mercoledì 26 settembre 2018

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

L’ODORE DEL FERRO


Non è proprio recentissimo, ma forse proprio per questo mi piace ripescarlo fra le belle uscite editoriali di quest’anno: sto parlando di ‘La prima cosa fu l’odore del ferro’, racconto scritto e illustrato da Sonia Maria Luce Possentini, che Rrose Selavy pubblica con una introduzione di Maurizio Landini.
Racconta i tre anni che l’autrice ha passato lavorando in una fonderia nell’Emilia fra pianura e Appennino; esperienza che non ci si aspetterebbe nella biografia di una delle più brave e premiate illustratrici italiane. Ma per necessità e per curiosità, ha dovuto imparare la dura realtà della fabbrica, i suoi ritmi totalizzanti, entrare e uscire col buio; gli odori, quello del ferro su tutto, che si stampa sulla pelle e impregna ogni oggetto della fabbrica; la solidarietà e la distanza dagli altri operai, tutti maschi, la vita comune e l’alterità.


Tre anni sono lunghi, se son fatti di buio e di fatica, di odori persistenti e di ritmi sempre uguali, senza comprendere se quella è proprio la strada giusta.
La nonna, la persona che maggiormente la comprende, le dice che bisogna saper fare tutto e imparare da ogni esperienza, essere pronti ai casi della vita e lo dice a ragion veduta, lei che ha visto due guerre, momenti buoni e momenti tragici. Imparare a fare tutto, anche quello che non piace, anche quello che non appartiene al futuro, come suggeriscono i sogni e le fantasie che strenuamente resistono.


Poi arriva il messaggero di speranza, un cane nero che gironzola intorno alla fabbrica e che con Sonia instaura subito un rapporto di complicità: lui che si accuccia vicino agli scarponi da lavoro, che si fa abbracciare e alla fine indica la via di una nuova vita.
Cosa mi ha colpito di questo libro: in primo luogo, il racconto onesto, in presa diretta, del lavoro di fabbrica, del lavoro manuale, della sua fatica, dei suoi odori, della sua etica; poche cose uniscono più del lavoro, del lavorare insieme, il condividere ogni giorno la pesantezza materiale e quella del comando, la gerarchia spersonalizzante. E vediamo ogni giorno l’effetto del disperdersi di questa etica del lavoro, del difendersi tutti insieme e del lavorare onestamente.
In secondo luogo, ho trovato efficace la rappresentazione di una scelta di vita non facile: la vita in una fabbrica dal lavoro durissimo non è cosa da ragazze e misurarsi con questo non è poca cosa; misurare le proprie capacità, la propria resistenza, la distanza e la vicinanza con gli altri operai. Cosa si è disposti a fare per sopravvivere, quali prove si è in grado di affrontare senza dimenticare i propri sogni, per quanto ancora vaghi.

 
C’è poi la presenza di questo cane nero, che diventa suo malgrado il grimaldello per cambiare vita, voltare le spalle per sempre al mondo della fabbrica e cominciare una nuova avventura. Bella la sintonia fra i due, entrambi sottoposti al comando, entrambi desiderosi di fuga. In fondo, sono poche le parole dedicate a questo incontro, ma rendono alla perfezione il parlarsi senza parole, il condividere il richiamo del profumo del vento e del guardare lontano.
Questo racconto è materiale incandescente, proprio perché parla di vita vera, di un’esperienza forte ed è reso da immagini in cui domina il grigio, un grigio sporco, con pochi tratti di bruno, che evoca l’ambiente della fabbrica e il suo odore. Immagini nello stile della Possentini, che alludono e descrivono, creano atmosfere che più di tante parole restituiscono l’idea di fatica e di sporco, di sudore e stanchezza, fino al colore, chiaro, che si intravede sul finale.
Proprio perché è un racconto onesto, capace di rara sintesi e del tutto alieno alla retorica, non è pensato per i bambini e le bambine; ma lo userei per raccontare loro, e ai ragazzi e alle ragazze più grandi, un’esperienza di vita che ha molto da insegnare sul lavoro e le sue leggi, sul comando, che significa dover obbedire a una logica e un ritmo estranei. 
C’è un grande bisogno di aderire anche alla realtà e alla sua durezza.


Eleonora

“La prima cosa fu l’odore del ferro”, S.M.L. Possentini, Rrose Selavy 2018


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