RACCONTARE STORIE PER DOMANI
#Logosedizioni 2023
NARRATIVA ILLUSTRATA PER GRANDI (dagli 11 anni)
"Non preoccuparti, disse una voce nella sua testa.
Fu allora che vide una piccola ombra staccarsi dalla collina e coprire per un attimo il fuoco. Poi l'ombra avanzò lungo il viale e a un certo punto si fermò, come se volesse lasciare tra sé e Barra Tre uno spazio abbastanza ampio per battere in ritirata.
Allora, disse la voce nella sua testa, mi presento, io sono Caliban, e no, non sono una cosa da mangiare. Sono un cane, e anche se tu non sai che cos'è un cane, e ci sono certamente dei cani terribili, e c'è anche chi i cani se li mangia, io non voglio farti niente di male e tu non ne farai a me. Adesso avvicinati al fuoco che ti presento gli altri."
Barra Tre, questo è il diminutivo del suo nome completo che è CSU 956.072/3, ossia l'acronimo di Corpo Sostitutivo Umano, è sopravvissuto al veleno che doveva eliminare lui (o lei) e molti altri CSU buttati nella Grande Vasca. Relitti, ormai erano inservibili, che erano stati 'spenti' dalla fabbrica che li aveva progettati e poi costruiti.
Barra Tre non soccombe come gli altri e la mattina successiva, sempre sotto una pioggia incessante, si alza in piedi e, con le poche forze che ha, si fa guidare dalla voce che sente nella testa, quella di un cane, Caliban, telepatico. Cane vecchio e un po' sciancato che lo conduce dagli altri che con lui vivono sulle colline del Cimitero delle Macchine. Ad aspettare Caliban ci sono infatti Je Rin, un vecchio clochard dalla lunga barba bianca e dall'incedere regale, nonostante sia vestito di stracci, in quel preciso momento occupato ai fornelli, e AP, un robot dalla forma di grande uovo metallico che fluttua a mezza altezza, smagliante nella conoscenza e nel pensiero, nonostante sia ormai molto scrostata la sua originaria verniciatura rossa.
Loro tre formano già un piccolo nucleo, una Compagnia Miracolosa, cui Barra Tre si aggiunge, felice di riempirsi un po' la pancia e soprattutto di non sentirsi più solo (o sola) per quel poco che gli resta da vivere.
Questa è la loro storia. Questo è il loro viaggio, un paio di mesi dell'anno 2520, attraverso luoghi del pianeta, ormai quasi irriconoscibili se non per piccole tracce che affiorano qui e lì nella memoria di chi racconta e di chi legge.
Il valore profetico - e quindi in qualche modo salvifico - di questa parabola ti aggancia e non ti molla fino alla fine.
Un lungo racconto illustrato, o un breve romanzo, che mette insieme una sequenza di belle idee che, attraverso una altrettanto bella scrittura per parole e immagini, costruisce uno scenario complesso e articolato, che implica un bel po' di ragionamenti.
Su tutto questo però si impone un ulteriore elemento, particolarmente interessante.
Esiste, fin dalla prima pagina, un doppio valore della narrazioni, sia iconica sia testuale: da una parte si tratta di pura letteratura, pura finzione, ma dall'altra il lettore è messo di fronte a una riflessione antropologica alla quale non può sottrarsi. Toccando corde profonde, aggiunge in chi legge e in chi guarda inquietudine alla propria inquietudine.
Guai se non fosse così. Tuttavia, nello stesso tempo, tanto le immagini quanto il testo hanno la capacità di rischiarare possibili percorsi per uscirne incolumi.
Le buone storie lo fanno!
La scrittura di Meschiari - che qui ancora una volta mette in campo le sue competenze professionali insieme a quelle più creative - fa una continua operazione di connessione tra il racconto in sé e il senso profondo di cui è intriso.
All'unisono si muove Olmos, che non perde occasione di raccontare la finzione attraverso una realtà potenziata, ma riconoscibile in tutto e per tutto.
Per poi chiudere con una tavola finale che si lascia indietro tutto il disastro fatto di macerie fin lì per offrire uno scenario di una Terra tutta nuova: luminosa, primordiale.
Lo si può definire dunque parabola, fiaba, racconto epico, ma si lo si potrebbe chiamare anche e soprattutto mito: Kosmos ha la capacità di 'far vedere' le cose, senza per questo mai cadere nella didascalia. Il processo di passaggio da un'apocalisse a una genesi, da una fine a una nuova nascita, è palpabile.
E qui entrano in gioco ancora una volta l'antropologia di Meschiari e l'arte di Olmos.
Da antropologo e narratore di storie, Meschiari riesce a mantenere quella necessaria lucidità di pensiero che fa diventare il suo racconto qualcosa che va ben oltre la pura distopia. Lo trasforma davvero in una narrazione che con il mito condivide chiarezza e luminosità.
Da artista, Olmos dà forma a un immaginario che inquieta per quanto reale appare. E lo fa, nonostante le distorsioni. Per poi sciogliersi invece dentro uno scenario primigenio, che è aria pura.
Mi pare di aver letto in una intervista a Meschiari che questa sua scelta di riflettere in chiave antropologica attraverso la letteratura di invenzione sia una sua modalità per indirizzare il pensiero scientifico verso una dimensione dichiaratamente immaginativa. Questo gli permette di raggiungere il suo obiettivo primario, ovvero l'esplorazione di ciò che è ancora ignoto. Ma mette in pratica anche il suo contrario, ovvero Meschiari è capace di permeare la letteratura di riflessioni antropologiche per dare ai suoi lettori una possibile chiave di lettura del mondo e del modo di starci dentro.
Ed è forse in questa prospettiva che la lettura di Kosmos diventa strumento nelle mani di un lettore. Lettori di oggi, ma forse ancora di più di domani, visto il nome dato alla collana: La capsula del tempo.
Da una parte, le grandi questioni quali la terra come matrice comune, l'importanza dell'altro da noi, la necessità del mutuo soccorso, l'affermazione della propria identità, la lotta contro l'ingiustizia e la prevaricazione, il potere e le sue nefandezze, l'amicizia, l'affetto, la perdita e il suo superamento, la memoria... e potrei continuare. Tutte queste cose sono lì sulla pagina, intrecciate in un racconto che sa essere anche avventuroso e al tempo stesso sottilmente ironico.
Dall'altra parte irrompe l'immaginario di Roger Olmos che ha il potere di rendere su quella stessa pagina tutto drammaticamente visibile e indelebile.
Carla
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