intrecciate, poiché il bruco cresce sulla piantina di fagiolo. Anche qui l’impaginazione distingue la storia e le spiegazioni, che ne sono a margine.
In entrambi i casi c’è una parte finale interattiva e una sorta di indice per argomenti che consente di ‘pescare’ all’interno dell’albo le parti di maggiore interesse. Questa è un’interessante opzione, che consente un uso molteplice del libro stesso.
Un altro pregio è rappresentato dalla cura grafica, con illustrazioni non banali; poi l’aver cercato un modello esplicativo non pedante, capace di assecondare le curiosità del piccolo/a lettore o lettrice, rispondendo sottovoce alle probabili domande. E’ una tipologia di libro che utilizza la narrazione come veicolo della spiegazione, rendendola fruibile anche ai più piccoli.
Che si dedichi maggiore attenzione ai testi divulgativi per questa fascia di età è una gran cosa e non è casuale il fatto che ancora una volta sia l’editoria anglosassone ad aver il maggior numero di proposte.
Il limite, forse l’eccessiva semplificazione: parlare ai bambini delle cose del mondo, ai loro occhi e non solo, così grande e misterioso implica la semplificazione, ma non la banalizzazione; la tentazione, anche da parte di molti adulti, è dare la risposta più facile, anche se poi l’esercizio più promettente è lasciare che crescano le domande, con tutto l’imbarazzo che ne deriva per noi.

Eleonora

“Un anno con gli scoiattoli. Una storia sul susseguirsi delle quattro stagioni”, di M, Jenkins e R. Jones, Fatatrac 2018
“La farfalla e il fagiolo. Una storia sulle fasi della crescita”, di M. Jenkins e H. Tolson, Fatatrac 2018



venerdì 24 agosto 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)


MAMMA ROBOT 


Il romanzo di Peter Brown , ‘Il Robot selvatico. Una storia di amicizia e amore universale’, estensione impropria di un più sobrio ed efficace titolo originale ‘The Wild Robot’, mi era sembrato da subito un testo interessante, se non altro originale, impiantando un robot sopravvissuto ad un naufragio in un’isola abitata solo da animali. In effetti, il testo mantiene tutte le premesse, con qualche aspetto irrisolto.
Vediamo la trama: Rozzum 7134 è una macchina seriale, unica a rimanere integra dopo un naufragio. Viene attivata per caso da alcune lontre marine, animali curiosi per definizione, e la sua natura, o meglio la sua programmazione, la spinge a mantenersi ‘viva’ e a custodirsi. Ed è quello che fa, ripulendosi e cominciando ad esplorare l’isola in cui è capitata. Nel corso di questa esplorazione, incontra numerosi animali, di cui comprende il linguaggio; percepito all’inizio come una strana creatura ostile, riesce a conquistarsi la fiducia di un numero crescente di animali, ma il vero punto di svolta è quando raccoglie un uovo che sta per schiudersi, rimasto solo dopo la morte delle oche che se ne prendevano cura. Qui, con questa strana adozione, Rozzum, detto, Roz, diventa mamma di un anatroccolo petulante, che però gli/le cambierà la vita.


Per poterlo accudire, Roz costruisce con l’aiuto dei castori un rifugio grande e solido, all’interno del quale può accendere un fuoco e intorno, grazie ai suggerimenti di una cerva, fa crescere un rigoglioso giardino, dove magari i vari animali, nel corso della tregua dell’alba, possono venire a chiacchierare tranquillamente.
Beccolustro, l’anatroccolo, intanto cresce ed aumentano le sue capacità: in breve diventa un bel maschio di oca, capace di compiere lunghi viaggi; ed è quello che fa, mettendosi in volo all’inizio dell’autunno, insieme al suo stormo. L’inverno in effetti sarà durissimo e Roz si prodiga ad aiutare gli animali dell’isola, costruendo ripari e insegnando loro ad accendere un fuoco (!). Tanta generosità verrà ripagata nella primavera successiva, quando la ditta costruttrice dei robot invia una squadra di creature meccaniche a recuperare quello che è rimasto sull’isola, Roz compreso/a.
Tutti gli animali si mobilitano in difesa di Roz, mettendo a disposizione le loro armi. Una lunga, durissima lotta porta ad una vittoria parziale dei coraggiosi amici, che vedranno però partire Roz con la promessa di un veloce ritorno, che è oggetto del secondo romanzo dedicato al robot selvatico.
Dunque, qui abbiamo un romanzo d’avventura con una forte impronta favolistica, e non stupisce che la Dreamworks ne abbia acquistato i diritti per farne un film d’animazione, che parla all’immaginazione di bambini e bambine che, in termini di capacità di comprensione, possono affrontare questo testo a partire dai sei anni, attraverso una partecipata lettura ad alta voce. Ci sono alcuni tratti originali: l’immaginare l’autoistruzione del robot abbandonato, che lo porta a familiarizzare con i linguaggi e gli usi e costumi animali, il suo progressivo adattamento ad un ambiente sconosciuto e, almeno all’inizio, ostile. E qui sta l’invenzione più originale, quella appunto del robot selvatico: ‘Quella primavera fu un tempo di grande selvatichezza per il nostro robot’. E’ evidente il richiamo ai grandi testi della fantascienza anni ‘60, da Simack ad Asimov, per finire a Philip Dick. Sullo sfondo di questa storia movimentata c’è il grande interrogativo sulla natura dell’intelligenza artificiale, su cosa ci separi da essa, quanto possa simulare stati d’animo e sentimenti, quanto possa imparare. Interessante anche la scelta di eliminare qualsiasi presenza umana, lasciando la scena al non-umano.

 
Certo, più in superficie, c’è una visione un po’ disneyana della natura, dove tutto è armonico e perfetto, anche se capita che ci si possa mangiare l’un l’altro. Qui c’è un po’ più di superficialità, per altro evidenziata anche dalla nota finale dell’autore, che avvicina animali e robot grazie alla ‘meccanicità’ dei loro comportamenti. D’altra parte questa visione del mondo animale e la sua umanizzazione costituiscono le basi di un efficace film d’animazione.
Peter Brown è un giovane autore americano, che ha già ricevuto numerosi premi; viene dal mondo dell’animazione e questo in parte in questo caso è un limite nel pensare una storia che ad una lettura superficiale può sembrare fondata solo sui buoni sentimenti. Brown è anche illustratore, dote di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Nelle descrizioni e recensioni che ho letto, si parla quasi sempre di un robot femmina, anche se l’autore parla di un robot mamma. Le due cose non si identificano necessariamente e spero che l’apertura mentale dell’autore trovi riscontro in quella dei lettori e lettrici (adulti).

Eleonora

“Il Robot Selvatico”, P. Brown, Salani 2018


mercoledì 22 agosto 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


OLTRE LA PORTA DI GIADA

Le principesse della seta e altri racconti
Alessandra Valtieri, Mauro Evangelista
Bompiani 2018


NARRATIVA PER MEDI (dagli 8 anni)

"Stava per portare la tazza alle labbra quando qualcosa cadde da sopra la sua testa e finì dentro il tè. Qualche istante dopo, quello che sembrava il guscio di una strana nocciola biancastra cominciò ad ammorbidirsi. Lei-Tsu lo sfiorò con un dito e un filo sottilissimo, lucido e trasparente, le si attaccò al polpastrello. Cominciò ad avvolgere il filo intorno al dito, e più lo avvolgeva, più se ne srotolava."

La giovane moglie dell'imperatore della Cina ha appena scoperto la seta. Un bozzolo le è appena caduto nella tazza. I gelsi del suo giardino, all'ombra dei quali prende ogni giorno il tè, si stanno sfrondando uno a uno. Misteriosamente le foglie da verdi e carnose si riducono a scarni ventagli. Che accade è un mistero e non serve mettere accanto al tronco di ogni albero due sentinelle: i bachi lavorano in silenzio. E anche bozzoli fatti di lunghi e resistenti fili sono il risultato di un lavoro lento e muto.
Sono le sottili e delicate dita delle sue ancelle a raccogliere i bozzoli e a filare nei telai costruiti apposta questo tessuto leggero come l'aria. Per secoli la seta è stata un segreto delle donne alla corte dell'imperatore della Cina fino al giorno in cui la principessa Lushi, andando in sposa al sovrano del Khotan, nasconde nella sua capigliatura ornata di foglie di cannella le uova dei bachi e i semi dei gelsi li fa passare nei bauli come medicinali. Chi avrebbe però saputo coltivarli e tessere i loro lunghissimi fili? Tre delle sue più fedeli ancelle che lei ha voluto con sé.
Il primo tratto della via della seta è aperto!

Una raccolta di sedici racconti (Le principesse della seta è solo quello che ha avuto il merito di conquistarsi il titolo) che provengono dalla tradizione cinese e che, in occasione della fiera di Bologna che ha visto la Cina come paese ospite, Bompiani, nella persona di Beatrice Masini come editor, ha pubblicato. 

 
A parte un formato, una carta e una veste grafica che si conferma molto elegante, questo libro colpisce per il fatto che è il risultato di una ricerca approfondita e accurata che ha come esito un'opera dell'ingegno italiano, che si immerge in una cultura diversa. Entrambi, Alessandra Valtieri e Mauro Evangelista, riscrivono o per meglio dire 'traducono' i materiali emersi dal loro lavoro di indagine sulle fonti.
Entrambi apprezzati per le capacità dimostrate nei loro rispettivi campi d'azione - la traduzione e l'illustrazione - qui si cimentano con modalità espressive insolite. Mauro Evangelista dà una personale e nel contempo ossequiosa interpretazione dell'acquarello tradizionale cinese, usando il nero di rigore e firmando ogni tavola con un ideogramma che riproduce le proprie iniziali. Cosa fa Alessandra Valtieri? Avvia un'accurata indagine sulla grande mole di testi di sinologi tedeschi e anglosassoni tra Ottocento e Novecento e, con questo materiale, fa quello che sa fare molto bene: 'traduce' in una lingua varia e attenta. 



Nella scelta dei materiali da pubblicare, per la quale si può pensare che anche Beatrice Masini abbia detto la sua, si è cercato di offrire a chi legge una sorta di mappa per orientarsi in un panorama culturale ancora da esplorare. Icone conosciute come la Grande Muraglia, o lo Zodiaco, o il gioco degli gli scacchi, o ancora le lanterne qui mettono radici nel nostro immaginario. Ogni racconto, dalla favola della cicogna e dell'anguilla, fino al racconto dell'arciere spavaldo o del monaco generoso, trova il proprio senso nei principi filosofici. Dal Tao al Buddha si ragiona di lealtà, di pazienza, generosità, di concentrazione e compassione e di saggezza.
Da tenere a mente.

Carla

lunedì 20 agosto 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


UN LIBRO ESATTO

I figli del mastro vetraio, Maria Gripe, Harald Gripe
(trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2018



NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni)

"Era soprannominata Svolazza perché girava sempre con un pastrano color indaco con la pellegrina, i cui lembi le svolazzavano dietro le spalle come grandi ali. In testa, poi, portava un cappello davvero singolare: una specie di collinetta viola ornata di farfalle, con la testa tutta cosparsa di fiori.
Quanto al Beltempo, la chiamavano così perché si diceva preannunciasse sempre la bella stagione."

Svolazza Beltempo, oltre a sapere quando la primavera è in arrivo, sa leggere il futuro. E quando c'è la fiera lei è lì con la sua tenda per predirlo a chi lo chieda. Non lo fa per soldi, ma per passione. La sua attività principale è però un'altra. Tessere tappeti su cui lei fa nascere tessiture che molto hanno a che fare con le sue previsioni. Insomma, Svolazza è una persona molto particolare e così anche il suo animale da compagnia, un corvo che ha perso un occhio, quello con cui era in grado di vedere il male. Ora la sua vita, quella del corvo, è tutta rose e fiori.


A quella fiera d'autunno che il villaggio di Penuria ospita ogni anno, Svolazza è presente, ma c'è anche l'intera famiglia del mastro vetraio Alberto, la moglie Sofia e i due bambini Chiara e Pietro che nel nome portano il ricordo del mestiere del padre. Di solito, Alberto alla fiera vende poco i suoi bellissimi vasi ma quella sera, un ricco e nobile signore ne compra a sufficienza perché Alberto possa finalmente fare un regalo a Sofia: un anello dalla pietra verde cangiante che lei ha notato due banchetti più in là. Sarebbe potuta essere una sera serena se non fosse stata segnata da brividi e presagi che Alberto e Sofia avvertono intorno a loro. Primo fra tutti il rifiuto di Svolazza di predire loro il futuro e la sua inspiegabile richiesta di quell'anello che Sofia porta al dito...
È alla fiera di primavera, però, che i tristi presagi si realizzano: i due bambini spariscono nel nulla perché quel ricco e nobile signore che aveva comprato i vetri di Alberto li rapisce e li porta con sé a vivere nel Palazzo dei Desideri. Lì, nella cupezza e nel silenzio, vive con la triste consorte e la servitù. Nel lusso, ma nella totale mancanza di affetto, i due bambini crescono lontano dai loro veri genitori, accuditi da una balia enorme e dispotica.
In questa situazione che sembra senza soluzione, sono fondamentali Svolazza, il suo corvo e l'anello. Ma molto deve ancora succedere.

Denso e abbondante. Nell'intreccio dei fatti così come nei temi che tocca. Ha la consistenza di una fiaba che però, lasciata momentaneamente la magia, si avventura in una direzione quasi psicoanalitica, per poi ridiventare fiaba in un finale esatto come un cerchio che si chiude.
Per questa ragione, la lettura è quanto mai stratificata; ovvero ognuno può decidere di cogliere aspetti diversi del racconto. Da una parte ci sono la fiaba e il mito: le figure femminili di Svolazza Beltempo e il suo corvo Savio (il suo occhio mancante ricorda quello di Odino), e di Nana con la sua piccola cacatua muta, o dei due sovrani consorti, che ricordano parecchio i sovrani bisbetici di molte altre fiabe. Gli oggetti che, come già in Andersen, dimostrano di avere una loro anima: i tappeti narranti, i vetri di Alberto, gli specchi che non riflettono, o le bambole-feticcio vestite di velluto. 


Altrimenti ci sono i luoghi: il profondo Nord con il suo popolo, i suoi artigiani, con i suoi carri, i suoi boschi e i suoi castelli solitari e una toponomastica a dir poco simbolica. Altrimenti ancora ci sono le atmosfere: la semplicità della vita della famiglia del mastro vetraio, la cupezza e la solitudine della vita a corte, a cui fa da colonna sonora il delicato soffio del vetro nella bottega di Alberto e il suo stridente infrangersi nelle sale vuote del castello. Non è un caso che spesso l'immaginario della Gripe sia stato paragonato a quello delle sorelle Brontë o di Edgar Allan Poe.


Chi vuole può apprezzarne il lato avventuroso e misterioso:il doloroso distacco tra genitori e figli, per ambedue inspiegabile, e la loro vita in separatezza; lo scontro finale fra il Bene e il Male che le due sorelle ritrovate, Svolazza e Nana, incarnano rispettivamente.
E in ultimo c'è l'indagine introspettiva dei personaggi che assume spesso e volentieri connotati simbolici: in particolare dei grandi di questa storia, ma non solo. Sofia, estremamente vulnerabile e sensibile, che si sente trascurata dal marito e dalla buona sorte, donna avveduta ma perennemente insoddisfatta; Alberto che, al contrario di lei, è un grande sognatore e, nonostante la povertà, dell'esistenza sa sempre cogliere il lato positivo. Oppure i due coniugi a corte, il sovrano e la sovrana, che più di tutti incarnano la difficoltà umana di relazionarsi: l'uno incapace di mettersi nella posizione di ringraziare e l'altra fermamente decisa a non esprimere alcun desiderio o ricordo. E in questo spetta a Svolazza il merito di aver sanato il conflitto tra i due, come avrebbe fatto un bravo psicoanalista. Ma anche i piccoli non sono esenti da una indagine introspettiva che assume un forte significato simbolico, quando - per esempio - si trovano davanti a uno specchio e cercano di capire se sono davanti al loro doppio, o quando la loro immagine scompare e pensano di non esistere più, o ancora quando si vedono cresciuti, e riflettono sul loro triste destino.
E oltre a tutto questo c'è una scrittura felice (che tale rimane nella traduzione), attenta e studiata che alterna, al passato per descrivere la dilatazione della fiaba, alterna il presente per dare corpo all'azione. Contributo non irrilevante è dato dalle figure di Harald Gripe. Prima scenografo e pittore, quindi illustratore di molti libri della moglie, spesso disegnava attraverso la linea bianca incisa su fondo nero che crea l'effetto dell'incisione e rende magnificamente le atmosfere oscure (purtroppo un po' impastate nella porosità della carta) di un tempo al di là del tempo.
Insomma ce n'è per tutti.

Carla

Noterella al margine: Con I figli del mastro vetraio Maria Gripe, autrice che ha ricevuto anche l'ALMA, ha vinto l'Hans Christian Andersen nel 1974. Dal racconto, già pubblicato da Mondadori nel 1988, è stato tratto anche un film nel 1998 intitolato I figli del soffiatore di vetro di Anders Grönros.

lunedì 6 agosto 2018

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


BUONI MAESTRI
 
Il bambino dei baci, Ulf Stark, Markus Majaluoma 
(trad. Laura Cangemi)
Iperborea 2018


NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)

"In camera sua la finestra era socchiusa, per far girare un po' l'aria. Lei si era ripulita e pettinata, si era lavata i denti e anche messa il vestito elegante. 'Sei pronta o no?' le chiesi. 'Manca solo una cosa' rispose. Poi andò a prendere un giradischi portatile e mise su un disco con della musica per violino e fisarmonica. Disse che al primo bacio bisognava fare le cose per bene."


Il piccolo Ulf è un fratello minore. Ed è a un passo da due eventi importanti della sua vita: la gara di corsa con i sacchi e il primo bacio.
Come ogni fratello piccolo nei confronti del fratello maggiore alterna momenti di assoluta riverenza a momenti di consapevole autonomia. E anche di fronte a questi due eventi - gara e bacio - il piccolo Ulf non può fare a meno di ascoltare il fratello pur volendo, nello stesso tempo, dare retta a se stesso.
A parlar di baci e di corse coi sacchi, quel giorno sulla spiaggia dove le donne vanno a fare il bagno svestite, con suo fratello Janne ci sono altri due amici grandi. Loro, di baci se ne intendono perché ne hanno già dati un bel po'. Addirittura dieci, spara Janne. E anche di corse con i sacchi ne sanno certo più di lui che l'anno scorso è caduto a faccia avanti dopo solo due salti, facendo una brutta figura che ancora brucia.
Se la rinuncia alla corsa coi sacchi non gli sembra disonorevole, al contrario la questione del bacio e del solletico che provoca sulle labbra lo stuzzica al punto di voler alzare il tiro e baciare la ragazzina più carina dell'universo.
Come andranno le cose non viene scritto qui, di proposito.

Come spesso accade nella vita vera sono i buoni maestri a fare la differenza.
E tanto per la corsa quanto per il bacio, il piccolo Ulf è stato bravo a trovarsi il migliore, anzi la migliore.
Non arriva a 50 pagine questo brevissimo racconto di Ulf Stark eppure ha il piglio di un libro necessario. Un libro che ogni ragazzino o ragazzina dovrebbe aver letto e dovrebbe tenere infilato in tasca per rapide consultazioni alla bisogna.
Scritto e quindi poi tradotto con la stessa naturalezza e freschezza che ha l'acqua corrente in montagna, Il bambino dei baci colpisce per diversi motivi.
Il primo è in qualche modo già detto: la scorrevolezza di un testo che nella sua alternanza tra dialoghi e riflessioni interiori dell'io narrante è talmente autentico che diventa specchio di realtà in cui ognuno può riconoscere porzioni di se stesso. E questo a prescindere da età, sesso e latitudine di nascita.
Va da sé che se così stanno le cose, dipende dal fatto che Ulf Stark sulla questione è stato capace di centrare il bersaglio più profondo, andare al nocciolo duro.
Ha raccontato con onestà la curiosità dei bambini in crescita, l'approccio fattuale e non speculativo che hanno i piccoli di fronte a ogni questione. Ha saputo ricreare con autenticità la relazione che esiste tra fratelli, il suo modificarsi dal giorno in compagnia alla notte a tu per tu, come pure ha saputo mettere nero su bianco certo cameratismo 'naturale' tra maschi e femmine, lontano da ogni preconcetto e 'pruderie' adulta. E soprattutto ha saputo registrare la magnifica capacità dei ragazzini di sapere vedere oltre, ovvero di essere in grado di interpolare sfere tra loro molto diverse, che per gli adulti sarebbe impensabile anche solo avvicinare.
Cosa c'entra saper baciare con il saper correre nei sacchi di patate senza inciampare?
Insomma, cose di non poco conto.
E questo, per amore di verità, non è affatto frequente: questo accade solo in quei pochi adulti che hanno saputo da grandi ricordare parti della loro infanzia, ovvero quegli adulti che di essa sanno ancora 'leggere' la lingua e parlarla, o meglio tradurla, nonostante il loro essere adulti. Ripeto: non è roba da tutti.
Non so se dipenda dal clima, ma mi pare quasi lapalissiano affermare che la letteratura del Nord in questo senso è un passo avanti agli altri. Ne deriva che le case editrici come Iperborea, che dell'estremo nord dell'Europa hanno fatto il loro terreno di cultura, siano da tenere sempre sotto osservazione.
Raramente li ho visti sbagliare un colpo.

Carla
 


Noterella al margine. In totale autonomia Markus Majaluoma suggerisce una ipotetica colonna sonora per primi baci, qualora la musica di violino e fisarmonica scelta da 'Armata Rossa' non fosse di facile reperimento. Geniale, a suo modo.