IO SONO SOLTANTO UN CANE, Jutta Richter
NARRATIVA PER MEDI (dai 7 anni)
"Da noi in Ungheria c'è una
legge, una legge ferrea che dice: di notte il branco deve sempre
stare unito. Solo se il branco sta unito è possibile tenere lontani
la puzzola delle steppe e lo sciacallo dorato. A che serve un cane
pastore in corridoio, se la notte il gatto selvatico entra quatto
quatto dalla finestra e li sorprende nel sonno?"
Un cane pastore ungherese, che vive comodamente in una bella casa con Freidbert, Emily e la piccola (una bambina fino a poco tempo fa quadrupede) ma continua ad avere la testa nella puszta, tra le pecore racka, gli sciacalli dorati e i gatti selvatici.
Lui è Anton e questa è la sua storia.
E anche quella di tutti quelli che gli girano intorno. Il suo padrone
Freidbert, il capobranco, è quello che non vuole concedergli la
calda pelliccia d'agnello come giaciglio notturno, ma che testardo
vuole vederlo dormire in una rigida cuccia di rametti di salice
intrecciato. Emily ha la voce acuta ma il cuore morbido ed è la
guardiana delle pentole. Ma la sua preferita è la piccola. Con le
condivide la ciotola dell'acqua, i pezzi di formaggio che lei scarta.
Con lei gioca, con lei passeggia, con lei si addormenta la notte in
cantina. Lei profuma di cioccolata e urla come un manzo e ha le mani
morbide come una lingua di cane. Tra atti di eroismo, scuole di
addestramento, rocambolesche cene a base di oca natalizia e lotte
all'ultimo posto comodo con il gatto di casa procede la vita di
questo simpatico cane. Un po' filosofo, molto ironico, con la testa
piena di vecchi ricordi, dispensatore di pillole di saggezza imparate
dal suo vecchio zio Ferenc, il cane Anton guarda dalla sua postazione
ad altezza ginocchio il mondo degli umani e ne sorride. Potrebbe
essere diversamente?
È la prima volta che mi succede. E, nonostante siano già passati sei mesi di sorrisi, mi emoziono e mi stupisco come la prima volta che glielo ho visto fare.
Io sono la Emily della situazione: ho il cuore morbido e il mio cane non sa cosa sia una cuccia di salice. Come Jutta Richter guarda il suo Anton e cerca di interpretarne sguardi, atteggiamenti e poi ce li racconta, anche io appartengo a quella categoria umana. Passo il mio tempo a studiare il pensiero del mio cane e lo traduco in linguaggio umano.
Credo che sia l'unico modo che noi abbiamo per entrare in empatia con il 'nostro' animale: guardarlo e cercare di decodificare il suo sistema di comunicazione. La chiave sta nel non voler a tutti i costi applicare i nostri canoni di pensiero a quelli di un cane o di un gatto.
Jutta Richter ci racconta con rara sensibilità il senso profondo che lei attribuisce all'essere cane: una commistione di istinto e adattamento. Odore di cane e profumo di sapone.
Jutta Richter è forse la migliore scrittrice di animali che io conosca. Sempre molto convincente per sensibilità e rispetto di gattosità e canitudine.
Ed è forse per questo che il suo cane sorride...
Carla
Noterella al margine. Il testo suona come una poesia, con una sorta di ritornello che ritorna rassicurante ad ogni conclusione di capitolo. E a proposito di suono, mi sarebbe piaciuto che il titolo avesse suonato così: Io sono soltanto il cane. Un'inezia, potrebbe sembrare, eppure quell'articolo determinativo lo avrei trovato più fedele al senso ultimo del libro, ovvero la vita di quel quadrupede all'interno di quella famiglia di umani.
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