QUELLO CHE I BAMBINI NON DOVREBBERO
CONOSCERE
Quello che Sophie Adriansen ci racconta
in ‘Il giorno speciale di Max’ è un episodio realmente accaduto:
si tratta del rastrellamento degli ebrei parigini il 16 luglio del
1942.
Il protagonista è Max, un ragazzino
che proprio il 16 luglio deve compiere otto anni; ha appena ricevuto
in dono un bel pesce rosso, perché è il più bravo della classe e
si aspetta la festa, col clafoutis di ciliegie e i regali che i
genitori e la sorella, nonostante la guerra, sono riusciti a
preparargli.
Max porta una stella gialla cucita
sulla camicia e non gli dispiacerebbe nemmeno, se non fosse per gli
insulti che riceve dai compagni di scuola. E’ del tutto ignaro del
significato delle discriminazioni cui è sottoposto, così come è
impreparato a quella strana avventura che si chiama rastrellamento.
L’autrice ci mostra i diversi
passaggi, che dal rastrellamento portano ai campi di concentramento,
attraverso gli occhi ingenui di un bambino, che mai, nel corso del
racconto, coglie appieno il significato di quello che sta accadendo.
Lui è preoccupato per il suo pesce rosso, che ha lasciato a casa,
quando l’ha dovuta abbandonare in tutta fretta.
La vita nei campi di raccolta è dura,
bisogna fare la fila anche per andare in bagno; ed è durante una di
queste file che Max viene attirato da un pesciolino argentato che si
muove vicino al muro; a tirare il filo che fa muovere il pesciolino
di carta è un uomo che, appena Max si avvicina incuriosito, lo
prende e lo carica in una macchina dove ci sono degli sconosciuti. Un
rapimento? No, un salvataggio. Max arriva in una casa di campagna,
dove ci sono altri bambini; cambia nome, impara a nascondere la
propria identità.
Qui, finalmente, avrà la sua festa,
con il clafoutis di ciliegie e un nuovo pesciolino da allevare. Qui
aspetterà, invano, di poter riabbracciare i genitori e la sorella.
Sophie Adriansen ha scritto questa
storia partendo da un episodio raccontatole da una conoscente, che
era riuscita a sfuggire al rastrellamento del Velodromo, il primo
luogo in cui le persone sono state raccolte, insieme a i figli. E’
tutto vero: il 16 luglio del ‘42 13.152 ebrei, di cui 4.115
bambini, sono stati presi dalle loro case e rinchiusi nel Velodromo.
Vengono poi portati in campi di concentramento in Francia e poi
deportati in Germania. Di quei 13.152 ebrei sono sopravvissuti in un
centinaio, nessun bambino.
E’ altrettanto vero che in Francia la
resistenza aveva costruito una rete di famiglie che nascondevano
famiglie ebree.
Dunque, anche in questa piccola storia,
riconosciamo i sommersi e i salvati, i giusti e i carnefici e
soprattutto gli indifferenti.
Tutto questo, successo in fondo pochi
decenni fa, è potuto accadere anche perché in pochi si sono opposti
a quello che è stato il più grande sterminio di massa nella storia
recente.
La storia di Max ci racconta tutto
questo con l’ingenuità di un bambino che non comprende, non può e
non dovrebbe mai succedere che possa farlo, quello che accade, cosa
gli sta capitando e ci restituisce, in questo modo, tutta l’inumanità
che quel genocidio, e tutti gli altri, rappresenta.
Le bambine e i bambini non dovrebbero
mai sapere cos’è un genocidio, la discriminazione, l’abuso, la
costrizione in campi di detenzione o di concentramento.
Ma siamo circondati anche oggi da
esempi di infanzia violata: i bambini nei campi profughi, sui
barconi, nelle guerre, nei campi di detenzione a breve distanza da
noi.
Anche noi siamo malati di indifferenza?
Eleonora
“Il giorno speciale di Max”, S.
Adriansen, ill. di I. Zanellato, De Agostini 2020
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