TROMPE-L'OEIL
Ti aspettavo da
tanto, Olivier Tallec (trad. Maria Pia Secciani)
Edizioni Clichy 2019
ILLUSTRATI PER PICCOLI
(dai 4 anni)
"È da così
tanto tempo che ne chiedo uno, che quando l'ho visto non potevo
credere ai miei occhi, mi sono avvicinato e il mio cuore ha iniziato
a battere forte forte.
Mi è sembrato
talmente carino con i suoi occhioni lucidi.
Ora dobbiamo
abituarci l'uno all'altro, è così che funziona con i nuovi amici."
E'
Natale e sullo sfondo di un salotto giallo con poltrona rossa un
bambino e un cane si incontrano. Quel cane è il regalo di Natale
appena ricevuto da quel bambino che, con gli occhi sgranati, in
pigiama lo guarda incredulo. Da qui si potrebbe dedurre che il cuore
che batte forte forte sia quello del bambino. E forse lo è anche. I
due che si sono appena incontrati devono fare conoscenza reciproca e
così avviene.
Giocano nel salotto, passeggiano insieme al parco e un
guinzaglio li tiene uniti. Finita la vacanza, durante le giornate
normali però le loro esistenze si separano: uno rimane a casa e
l'altro fugge via. Ma poi torna il tempo libero per entrambi e lo
passano di nuovo assieme al mare, o sul divano a guardare la tele o
in un prato a tirarsi un bastone. Su come trascorrere la notte ci
sono divergenze di vedute e anche a tavola hanno gusti diversi...
Il
tempo passa così: questi due, anche se non si sono scelti,
continuano a essere i migliori amici del mondo.
Anche se sul divano
adesso stanno un po' più stretti.
Tallec
ama giocare sottile. E Tallec è da amare per questo.
Ti aspettavo da
tanto è costruito su un grande
equivoco di fondo, su una palpabile ambiguità, su un gioco non
dichiarato. La voce narrante che pare ad evidenza quella del bambino,
il quale ha appena ricevuto un cane per Natale (tutti i bambini ne
dovrebbero ricevere uno prima o poi) lentamente rilascia nel lettore
una sensazione di insicurezza e
di disorientamento.
Un po' come succede con l'eco che risponde dalla
montagna, o quando al cinema sentiamo il rombo degli elicotteri
dietro la testa, pur avendoli davanti agli occhi sullo schermo o
quando vediamo un trompe-l'oeil su un quadro o in una architettura: i
nostri sensi mandano segnali discordanti e il nostro cervello si
confonde e si disorienta, e in quello stesso istante tempo accende
tutti i recettori con l'intento di ristabilire chiarezza e
orientamento.
Questo
libro funziona così: accende l'attenzione, lavora sul piccolo
dettaglio nel disegno e il doppio senso,l'ambiguità nel testo.
E per
un certo numero di pagine il dubbio resta.
Si
svela con maggiore chiarezza solo quando i due sono seduti sul
divano.
Un
lettore adulto e smaliziato, in verità, fin dalla copertina così ambivalente,
si fa venire un dubbio su chi effettivamente aspetti chi. Un lettore bambino,
che smaliziato non dovrebbe essere, abbocca e Tallec lo aspetta e lo invita sulla pagina a
giocare con lui a una sorta di nascondino della verità, pur
lasciando sempre un angolino di essa in vista, pronta a essere
smascherata.
Proviamo
a vedere quali sono alcuni di questi snodi dal punto di vista del
disegno. Si tratta di piccoli dettagli che però sono per l'appunto
rivelatori.
In
primo luogo la copertina dove lo sguardo dei due protagonisti è
perfettamente simmetrico nell'essere all'erta. Come a dire: attento
che potresti fraintendere... E quella palla, testimone muta e forse oggetto del contendere.
La
pagina dei passanti in città in cui non è ancora chiaro chi deve
scegliere chi. E' il bambino che avrebbe voluto scegliersi il proprio
cane o viceversa?
La
scena dei bambini con i cani al guinzaglio è di nuovo ambigua (e lo
è solo in un caso, ovvero quello dei due protagonisti) perché solo
tra quei due non è chiaro chi porti chi, grazie a
quell'impercettibile vezzo del guinzaglio pendulo.
E
non è tutto. Il rapporto interno tra immagine e testo - quello che
Sophie Van der Linden chiama correttamente 'gioco' ed è da
intendersi come spazio vuoto tra due oggetti (la parola e l'immagine) che ne permetta il
movimento autonomo e anche reciproco - è la chiave di buona riuscita
di un albo illustrato. Tallec in Ti aspettavo da tanto di
questo 'gioco', ovvero questo spazio vuoto di interpretazione, lo
esalta e lo fa diventare spina dorsale dell'intera storia.
Lo
stesso formato del libro 'alla tedesca' ovvero incernierato su un
dorso orizzontale ma largo come un formato più consueto
'all'italiana' trova una sua giustificazione nell'esigenza di non
tagliare mai l'illustrazione orizzontale e di tenerla rigorosamente
separata dal testo, come a voler accentuare la distanza necessaria perché si crei un'eco del dialogo delle
due parti, quella visuale e quella testuale.
Quando
si dice saper dominare il mezzo...
Spero
sia chiaro a chiunque che tutto questo contribuisce a dare sostanza e
spessore alla storia raccontata da Tallec.
Si potrebbe sintetizzarla
così: tra cani e bambini la reciprocità di rapporto è circostanza
evidente e, aggiungerei, naturale. E se malauguratamente non dovesse
esserlo, dipenderà solo da un'invasione di campo da parte degli
adulti. E spero sia altrettanto chiaro a chiunque che in questa bella
storia di reciprocità e ambivalenza, Tallec i grandi non a caso li ha relegati
ai bordi del campo.
Carla
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