IL NIDO
Il nostro albero, Mal Peet (ill. Emma
Shoard) trad. Sante Bandirali
Uovonero 2019
NARRATIVA PER MEDI (dai 10 anni)
"'Allora, Benjamin' disse mio
padre. 'Questo sì che è quello che si può chiamare albero. Un vero
albero.'
Rivedo me stesso mentre gli prendo
la mano e alzo lo sguardo. Vorrei riuscire a ricordare com'ero. Cosa
indossavo e tutto quanto. Ma non ci riesco. L'albero era una grande
torre grigia che puntava contro il cielo la chioma di foglie verde
chiaro. Attraversandola, il sole faceva un caleidoscopio di luce."
Sono passati più
di vent'anni. Vent'anni di lontananza da quella casa d'infanzia,
venduta in fretta e furia. E ora, quasi per caso, Benjamin ci passa
davanti con il suo furgone. Si ferma e parcheggia un po' più in là.
E' strano vedere la sua vecchia casa abitata da altri, ma è
soprattutto 'il Nido' andato in malora a spezzargli il cuore e a
riaccendere i ricordi di quel tormentato periodo. Il Nido, così
l'aveva battezzata suo padre, quella casa sull'albero e l'aveva anche
costruita per farne un rifugio, un luogo sicuro, da condividere con
il suo bambino.
Un uomo sensibile
che chiedeva scusa all'albero per ogni chiodo piantato nei suoi rami,
un uomo dolce che aspettava l'alba con il suo bambino arrampicato
lassù per sentire il canto dei primi uccelli, un uomo ingegnoso che
sapeva costruire un piccolo arredo perché le ore lassù
trascorressero nel migliore dei modi.
Un uomo
particolare. Di certo non adatto alle routine familiari cui non
riesce a star dietro. Sempre più solitario è lui che si
arrampicherà su quell'albero, in quel nido e che vi troverà rifugio
da un malessere e da un amore finito. A terra c'è una donna che non
ha più molto da dirgli e dalla finestra si limita a guardare il
vecchio faggio e a stramaledirlo davanti a quel bambino, a Benjamin,
che a dieci anni e non capisce.
A tutto ci si adatta e così i due
genitori trovano una routine che li tenga lontani l'uno dall'altra:
unico punto di contatto quel ragazzino. Fino al momento in cui
compare sul prato quel maledetto cartello con su scritto AFFITTASI.
Un racconto scabro
e per questo interessante. Nessuna valvola consolatoria si apre per
andare verso un lieto fine. Al contrario, la bellezza di questa
storia risiede proprio nei grandi silenzi sul tempo trascorso,
nell'incertezza dei sentimenti, nell'incertezza del finale. Benjamin
ora è grande ed evidentemente quell'albero e quella casa sull'albero
-ultimo nido del padre- sono ancora una ferita aperta che lascia
spazio al racconto del passato, ovvero a un pezzo della sua infanzia
che drammaticamente arriva alle immagini, ha quasi il tono della
sceneggiatura, del disagio e della separazione dei genitori.
Un altro iato e il
racconto torna al presente e alla conferma della fragilità emotiva
di quell'uomo di fronte a un dolore grande e ancora in cerca di pace.
Comincia così una sequenza di verbi al condizionale - avrei voluto
dire, sarei venuto, mi sarei portato... tutti riferiti a una
ipotetica ricostruzione di quel nido ormai in pezzi - che si
concludono con un gesto che solo apparentemente sembra routine, ma
che qui può diventare un simbolo, raccogliere ' le cose da buttare'
che lo circondano. Sedersi e infine sentirsi bene per fare
conversione a U.
Detestabili, perché
pericolosi, sono i libri a tema.
Sebbene qui il
tema, o forse dovrei dire i temi pensando al male di essere di Sean,
sia forte e di sicuro impatto sulle animule vagule e blandule di
ragazzi e ragazze che la separazione tra genitori l'hanno vissuta in
prima persona o ne sono stati testimoni, tuttavia Il nostro albero
ha una sua bellezza che va al di là di tutto questo, saltando a
piedi pari la retorica, lo stereotipo, la consolazione, la soluzione
facile.
Al contrario, mette
solide radici nella questione, pur mantenendo nei suoi confronti la
giusta distanza che permetta a ogni lettore o lettrice di trovarsi il
proprio margine di confronto. In qualche modo si è già detto del
percorso che Mal Peet sceglie di intraprendere e che lo libera dal
pantano del libro a tema. La ruvidezza e la giusta distanza e solide
radici, tre caratteri che condividono con quel vecchio faggio.
Il
racconto lucido di una sequenza di fatti, la volontà di affidare
quasi esclusivamente ai pochi dialoghi e agli scarni gesti la
descrizione degli stati d'animo dei protagonisti, rendono Il
nostro albero un piccolo meccanismo di grande efficacia. Emma
Shoard ne centra il tono, sfumando ed evitando contorni precisi,
facendo una scelta cromatica sapiente che, al pari delle scarne
descrizioni del testo, ha il merito di far intuire più che di
affermare.
Mal Peet si concede
solo il tempo necessario per girare intorno alla storia con il suo
taccuino, prendendo appunti su quello che immagina, tenendosi a
distanza, abbassando lo sguardo con pudore, quando è necessario.
Lontano da ogni voyerismo e da ogni morbosità. E poi, in silenzio,
anche lui come Benjamin si allontana.
Emma Shoard fa
esattamente lo stesso con il suo pennello bagnato in tanta acqua e
pochi colori.
Impossibile non
notare un'affinità, che trova conferma nelle poche parole
entusiastiche sul libro, con David Almond.
Per entrambi si può parlare di una scrittura 'coinvolgente inquietante e
splendida'.
Carla
Noterella al
margine. Non si può non gioire del fatto che una storia così
concepita sia in grado di attraversare intere generazioni, parlando a
tutti quelli che la vorranno leggere o ascoltare, giovani o adulti
che siano. Senza remore e con coraggio si va avanti nel testo
illustrato, in un dialogo bello tra parola e figura.
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