UN LIBRO ESATTO
I figli del
mastro vetraio, Maria Gripe, Harald Gripe
(trad. Laura
Cangemi)
Iperborea 2018
NARRATIVA PER MEDI (dai
9 anni)
"Era
soprannominata Svolazza perché girava sempre con un pastrano color
indaco con la pellegrina, i cui lembi le svolazzavano dietro le
spalle come grandi ali. In testa, poi, portava un cappello davvero
singolare: una specie di collinetta viola ornata di farfalle, con la
testa tutta cosparsa di fiori.
Quanto al Beltempo,
la chiamavano così perché si diceva preannunciasse sempre la bella
stagione."
Svolazza Beltempo,
oltre a sapere quando la primavera è in arrivo, sa leggere il
futuro. E quando c'è la fiera lei è lì con la sua tenda per
predirlo a chi lo chieda. Non lo fa per soldi, ma per passione. La
sua attività principale è però un'altra. Tessere tappeti su cui
lei fa nascere tessiture che molto hanno a che fare con le sue
previsioni. Insomma, Svolazza è una persona molto particolare e così
anche il suo animale da compagnia, un corvo che ha perso un occhio,
quello con cui era in grado di vedere il male. Ora la sua vita,
quella del corvo, è tutta rose e fiori.
A quella fiera
d'autunno che il villaggio di Penuria ospita ogni anno, Svolazza è
presente, ma c'è anche l'intera famiglia del mastro vetraio Alberto,
la moglie Sofia e i due bambini Chiara e Pietro che nel nome portano
il ricordo del mestiere del padre. Di solito, Alberto alla fiera
vende poco i suoi bellissimi vasi ma quella sera, un ricco e nobile
signore ne compra a sufficienza perché Alberto possa finalmente fare
un regalo a Sofia: un anello dalla pietra verde cangiante che lei ha
notato due banchetti più in là. Sarebbe potuta essere una sera
serena se non fosse stata segnata da brividi e presagi che Alberto e
Sofia avvertono intorno a loro. Primo fra tutti il rifiuto di
Svolazza di predire loro il futuro e la sua
inspiegabile richiesta di quell'anello che Sofia porta al dito...
È alla fiera di
primavera, però, che i tristi presagi si realizzano: i due bambini
spariscono nel nulla perché quel ricco e nobile signore che aveva
comprato i vetri di Alberto li rapisce e li porta con sé a vivere
nel Palazzo dei Desideri. Lì, nella cupezza e nel silenzio, vive con
la triste consorte e la servitù. Nel lusso, ma nella totale mancanza
di affetto, i due bambini crescono lontano dai loro veri genitori,
accuditi da una balia enorme e dispotica.
In questa situazione
che sembra senza soluzione, sono fondamentali Svolazza, il suo corvo
e l'anello. Ma molto deve ancora succedere.
Denso e abbondante.
Nell'intreccio dei fatti così come nei temi che tocca. Ha la
consistenza di una fiaba che però, lasciata momentaneamente la
magia, si avventura in una direzione quasi psicoanalitica, per poi
ridiventare fiaba in un finale esatto come un cerchio che si chiude.
Per questa ragione, la
lettura è quanto mai stratificata; ovvero ognuno può decidere di
cogliere aspetti diversi del racconto. Da una parte ci sono la fiaba
e il mito: le figure femminili di Svolazza Beltempo e il suo corvo
Savio (il suo occhio mancante ricorda quello di Odino), e di Nana con
la sua piccola cacatua muta, o dei due sovrani consorti, che
ricordano parecchio i sovrani bisbetici di molte altre fiabe. Gli
oggetti che, come già in Andersen, dimostrano di avere una loro
anima: i tappeti narranti, i vetri di Alberto, gli specchi che non
riflettono, o le bambole-feticcio vestite di velluto.
Altrimenti ci
sono i luoghi: il profondo Nord con il suo popolo, i suoi
artigiani, con i suoi carri, i suoi boschi e i suoi castelli solitari
e una toponomastica a dir poco simbolica. Altrimenti ancora ci sono
le atmosfere: la semplicità della vita della famiglia del mastro
vetraio, la cupezza e la solitudine della vita a corte, a cui fa da
colonna sonora il delicato soffio del vetro nella bottega di Alberto
e il suo stridente infrangersi nelle sale vuote del castello. Non è
un caso che spesso l'immaginario della Gripe sia stato paragonato a
quello delle sorelle Brontë o di Edgar Allan Poe.
Chi vuole può
apprezzarne il lato avventuroso e misterioso:il doloroso distacco tra
genitori e figli, per ambedue inspiegabile, e la loro vita in
separatezza; lo scontro finale fra il Bene e il Male che le due
sorelle ritrovate, Svolazza e Nana, incarnano rispettivamente.
E in ultimo c'è
l'indagine introspettiva dei personaggi che assume spesso e
volentieri connotati simbolici: in particolare dei grandi di questa
storia, ma non solo. Sofia, estremamente vulnerabile e sensibile, che
si sente trascurata dal marito e dalla buona sorte, donna avveduta ma
perennemente insoddisfatta; Alberto che, al contrario di lei, è un
grande sognatore e, nonostante la povertà, dell'esistenza sa sempre
cogliere il lato positivo. Oppure i due coniugi a corte, il sovrano e
la sovrana, che più di tutti incarnano la difficoltà umana di
relazionarsi: l'uno incapace di mettersi nella posizione di
ringraziare e l'altra fermamente decisa a non esprimere alcun
desiderio o ricordo. E in questo spetta a Svolazza il merito di aver
sanato il conflitto tra i due, come avrebbe fatto un bravo
psicoanalista. Ma anche i piccoli non sono esenti da una indagine
introspettiva che assume un forte significato simbolico, quando - per
esempio - si trovano davanti a uno specchio e cercano di capire se
sono davanti al loro doppio, o quando la loro immagine scompare e
pensano di non esistere più, o ancora quando si vedono cresciuti, e
riflettono sul loro triste destino.
E oltre a tutto questo
c'è una scrittura felice (che tale rimane nella traduzione),
attenta e studiata che alterna, al passato per descrivere la
dilatazione della fiaba, alterna il presente per dare corpo
all'azione. Contributo non irrilevante è dato dalle figure di Harald
Gripe. Prima scenografo e pittore, quindi illustratore di molti libri
della moglie, spesso disegnava attraverso la linea bianca incisa su
fondo nero che crea l'effetto dell'incisione e rende magnificamente
le atmosfere oscure (purtroppo un po' impastate nella porosità della
carta) di un tempo al di là del tempo.
Insomma ce n'è per
tutti.
Carla
Noterella al margine:
Con I figli del mastro vetraio Maria Gripe, autrice che ha
ricevuto anche l'ALMA, ha vinto l'Hans Christian Andersen nel 1974.
Dal racconto, già pubblicato da Mondadori nel 1988, è stato tratto
anche un film nel 1998 intitolato I figli del soffiatore di vetro
di Anders Grönros.
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