IL LUMINOSO MEDIOEVO
Il trionfo della Morte,
Matteo Gubellini
Scomodincanti, 2021
ILLUSTRATI
"Mentre
l’esercito gaudente se ne stava in ammollo nel turchese, una figura
sottile sbirciava nascosta tra gli alberi.
Era la Morte, scura
scura. Davanti a lei un esercito beato tramortito dal vino, e soprattutto
disarmato!
La Morte quel giorno
era ancora a digiuno, neanche un cadavere aveva raccolto nel suo
paniere, e guardando l’esercito pensò: 'che boccone prelibato per
un re in vena di conquiste!' E si rammentò che in una città non
troppo distante regnava un sovrano crudelissimo, e altresì
ambizioso: Re Crudo."
Così
la Morte che per metter gente nel suo paniere ha bisogno che le cose
vadano in un certo modo - insomma ci devono essere le giuste
condizioni per per poi intervenire con la propria falce - pensa che
sia Re Crudo il suo compare ideale. Lui è cattivo e assetato di
potere e non si tirerà indietro all'idea di avere vittoria facile
sull'esercito ubriaco di Re Luciano che festeggia la recente
vittoria, sguazzando disarmato nel laghetto.
Purtroppo
però, proprio quel giorno l'esercito del perfido sovrano è in
libera uscita e la Morte non solo non ottiene la carneficina sperata,
ma addirittura viene cacciata in malo modo perché ha osato declinare
l'invito a pranzo del permaloso sovrano, che a ben vedere, sarà pure
re, ma è anche pieno di difetti.
Sconsolata,
si aggira per i colli, ormai convinta che la giornata è persa. E
allora, persa per persa, tanto vale accettare l'invito dei soldati
ubriaconi a godersi anche lei una bottiglia di buon vino e un bel
bagno al lago. Saranno stati i pensieri foschi, o forse sarà stato
il vino, ma la Morte per un attimo si dimenticò di un particolare
non del tutto irrilevante: se ti tuffi in un laghetto turchese, è
meglio sapere come stare a galla...
Sciocchi
e frettolosi si dimostreranno tutti coloro che pensano che la Morte
possa davvero finire i suoi giorni così. D'altronde è cosa risaputa
che la Morte (e il Peggio) non muoiono mai! Le cose andranno come
devono andare, ma da questa parte è doveroso che sull'argomento il
silenzio cali.
Al
contrario, è altrettanto doveroso dire almeno un paio di cose su
questo nuovo libro di Matteo Gubellini, che esce dalla sua 'officina'
di Scomodincanti.
La
prima e la più evidente di cui parlare è il tono scanzonato,
picaresco della storia.
L'intero
impianto si regge su un grande equivoco che ruota intorno alla parola
'trionfo'. Nell'immaginario e nel senso comune il trionfo è sinonimo
di vittoria schiacciante. E quello della Morte, in particolare, allude alla sua
inevitabile supremazia nei confronti di tutto ciò che è vivo. Senza
esclusione di colpi e senza riguardi: e sotto a chi tocca.
Le
immagini che lo raffigurano sono spesso in collegamento con i Giudizi
Universali, sulle grandi pareti affrescate, le controfacciate delle
chiese del Medioevo (così quando esci dopo la funzione religiosa, te
ne vai con questo bel memento mori
negli occhi...).
La
Morte, ritratta spesso a cavallo, ma sempre scheletrica con il suo
mantello e il suo cappuccio e l'immancabile falce, diventa di grande
attualità alla metà del Trecento, dopo la Peste nera del 1348, per
ovvie ragioni. In questi affreschi o tele sono tre le costanti: un
grande parapiglia brulicante di persone su cui la Morte e i suoi
soldati trionfano, un evidente interclassismo delle vittime e un
diffuso gusto per il macabro, il comico e il grottesco.
Matteo
Gubellini a questo sapore irriverente non rinuncia, giustamente, e si
allinea anche nei toni del testo che sono quelli dell'oralità, del
'cunto'. Circostanza questa che rende questa storia 'perfetta' per
essere letta - o meglio recitata - a voce alta. Una collana di
piccole parole/perla sono sparse qui e là con sapienza e arguzia.
Dalla
tradizione arriva anche l'iconografia della Morte, a cavallo, secca
secca, con un bel teschio sul collo, il mantello e la falce
d'ordinanza.
Ma
anche in questo caso, Gubellini non può fare a meno di aggiungere
una serie di dettagli comici e grotteschi, che chi vuole se li trova.
I
personaggi, tanto i soldati dell'esercito, quanto i sudditi di Re
Crudo, brulicano in modo scomposto sulle rive del lago e in città al
comparire della Morte, e ricordano parecchio i loro omologhi dipinti
da Brugel, ma anche quelli un po' raffazzonati che Enrico Maria
Salerno, con lo sguardo profetico, invitava a transitare in fila
longobarda sullo cavalcone.
Matteo
Gubellini è però Matteo Gubellini quindi non può per questo
rinunciare all'altra sua cifra, quella metafisica, e così
colloca tutta questa varia umanità entro scenari che, se svuotati
del movimento, restituiscono volumi puri per le architetture, non
importa se disseminate nelle morbide colline, o in città. Non è
forse questo un altro modo di tenersi legato a quel 'luminoso'
Medioevo, ovvero alla pittura dei maestri, di Piero in particolare?
Detto
tutto questo, resta un fatto incontrovertibile: Matteo Gubellini ha
sempre qualcosa da raccontare e qui lo fa divertendosi, forse anche
più del solito.
E
noi, con lui.
Carla
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