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lunedì 4 agosto 2025

IL RIPOSTIGLIO (libri belli e impolverati)

TRE PREGI E UN PIZZICO DI FORTUNA

L'uomo il pesce e il mare, Daniel Fehr, Maja Celija 
orecchio acerbo 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"L’uomo viveva vicino al mare. 
Il pesce viveva nel mare. 
Il mare, be’, era il mare. 
L’uomo era affamato. 
Anche il pesce. 
Il mare, be’, era il mare. Con un pesce dentro."

La cosa successiva che accadde fu che l'uomo prese un verme da sotto un sasso, lo fissò all'amo lo buttò nel mare. E questo generò il seguente fatto: ora dentro il mare c'era il pesce che dentro sé aveva un verme. 
Questo fatto, a sua volta, generò una tensione tra due forze: da un lato l'uomo tirava per fare uscire il pesce dal mare e dall'altra il pesce tirava perché l'uomo entrasse nel mare. E questo atto strano confuse il mare. 
E quando il mare si confonde ne fa delle belle: si sentì tirato e poi spinto e quindi decise di capovolgere la situazione e quando il mare decide di capovolgere la situazione non ce n'è per nessuno. E infatti l'uomo finì nel mare, il pesce finì accanto al mare e il mare finì sulla terra. Una gran confusione, ma l'unico che aveva mantenuto la calma e la situazione sotto controllo fu il verme che, quando l'uomo tossì e mollò la canna, quando il pesce tossì e lo risputò a terra e lui finalmente libero poté tornare, seppure in ritardo, a casa dove tutti lo stavano aspettando per festeggiare... 
Anche l'uomo finalmente libero dall'acqua poté tornare, seppure in ritardo, dove tutti lo stavano aspettando. Ma lì nessuno festeggiò! 

Sono almeno due i grandi pregi che bisogna possedere per scrivere il testo di un albo illustrato che poi diventi un bell'albo illustrato. 
A queste due doti si deve aggiungere anche un pizzico di fortuna. 
Il primo pregio è: saper trovare una buona storia da raccontare. 


Il secondo pregio è: saperla raccontare, fermando le parole al momento giusto. 
Il pizzico di fortuna sta, in questo preciso caso, aver avuto Maja Celija come illustratrice. 
Procediamo con ordine. 
Daniel Fehr in questo libro ha dimostrato di possedere i due pregi. Che poi diventano tre. 
Ha avuto una buona idea, ossia quella di raccontare una giornata di pesca, focalizzandosi solo sui tre (anzi quattro) personaggi chiave. L'uomo, ossia il pescatore, il pesce, ossia il pescato, il mare, ossia il mare. A loro tre, che sono nel titolo, se ne aggiunge un quarto che è il verme. Il quale diventa, quasi suo malgrado, il filo narrativo intorno a cui uomo, pesce e mare letteralmente ruotano attorno. 
Il secondo grande pregio è quello di aver saputo raccontare questa piccola storia con un testo "asciugato" (!) all'inverosimile che a sua volta ha saputo trasformarsi in un gioco con le parole, inevitabilmente comico. E quindi, di grande efficacia. 
Il gioco, è cosa nota, è una delle cifre che Daniel Fehr usa con grande naturalezza per raccontare le sue storie. Spesso i suoi libri hanno la capacità di trasformarsi in divertimento. E anche questo suo ultimo non fa eccezione. 


Passiamo al secondo pregio. Le già poche parole si sono fermate al momento giusto per lasciar passare l'altro grande racconto che c'è negli albi, ossia quello fatto per immagini, che di solito ha la precedenza. E spesso e volentieri dice anche molto altro. 
E proprio questo molto "altro" è la ragione del successo che fa di un albo un buon albo. 
Va da sé che perché questo si verifichi, chi scrive deve avere la sensibilità di tacere e di fare passi indietro quando c'è da farne. 
E, vi assicuro, non è così automatico che succeda. Spesso gli scrittori digeriscono male di non essere mattatori assoluti e soprattutto non dimostrano di avere la buona abitudine di non scrivere troppo e di dimostrarsi rispettosi dello spazio condiviso... 
Fehr questo lo sa fare. 
E su questo secondo pregio di Fehr si innesta il suo colpo di fortuna, ossia arriva Maja Celija che si appassiona al suo testo un po' folle. E ci costruisce intorno quelli che lei è sempre molto capace di fare: veri e propri mondi/contenitori ben più grandi di quelli raccontati a parole. 
Se da un lato, appunto, le parole di Fehr sono piuttosto ferme e concentrate sui tre personaggi, dall'altro sono state anche capaci di lasciare una grande zona di libertà intorno al verme. 
A volerla proprio dire tutta, Fehr anche sul verme aveva messo nel testo alcune suggestioni, che però non convincevano né Maja Celija né soprattutto l'editrice. 
Senza entrare qui nel dettaglio, la direzione che il testo di Fehr prendeva è sembrata troppo "adulta", e con ogni probabilità sarebbe passata sulla testa dei bambini che invece di feste e compleanni ne hanno esperienza diretta... 
E, visto poi come è andata, forse si può riconoscere a Fehr quindi anche un terzo pregio, ovvero quello della modestia, in nome della miglior riuscita di un lavoro che, come non si deve mai dimenticare, è collettivo. 
Maja e l'editrice trovano la festa di compleanno del verme la soluzione più efficace e Maja disegna perché questa parte - che nella prima versione del testo parlava di ben altro - prenda spessore. 
Il libro sterza e si incammina quindi in una direzione inaspettata per lo stesso autore. 


Daniel Fehr, con grande umiltà, si mette al servizio dell'opera, ossia si impegna a fare il meglio possibile, il suo lavoro di autore delle parole di un albo illustrato. 
E per arrivarci lima il testo, lo cambia quel tanto che occorre e addirittura si tace nel grande finale, che Maja gli ha servito - ironia della sorte - su un piatto... vuoto! 

Carla

venerdì 28 marzo 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

UN'AGENTE SEGRETO

Niente di straordinario, Fabrizio Silei 
Il Castoro 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 
 
"A te, che non te l'aspettavi." 
F. S. 

Di schiena, alla scrivania, risponde al telefono che squilla nella sua agenzia di spedizioni internazionali. Segnata su un foglietto la prossima destinazione, non resta che attrezzarsi del minimo indispensabile e partire: cappello, lunga sciarpa, maschera per mantenere l'anonimato e nella tasca del cappottone un bel po' di biscottini saporiti per felini, probabilmente quelli del gatto che sta dormendo sul divano della sala d'attesa. 


Sulle sue tracce si mettono tre loschi individui: bassi goffi e decisamente poco atletici. Sebbene a fatica, non perdono mai di vista l'agente in missione. 
Moto, mongolfiera, paracadute, giungla - utilissimi i biscotti da gatto... Quindi canoa, ruspa per raggiungere il picco, al secondo bradipo a destra, in America latina, a giudicare dal condor irritato per la ruspa pericolosamente vicina alle sue uova. 
E quei tre ometti, sempre dietro. Ma sempre più affaticati. 
Sul picco c'è il villaggio di una bambinetta, quella che ha richiesto il servizio, che consegna il suo pacchetto all'agente della società di spedizioni. 
Metà della missione è compiuta! 


Ora bisogna solo portarlo a destino: giù dal picco, abissi, deserto, un tratto sul tetto dell'Orient-Express, biplano, paracadute , la solita moto chopper KTM e poi su fino al sessantesimo piano con l'ascensore guasto. 
Ed è lì che avviene la consegna: a un bimbetto occhialuto, molto contento di ricevere il suo regalo di compleanno da parte di Piccola Felce. 
Ora l'intera missione è compiuta! 
E quei tre ometti, sempre dietro. Beh, non proprio, ormai parecchio fuori uso, come l'ascensore, arrancano per le scale. 
Conclusa così la giornata di lavoro dell'agente, non resta che tornarsene a casa, al solito tran tran. Non prima di aver fatto un po' di spesa, però.
Ecco: questo è il racconto della sua giornata tipo. 

Quasi un silent book.
Uniche eccezioni: frase finale da non svelare neanche sotto tortura e un gentile "Buonasera" sussurrato, scendendo per le scale. 
Per chi è arrivato a leggere fino a qui, senza aver avuto in mano il libro, rimane da sciogliere un bel mistero su chi sia veramente quest'agente. 
Chi invece il libro lo ha sfogliato, saprà - beninteso solo alla venticinquesima tavola - la vera identità di un'agente (occhio all'apostrofo) che in giornata è in grado di compiere una missione di tale portata. 
E come se non bastasse, chiuso l'ufficio, va al supermercato, riempie un carrello di roba, si carica le due buste, prende un autobus, dimostra la propria disponibilità e generosità verso una vecchietta e verso un mendicante e finalmente arriva a casa, dove c'è la sua famiglia che l'aspetta con la cena in forno (almeno quella). 
La dedica del libro, dettaglio che ai bambini poco interessa mentre i grandi se non altro la notano, parrebbe illuminante. 
Siamo davanti a un omaggio sperticato e grato nei confronti di una persona (che non se l'aspettava?) unica, ma anche di una categoria umana: le donne, e in particolare quelle che lavorano! 
E se poi, visto che sono anche mamme, il cerchio diventa perfetto e si chiude. 
Detto questo, che non è poco, fin qui si è parlato di ciò che ha il fine di coinvolgere emotivamente in particolare gli adulti lettori e lettrici. 
Sì vabbè, ma ai bambini cosa resta? 


Parecchio: il lato comico della vicenda. Ossia il crescendo delle difficoltà del viaggio, i diversi modi di uscire illesa dalle situazioni sempre più complicate e, per converso, la goffaggine dei tre inseguitori maschi (!) che, messi uno sull'altro, non raggiungono neanche l'altezza della gagliarda protagonista. I bambini rideranno dei loro impacciati e dolorosi atterraggi di fortuna, rideranno sulla scena degli alligatori o delle peste in cui finiscono al momento del condor e, come se non bastasse, saranno loro debitori dell'aver smascherato, nel senso più letterale del termine, la vera identità della protagonista assoluta dell'intera vicenda.
 

Ma c'è un ulteriore piccolo seme che potrebbe e dovrebbe aver attecchito nelle loro testoline: una mamma che lavora, in casa o in ufficio, anche senza dover andare e tornare in giornata in Amazzonia o sulle Ande, ha alcuni tratti che la rendono speciale: nel suo essere sempre pronta, sempre capace di soddisfare desideri, di dare risposte, di diffondere gioia e amore, e di fornire servizi essenziali e superflui alla piccola comunità familiare, gatto compreso. 
E di farlo, considerandolo niente di straordinario. 

Carla

Noterella al margine. Silei, senza parere, nel disegno imprime un ritmo da fumetto più che da albo e lo rende allegramente indisciplinato - con oggetti che escono dalle rigide cornici oppure concede molta liberà all'acqua e i rampicanti che, come accade nella vita vera, quando decidono di andare, vanno.

venerdì 26 luglio 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

DI COMICITÀ IRONIA SATIRA E DI UN GATTO

Papà ha perso la testa, André Bouchard, Quentin Blake (trad. Fabio Regattin) 
#Logosedizioni 2024 



ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Dovemmo arrenderci all'evidenza: la testa di papà era introvabile. 
 Era strano non saper dove guardare quando parlavamo con lui. 
Inoltre, ci dicevamo, prima o poi avremmo dovuto spiegare alla gente che papà aveva perso la testa e che non riuscivamo proprio a trovarla. 
La mamma si disperava pensando a quel che avrebbero detto: 'Che moglie negligente, non sa nemmeno dove si trova la testa del marito! Figurarsi i calzini dei figli, allora!'" 
Così io e mio fratello decidemmo di fabbricare una testa per papà." 

La testa è sparita un giorno, così, senza nessun preavviso. Non è che non l'abbiano cercata ovunque. Persino nei posti dove mai e poi mai sarebbe riuscita a entrare. Ma tant'è. Niente testa. Gli effetti collaterali di questa curiosa circostanza sono molteplici. 
Il primo: una certa goffaggine nel movimento per casa. 

© André Bouchard, Quentin Blake, Papà ha perso la testa 


Al prezioso e orrendo soprammobile rotto, al padre viene ingiunto di starsene seduto e, pur senza orecchie, lui obbedisce alla voce tonante della moglie. 
Il secondo, nessun rimprovero per marachelle fatte: occhio non vede... 
Il terzo, una certa condiscendenza a fare tutto quello che gli viene richiesto, senza poter protestare. 
Il quarto: nessun russamento notturno. 
In fin dei conti, quasi solo vantaggi e una serie di occasioni propizie e redditizie che balenano alla mente fervida dei due figli. La forza dell'abitudine fa il resto. Andare in ufficio ogni mattina (magari al volante è meglio ci sia mamma), andare a fare jogging al parco. Cose così. 
Dal punto di vista estetico e più meramente pratico, i due bambini realizzano una capoccia in cartapesta, in modo che il mondo non percepisca poi troppo questo cambiamento. E come spesso avviene, anche alle persone coinvolte in questa storia, la forza dell'abitudine e certo spirito innato all'adattamento, fa il resto e ritorna il solito tran tran. 
E se un giorno, così come se n'è andata, la testa tornasse? 

La scintilla che accende le storie di Bouchard è sempre molto luminosa e questa forse lo è ancora più di altre: partire da un assurdo assoluto, da un paradosso, impensabile purché comprensibile, quindi stravolgere o meglio capovolgere la realtà in un colpo solo, quindi rimettersi in piedi e riguardare tutto da un punto di vista consueto che però a questo punto assume i toni del grottesco e del comico. 
Cosa ne deriva? Umorismo allo stato puro. E, sotto sotto, un bel po' di ironia. 
L'umorismo è lì, sotto gli occhi di tutti: decapitare un padre e un marito e renderlo diverso, innocuo, condiscendente, manipolabile fa ridere. 
Ma Bouchard fa un passetto in più. 
Questo umorismo che a tratti si fa comico, anche grazie ai disegni di Blake, viene potenziato dallo sguardo costantemente ironico di Bouchard. 
Parlare in senso ironico significa in ultima analisi: dire una cosa e pensarne un'altra, ma facendolo capire... Dal vocabolario Treccani, "nell’uso com., la dissimulazione del proprio pensiero (e la corrispondente figura retorica) con parole che significano il contrario di ciò che si vuol dire, con tono tuttavia che lascia intendere il vero sentimento"
Ecco quello che succede in una delle più esilaranti tra le storie di Bouchard, l'unica che è stata affidata a un altro illustratore...e che illustratore! 

© André Bouchard, Quentin Blake, Papà ha perso la testa


Certamente una storia che è nelle corde di Blake (credo che se Sir Blake non ne avesse riconosciuta la qualità e, da parte sua, la possibilità di renderla al meglio o addirittura di potenziarla, avrebbe gentilmente declinato l'invito. Credo) 
Allora. Se andiamo a vedere nel dettaglio quali sono gli snodi tra comicità e ironia di questa storia individuiamo anche i punti che a Blake offrono agganci molto solidi. 
La breve frase iniziale, quindici parole in tutto, è in grado di ribaltare la realtà e far partire per un viaggio che si preannuncia parecchio interessante. E, inevitabilmente, comico. 
Che questo succeda nella prima pagina, quindi in quella di destra, che necessariamente prevede la sospensione del giro, è elemento ulteriore di grande attesa. Blake asseconda il ribaltamento di Bouchard e disegna, tra due ragazzini, i figli piuttosto preoccupati del protagonista acefalo, proprio lui, meravigliosamente inespressivo, in gilet e cravatta. Si ride. 
Già dalla pagina successiva, Bouchard fa tornare tutto nella norma, a parte l'anomalia di partenza. E lo stesso fa Blake che disegna un uomo acefalo che dà una manata sul prezioso quanto brutto soprammobile e una moglie rossa di rabbia per quel che vede accadere davanti ai propri occhi - quindi disegna quello che il testo racconta, ma si prende lo sfizio di mettere un gatto che, guadagnatosi in silenzio il frontespizio, anche in seguito, continuerà a essere muto testimone atterrito, colpito, pestato, schiacciato, calciato, aspirato e addormentato ecc. ecc.
 
© André Bouchard, Quentin Blake, Papà ha perso la testa


Ed ecco che il testo qui si fa ironico e il disegno invece è comico. 
Altro grande snodo di divertimento, che pende tra la comicità di alcune situazioni e l'ironia del testo, si genera nella minuziosa fase di ricerca, dove Blake deve accelerare con i disegni a punteggiare il testo che si fa incalzante.


© André Bouchard, Quentin Blake, Papà ha perso la testa


Per non parlare del seguito che riguarda la costruzione di una nuova testa che tolga d'impaccio i bambini che così sapranno dove guardare quando parlano al padre e la loro madre che non dovrà subire lo stigma di parenti e conoscenti... La faccia di Blake è comica, le ragioni della sua costruzione sono ironia pura. Blake accelera un altro po' e quindi, girata pagina, rallenta di nuovo e si gode la bellezza di quella testa rotonda e meravigliosa che nella sua unica espressione sorridente e poco poco beota si rivela massimamente buffa, comica appunto, nelle diverse situazioni, perché in tutte sa essere è del tutto fuori luogo. 
A questo punto Bouchard salta il fosso e parte con le sue consuete esagerazioni, i suoi paradossi. 
E lo fa in un lungo elenco di valutazioni tra i tanti pro e l'unico contro che una situazione del genere produce sulle routine quotidiane di una famiglia. 
E Blake invece che fa? Gli va dietro e si diverte, si diverte si diverte.... 

Carla 

Noterella al margine. Va da sé che, anche se "distratti" dall'universo di Blake, non debbono sfuggire le molte frecciatine satiriche che Bouchard lancia qui e là. Come se fossero una sua sigla irrinunciabile nelle sue storie. Il perbenismo della madre, certe sue sottili rivalse nei confronti di un marito evidentemente non sempre molto collaborativo o premuroso o affettuoso in un recente passato... e via andare, tacendo sul finale. 


© André Bouchard, Quentin Blake, Papà ha perso la testa


I suoi bambini invece sono, come peraltro anche quelli di Blake, maestri di pragmatismo e capaci di andare sempre dritti al punto. 
Beati loro!

venerdì 26 aprile 2024

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

L'IMPASSIBILE JON

Papà è un albero, Jon Agee (trad. Alessandro Zontini) 
Il Castoro 2024 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 3 anni) 

"Dai, papà, facciamo gli alberi! 
 Facciamo che le braccia sono i rami, il corpo è il tronco, e le gambe sono le radici. 
 E poi stiamo fermi. 
 Così. 
Va bene, Maddy, ma solo per un minuto! Oh."
 
Chi ha detto oh? Un piccolo gufo ha subito approfittato di quel ramo - più basso degli altri, più morbido degli altri, più caldo degli altri. Quindi su quel papà albero adesso c'è un gufetto che si è accoccolato tra spalla e collo, un pettirosso approfitta dei riccioli e li usa come soffice base per il suo nuovo nido. Poi le cinciallegre, una farfalla, uno scoiattolo e una coccinella... 
Maddy, da sotto, controlla e informa suo padre dei nuovi arrivati, man mano che si presentano. 


E nello stesso tempo suo padre comincia a realizzare alcune innegabili scomodità nell'essere albero, seppure per un giorno. 
C'è da dire che Maddy si dimostra molto premurosa nei suoi confronti, soprattutto quando comincia a piovere... 

In tutta sincerità mi manca un po' quella bella rigona nera che di solito è la linea di contorno dei suoi disegni, tuttavia mi pare ugualmente irresistibile anche questa ultima uscita dell'impassibile Agee. Irresistibile perché comica, molto comica. 
Non c'è occasione in cui Agee lasci indietro il lato buffo delle cose, delle situazioni. E anche solo per questo andrebbero letti e condivisi i suoi libri. Sempre lievemente cattivello, sempre un po' schierato dalla parte dei più piccoli, Jon Agee è così magnificamente capace di lucidare le sue storie per renderle semplicemente brillanti. 


Anche in questa storia, fatta di un dialogo tra padre e figlia che si dipana per un intero giorno, non si smentisce. A ben vedere, la storia è fatta di ben poco (anche se costruite le singole inquadrature con grande maestria) e anche il contesto è ridotto ai minimi termini, le illustrazioni tutte rilavorate in digitale (come già visto nel libro Il muro in mezzo al libro) però hanno un quid che le rende a tal punto espressive, che anche qui come già si ero detto allora, il confronto con il gioco degli sguardi in Klassen torna a galla. 
Entriamo nel merito di ciò che accade. 
Una breve trattativa tra una piccola e suo padre mette subito in chiaro chi comanda tra i due: si è di fronte a quella tipologia di genitore che non si tira indietro nel scendere in agone e mettersi in gioco "alla pari" con un piccolo. E nel farlo, perde alla grande. Da cui nasce la prima ragione per ridere. 
Nello stesso modo è molto chiara la consapevolezza del potere di cui si gode la sua controparte, Maddy. Lei è meravigliosamente determinata ad andare avanti a ogni costo. 
E in questo ricorda un po' i bambini infallibili di Oliver Jeffers che se la sanno cavare in ogni circostanza, senza stupirsi mai troppo e senza perdersi d'animo di fronte alle avversità, affrontandole con i mezzi che hanno a disposizione e soprattutto non ponendo alcun limite alla loro immaginazione per uscirne indenni: Stuck (alias Nei guai!) rules! 
La amorevole Maddy qui gioca di sponda perché, se da un lato si preoccupa che il suo padre albero non si bagni poi troppo (sapendo bene che il tirare troppo la corda non converrebbe a nessuno, men che meno a lei...), dall'altro elabora una sua personale strategia per raggiungere l'obiettivo prefissosi: stare tutto il giorno fuori. 


Dunque se la prima cosa comica è la relazione capovolta tra un grande che si fa comandare e una piccola che lo comanda, seppur con il dovuto garbo, l'altro elemento di risata sta nel modo in cui Agee costruisce il racconto per accumulazione. 
E ancora una volta torna in mente il citato libro di Jeffers. Veder crescere in progressione l'assurdità della situazione è sistema collaudatissimo e non c'è possibilità che il lettore non ci caschi dentro e si sbellichi a vedere questo padre prima serafico e sorridente, perdere via via le sue certezze di essere nel gioco giusto... 


Tanto più lui inarca le sopracciglia - alza persino un po' la voce quando l'aquilone gli si incastra sulla testa - oppure assume l'espressione tra il perplesso e il perdente, tanto più Maddy è impassibile agli stati d'animo paterni ed è tutta un sorriso di soddisfazione. Come uscirne con onore? 


Ancora una volta è la comicità della situazione a suggerirla. 
Nonostante il buio, nonostante la pioggia e una intera giornata a fare l'albero, a suggerire come uscirne è mamma gufo che con una potente bubolata richiama a sé il suo piccolo che dalle spalle del papà di Maddy vola verso la protettiva mamma gufo, un ramo più in alto. 
Morale della storia: Maddy e il piccolo gufo si ritrovano alleati nell'essersi ritagliati una giornata diversa dal solito, mentre mamma gufo e padre di Maddy (debitore in eterno nei confronti di quel rapace) sono alleati per ruolo e per destino: entrambi sono stati al gioco dei loro piccoli ed entrambi ora hanno ripreso il controllo della situazione. 
Sì, ma fino a quando? 

Carla

lunedì 11 luglio 2022

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA TEORIA DEL CAOS E I SUOI DERIVATI 

Tutta colpa del barattolo, Luca Tortolini, Maria Gabriella Gasparri 
Sinnos 2022 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

"Era un giorno come tanti e mi annoiavo un po’. Me ne andavo in cerca di qualcosa da fare quando ho visto un barattolo. Era tondo, lucido e perfetto. Ho preso un po’ di rincorsa e SBANG! 
Il barattolo è volato via e ha preso il lampione: SBUUUMM! Dal cassonetto sotto il lampione è schizzato fuori un topo. Dal davanzale della finestra di fronte è partito un gatto..."


Neanche a dirlo, gatto e topo sono sfrecciati davanti al cane dei vicini che ha cominciato a inseguirli. Allora si sono infilati nella stalla dei Roses e, avendo sfondato la parete di legno, hanno permesso all'intera mandria di bufali di correre nei prati, finalmente libera. 
All'inseguimento ci si sono messi i guardiani a cavallo e la bambina, quella del barattolo. 


Così, topo, gatto, cane, bufali, cavalli, bambina, tutti correndo galoppando, scappando e inseguendo, sono entrati in città. E dopo averla messa a soqquadro, ne sono usciti e il topo, che guidava il gruppo all'inseguimento, essendo lui il primo della lista, ha pensato bene di dirigersi verso la diga. 
E sul parapetto, presumibilmente esausto, finalmente si è fermato e ha guardato tutti quelli, ed erano tanti - di sicuro troppi, che lo inseguivano e ora erano ammassati contro quel parapetto... 
 
Alan Turing lo teorizzò nel Cinquanta, a proposito dello spostamento di un elettrone; poi ancora Edward Lorenz nel 1962 costruì un modello matematico su quello che poi è diventato il c.d. 'effetto farfalla', termine che forse a Lorenz venne in mente, ispirandosi a un racconto di Ray Bradbury. A Sound of Thunder è del 1952 e racconta di un turista nel tempo che, pestando inavvertitamente le ali di una farfalla, genera una sequenza crescente di sciagure per l'intera umanità.
'L'effetto farfalla' è qualcosa di analogo all'effetto domino, o alla reazione a catena, ma con esiti che arrivano sempre a essere macroscopicamente più grandi, ossia che prevedono una crescita esponenziale della portata dei vari eventi che si susseguono. Non è una differenza da poco. 
Le tessere di un domino messe in piedi a poca distanza le une dalle altre, cadranno una dopo l'altra creando un bell'effetto visivo, ma non molto di più. Mentre se il battito delle ali di una farfalla in Brasile potrebbe - secondo quel modello matematico di Lorenz - generare un tornado in Texas, dopo aver fatto il giro del globo, l'impatto nel nostro immaginario è ben più significativo. 


Ed è triste ammetterlo, anche molto più divertente. Anzi comico. 
In letteratura, come nella settima arte, questa questione è stata ampiamente raccontata. 
Al principio, in particolare il crescendo dal minuscolo al grande, fino a raggiungere la catastrofe, è stato più volte 'messo in scena' con esiti anche di altissimo valore. 
Ma dopo poco anche il lato comico trova una sua strada narrativa e visiva. Tra il serissimo elettrone di Turing e la leggendaria farfalla di Lorenz, ossia tra il 1950 e il 1962 si insinua un libro geniale. 
Un grandissimo autore e illustratore, esattamente nel 1957 pubblica The Day the Cow sneezed. Lui è James Flora, un gigante.


Il suo esilarante libro scritto e illustrato magnificamente arriva, lento ma inesorabile, anche in Italia nel 2011 con il titolo: Il giorno in cui la mucca starnutì
Sulla scia di tutti questi eventi, a distanza di altri undici anni, quindi dopo 65 anni da Flora arriva il libro scritto da Luca Tortolini e illustrato da Maria Gabriella Gasparri. 
Viene da pensare che il tema non abbia perso il suo appeal nel corso del tempo. 
E per di più che anche lo stesso libro di Flora abbia giustamente fatto scuola. 
Se li si mette vicini, la cosa che colpisce a prima vista è il tipo di disegno, ma ancora di più la scelta della palette cromatica. 
Flora ha l'esigenza di selezionare solo pochi colori, per le pagine che si alternano a quelle in bianco e nero. E' costretto a farlo per motivi di risparmio in fase di stampa (quasi tutti i libri pubblicati nel Dopoguerra si distinguono per questa caratteristica: il grande foglio di stampa ha i colori solo su un lato, mentre l'altro è in bianco e nero, circostanza che nella fascicolazione provoca l'alternanza tra colore e b/n) e così ne sceglie tre, oltre al nero: rosa arancio e verde. 
Stessa scelta, forse in chiave filologica o forse per sensibilità, la fa Maria Gabriella Gasparri che sostituisce al verde l'azzurro, ma lascia rosa e arancio sostanzialmente invariati.


Come fa Flora, anche lei si diverte a distorcere, anche se con maggiore timidezza, i profili dei personaggi e soprattutto usa la doppia pagina per spargerli ovunque in quella loro folle corsa verso il finale, senza tenere troppo in conto l'alto e il basso, il diritto e il capovolto: lo chiamerei effetto centrifuga. Molto giusto. 
Raggiungere l'effetto pirotecnico delle tavole di Flora, modernissime con i fondi neri, oppure giocare sull'appiattimento delle forme come fa Flora è arduo. Tuttavia saper riconoscere il valore di libri del genere e farne tesoro è di nuovo molto giusto. 

Anche per quel che riguarda il testo, arrivare alla quota di Flora non è impresa facile. Sebbene il titolo sia un po' meno evocativo, e sebbene la catena di eventi che mette in sequenza Luca Tortolini sia più corta e meno fantasmagorica rispetto a quella di Flora, tuttavia in alcuni punti i due testi si toccano: alcuni personaggi - topi e gatti che sono ideali per gli inseguimenti; e in qualche modo anche il contesto, ossia la fattoria di partenza e la città. 


Ma è soprattutto è nel nocciolo della questione che entrambi raggiungono il medesimo effetto: essere maledettamente comici. 
Diversi, invece, i due finali, su cui è d'obbligo tacere. 

Carla

venerdì 4 giugno 2021

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL LUMINOSO MEDIOEVO

Il trionfo della Morte, Matteo Gubellini
Scomodincanti, 2021


ILLUSTRATI
 
"Mentre l’esercito gaudente se ne stava in ammollo nel turchese, una figura sottile sbirciava nascosta tra gli alberi.
Era la Morte, scura scura. Davanti a lei un esercito beato tramortito dal vino, e soprattutto disarmato!
La Morte quel giorno era ancora a digiuno, neanche un cadavere aveva raccolto nel suo paniere, e guardando l’esercito pensò: 'che boccone prelibato per un re in vena di conquiste!' E si rammentò che in una città non troppo distante regnava un sovrano crudelissimo, e altresì ambizioso: Re Crudo."


Così la Morte che per metter gente nel suo paniere ha bisogno che le cose vadano in un certo modo - insomma ci devono essere le giuste condizioni per per poi intervenire con la propria falce - pensa che sia Re Crudo il suo compare ideale. Lui è cattivo e assetato di potere e non si tirerà indietro all'idea di avere vittoria facile sull'esercito ubriaco di Re Luciano che festeggia la recente vittoria, sguazzando disarmato nel laghetto.
 
 
Purtroppo però, proprio quel giorno l'esercito del perfido sovrano è in libera uscita e la Morte non solo non ottiene la carneficina sperata, ma addirittura viene cacciata in malo modo perché ha osato declinare l'invito a pranzo del permaloso sovrano, che a ben vedere, sarà pure re, ma è anche pieno di difetti.
Sconsolata, si aggira per i colli, ormai convinta che la giornata è persa. E allora, persa per persa, tanto vale accettare l'invito dei soldati ubriaconi a godersi anche lei una bottiglia di buon vino e un bel bagno al lago. Saranno stati i pensieri foschi, o forse sarà stato il vino, ma la Morte per un attimo si dimenticò di un particolare non del tutto irrilevante: se ti tuffi in un laghetto turchese, è meglio sapere come stare a galla...


Sciocchi e frettolosi si dimostreranno tutti coloro che pensano che la Morte possa davvero finire i suoi giorni così. D'altronde è cosa risaputa che la Morte (e il Peggio) non muoiono mai! Le cose andranno come devono andare, ma da questa parte è doveroso che sull'argomento il silenzio cali.
Al contrario, è altrettanto doveroso dire almeno un paio di cose su questo nuovo libro di Matteo Gubellini, che esce dalla sua 'officina' di Scomodincanti.
La prima e la più evidente di cui parlare è il tono scanzonato, picaresco della storia.
 
 
L'intero impianto si regge su un grande equivoco che ruota intorno alla parola 'trionfo'. Nell'immaginario e nel senso comune il trionfo è sinonimo di vittoria schiacciante. E quello della Morte, in particolare, allude alla sua inevitabile supremazia nei confronti di tutto ciò che è vivo. Senza esclusione di colpi e senza riguardi: e sotto a chi tocca.
Le immagini che lo raffigurano sono spesso in collegamento con i Giudizi Universali, sulle grandi pareti affrescate, le controfacciate delle chiese del Medioevo (così quando esci dopo la funzione religiosa, te ne vai con questo bel memento mori negli occhi...).
La Morte, ritratta spesso a cavallo, ma sempre scheletrica con il suo mantello e il suo cappuccio e l'immancabile falce, diventa di grande attualità alla metà del Trecento, dopo la Peste nera del 1348, per ovvie ragioni. In questi affreschi o tele sono tre le costanti: un grande parapiglia brulicante di persone su cui la Morte e i suoi soldati trionfano, un evidente interclassismo delle vittime e un diffuso gusto per il macabro, il comico e il grottesco.
 

Matteo Gubellini a questo sapore irriverente non rinuncia, giustamente, e si allinea anche nei toni del testo che sono quelli dell'oralità, del 'cunto'. Circostanza questa che rende questa storia 'perfetta' per essere letta - o meglio recitata - a voce alta. Una collana di piccole parole/perla sono sparse qui e là con sapienza e arguzia.
Dalla tradizione arriva anche l'iconografia della Morte, a cavallo, secca secca, con un bel teschio sul collo, il mantello e la falce d'ordinanza. 
 

Ma anche in questo caso, Gubellini non può fare a meno di aggiungere una serie di dettagli comici e grotteschi, che chi vuole se li trova.
I personaggi, tanto i soldati dell'esercito, quanto i sudditi di Re Crudo, brulicano in modo scomposto sulle rive del lago e in città al comparire della Morte, e ricordano parecchio i loro omologhi dipinti da Brugel, ma anche quelli un po' raffazzonati che Enrico Maria Salerno, con lo sguardo profetico, invitava a transitare in fila longobarda sullo cavalcone.
Matteo Gubellini è però Matteo Gubellini quindi non può per questo rinunciare all'altra sua cifra, quella metafisica, e così colloca tutta questa varia umanità entro scenari che, se svuotati del movimento, restituiscono volumi puri per le architetture, non importa se disseminate nelle morbide colline, o in città. Non è forse questo un altro modo di tenersi legato a quel 'luminoso' Medioevo, ovvero alla pittura dei maestri, di Piero in particolare?
Detto tutto questo, resta un fatto incontrovertibile: Matteo Gubellini ha sempre qualcosa da raccontare e qui lo fa divertendosi, forse anche più del solito. 
 
 
 
E noi, con lui.
 
Carla

 

 


venerdì 18 ottobre 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


IL SEME DELLA PRIMA NASCITA
Papà Gambalunga, Nadine Brun-Cosme, Aurélie Guillerey
(trad. Maria Pia Secciani)
Edizioni Clichy 2019


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni)

"'A stasera' dice papà. E dà un grosso bacio sulla guancia a Matteo. Ma Matteo dice: 'E se stasera la vecchia auto non parte?' Papà esita un po': 'Se la macchina non parte...'"

Di quella vecchia macchina verde, Matteo lo ha visto con i suoi occhi questa mattina, non ci si può assolutamente fidare. Decide lei se e quando partire. Quindi la domanda al papà è più che lecita. Sulla risposta, o meglio sulle molte risposte del papà, ci sarebbe forse qualcosa da obiettare. Se la vecchia macchina verde non parte, lui andrà a prendere Matteo con il trattore rosso del vicino. Ma quel bambino fa bene a dubitare... Verrà a cavalcioni di un orso, o portato da uno stormo di uccelli, o navigando sull'acqua spruzzata da vicino, o scavando un tunnel sotterraneo con l'aiuto dei conigli... Ogni volta Matteo obietta e ogni volta il papà si sente in dovere di trovare soluzioni alternative, sempre più immaginifiche, ma sempre più rassicuranti per il suo bambino: non lo lascerà a scuola per sempre!

Sono giorni che la riflessione va spesso a incagliarsi nella stessa domanda: ma le storie che raccontiamo avranno una fine? Ovvero, arriverà un giorno in cui le avremo finite tutte e dovremo ricominciare daccapo e ci troveremo a raccontare quelle di già raccontate? E anche se fosse, saranno davvero una la copia l'una dell'altra, oppure il racconto, sia scritto che a voce, porterà comunque in sé il seme di una prima nascita?


La riflessione, leggendo Papà Gambalunga, si riacutizza perché dentro questo libro si sente un'eco (a parte quello nel titolo).
È l'eco di una storia che arriva in Italia, portata da Babalibri nel 2005 e firmata da Mireille D'Allancé: Ci pensa il tuo papà.
Il plot non è molto diverso: un dialogo in crescendo tra padre orso e figlio orso, laddove il secondo tartassa di domande a scopo rassicurante il proprio padre che, a sua volta, non fa che riconfermare al proprio piccolo la certezza che lui, da bravo e fidato papà, sfiderà ogni avversità, ogni pericolo, per non lasciarlo mai da solo.
L'eco si sente soprattutto nel meraviglioso ritmo che dimostrano di avere entrambi: un ritmo sempre più serrato, sempre più esagerato e assurdo, tanto da diventare in entrambi un vero e proprio gioco al rilancio, attraverso le incalzanti domande dei due piccoli.
L'altro punto di contatto sta nel dialogo tra figura e testo, ovvero in entrambi i casi è rispettata la regola aurea secondo cui parole e immagini devono armonicamente essere entrambe 'espressioni' di una unica narrazione. Entrambe sono voci narranti, pur occupandosi di elementi anche tra loro diversi. Non sono in un rapporto interno di sudditanza, dove la figura si limita illustrare ciò che dice la parola e viceversa la parola non è didascalia della figura. Guai se accadesse.
Questo solo per dire che, come albi illustrati, funzionano entrambi.
Ma allora, in Papà Gambalunga, è possibile individuare, nonostante gli echi, il seme di una prima nascita?
Sì. 


E meno male che accade perché qui il rassicurante e a tratti melenso orso della D'Allancé ha perso la sua tenerezza h24 in cambio di un maggiore gusto per il comico e una certa qual possibilità di resa, comica anch'essa, di fronte all'incalzare degli eventi. 


La Nadine Brun-Cosme non tradisce. E questo rilevante scarto nel testo trova la sua espressione nelle facce rassegnate e sconfitte di fronte alle avversità crescenti. Naturalmente, girata la pagina, ritornano sorridenti grazie a una ritrovata energia e fiducia in sé: per riportare il proprio bambino a casa, basteranno due gambe (lunghe) e mai stanche.
E l'altro grande seme di originalità sta, come prevedibile, nel genere di illustrazione. Dal pastello morbido e sfumato, dal segno rassicurante e tondo, dalla mimesi con il peluche che è un marchio di tutti i libri della D'Allance, si passa ai colori quasi sempre piatti, alle linee spezzate, a un evidente disinteresse nei confronti della resa mimetica. 


Aurèlie Guillerey costruisce la pagina per colpire, per stupire, per rendere attento il proprio lettore, le dà un ritmo che non credo sbagliato definire musicale (di certo sonoro, quanto lo è il bel testo).
Tutto è in movimento, con ritmo accelerato, che da sinistra si muove invariabilmente verso destra, come a voler dare un tempo spinto all'eccesso verso il finale, attraverso il susseguirsi veloce del giro pagina.
Ricorda, e non solo in questo senso, un altro grande libro concepito da Jim Flora nel 1957, Il giorno in cui la mucca starnutì. A parte la diversa storia e una differente paletta di colori (in Jim Flora l'alternanza dei pochi colori al b/n per questioni di risparmio dei costi di stampa), le affinità sono parecchie e non credo siano casuali. Sembrano piuttosto un'ispirazione. Entrambi, sebbene a distanza di più di mezzo secolo e in contesti culturali differenti, hanno una formazione simile, una frequentazione assidua con la musica, con il graphic design e, fortunatamente per noi, con il senso del comico.


 Evviva.

Carla