La casa che un
tempo, Julie Fogliano, Lane Smith,
(trad. Chiara Carminati)
Rizzoli 2019
ILLUSTRATI PER PICCOLI
(dai 5 anni)
"In cima alla
collina
c'è la casa
che pende sbilenca.
La casa che un tempo
non era screpolata
così.
La casa che un tempo
era invece dipinta
di blu."
Due bambini si
affacciano su un sentiero in salita che porta alla casa che casa non
è più. E arrivati lassù trovano una porta sospesa e una finestra
rotta. Che fare? Entrare. Sottovoce e in punta di piedi la esplorano
e si interrogano sulla mancanza, sul silenzio che è arrivato dopo il
rumore di chi la ha abitata. Ma la grande domanda è appunto: quegli
oggetti continuano a parlare e allora chi ha vissuto tra queste mura,
chi si è guardato in quello specchio, o dormito in quel letto, o
riposato su quella sedia?
Vanno in direzioni
diverse i pensieri di quei bambini: forse un capitano o forse una
pittrice o forse gli abitanti sono solo smarriti in cerca delle
chiavi perse?
La casa rimane lì e
sembra voler aspettare o più semplicemente testimoniare. Magari è
anche contenta di poter ospitare il bosco che ha intorno e che piano
piano entra dal tetto.
Le domande restano
domande, il garbuglio di rovi , che allude a Rosaspina senza troppi
sotterfugi, viene riattraversato e al di là della pagina e al di là
del bosco c'è una casa e - ancora una volta - c'è una cena che li
aspetta.
Julie Fogliano non va
mai ignorata.
Per tre ordini di
motivi: ha spesso cose belle da raccontare, come capita ai poeti,
prende velocità e direzioni differenti, come capita ai poeti, e la
sua voce sale sempre fuori dal coro, come capita ai poeti.
E come se non bastasse,
in questo preciso libro viaggiano con lei due altri grandi talenti:
quello di Chiara Carminati, alla traduzione, che fa suonare la lingua
con parole come un silenzio che scricchiola o una porta
sospesa tra l'andare e il venire,
e quello di Lane
Smith, illustratore gigante.
Julie Fogliano negli
Usa (e anche altrove, a giudicare dalle molte lingue in cui sono
tradotti i suoi libri) è un'autrice molto amata e molto stimata.
In Italia, finora, non
pare essere per tutti.
Forse perché è
poesia? E si sa, la poesia è una roba da iniziati.
Forse perché la sua
non è velocità ma lentezza? E si sa, chi è lento resta indietro.
Forse perché si occupa
di piccolezze, come un seme che non cresce, o una balena che non passa, o una casa un po' sbilenca e rotta? E si sa, cose così son
senza importanza.
Che dire? Il peggio è
per chi la ignora.
Intorno a due perni
tutto ruota: una casa e l'assenza, il non essere (di dickinsoniana
memoria).
Si tratta di una casa
che non è più una casa, ovvero è avvenuto quel lieve passaggio
fondamentale che l'ha resa diversa da prima. Continua a essere una
house, seppure sbilenca, ma non è più home di
qualcuno, a parte la famiglia dell'onnipresente uccellino di Lane Smith.
Linguisticamente, tale
differenza esiste e resiste anche nel tedesco, ancor più
precisamente che nell'inglese, e si percepisce nella distinzione tra
Haus e Zuhause (in
italiano suonerebbe qualcosa come 'Casa' e 'a casa') e che il
traduttore dell'edizione Sauerländer non si è lasciato sfuggire,
tradendo il titolo originale, ma restituendo il senso originale della
questione.
Una
casa può esistere anche 'in assenza' di abitanti. Ma un 'a casa' non
può esistere 'in assenza' di persone.
Julie
Fogliano ha ancora una volta fatto centro.
Parte
da un piccolo punto per poi ampliare l'orizzonte e rendere universale
il valore del suo discorso.
Si
era partiti da un seme, si era partiti da un desiderio di bambino, e
si era finiti a parlare del senso della cura, dell'attesa, della
tenacia, dell'impegno, della speranza. E oggi qui si parte da una
vecchia casa di legno abbandonata che, sebbene formalmente sia un
contenitore senza funzione, diventa agli occhi di quei bambini che la
esplorano uno scrigno pieno di cose preziose che hanno il merito di
suscitare curiosità, immaginazione e riflessioni su cosa faccia di
un edificio una casa. Domanda imprescindibile per l'umanità intera,
comparabile all'interrogativo: che cosa fa di un corpo umano una
persona?
Per
mettere nelle mani di chi legga questo libro un temone del genere
senza dare la sensazione si tratti di un macigno insormontabile, la
poetessa Julie Fogliano fa la poetessa e costruisce, alleggerendo,
stemperando, mischiando. E si prende il suo tempo.
E
con lei, Lane Smith. Entrambi riempiono di aria 'la casa
che (era) un tempo' e danno
corpo e concretezza visiva all'immaginario. E lo fanno in perfetta
armonia e accordo di toni. Lane Smith smaterializza ciò che nella
storia è concreto e dà spessore e colore a ciò che è solo
immaginazione.
Le due tecniche affiancate sono lì a dimostrarlo.
Tutto
questo conferisce una bella profondità di ragionamento.
Fogliano
con una sequenza di oggetti e domande che prendono mille direzioni
diverse, e con un finale che, oltre a rendere un omaggio alla cena
calda per antonomasia preparata per Max nel 1963 da Sendak, conferma
questo scenario come il più condivisibile, nell'immaginario
collettivo, per rendere l'idea di Home, Zuhause, a casa.
Lane
Smith, da un lato, costruisce con frammenti (che arrivano anche dalla
sua infanzia?) un collage di elementi diversi e dall'altro colora con
la sua tecnica specialissima in cui mischia e stratifica l'acrilico
o il gesso al colore a olio. La precisione è affidata al pennino. E
nella composizione finale tutto viene rielaborato al computer.
Il
risultato è il medesimo: rarefazione, trasparenza, profondità di
ciò che è vero e corposità di ciò che è solo immaginato. Tutto,
attraverso un processo lento e accurato e talvolta imprevedibile.
Carla
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