mercoledì 5 giugno 2024

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)

GUARIRE È UN PO’ SPARIRE 

Uno degli aspetti più interessanti della letteratura per l’infanzia è il fatto che essa sia rivolta a interlocutori diversi. Affacciati alle pagine non ci sono soltanto il grande e il bambino, ma anche: nel grande il bambino che è stato, e nel piccolo, l’adulto che diverrà. 
Di conseguenza, è possibile intravedere non solo una visione d’infanzia, ma anche una di adultità. In casi fortunati, istanze e interrogativi trasversalmente potenti. Pur narrando lo stesso accadimento, - una caduta, un’escoriazione, sangue, conseguenze varie - Io e Pepper e La ferita mostrano come sia possibile stabilire diversi gradi di coinvolgimento. 


La storia di Io e Pepper è presto detta: una bambina cade e si sbuccia il ginocchio. Al sangue fa seguito il cerotto, al cerotto una orrenda crosta. Alla crosta, l’attesa. 
"Quando si staccherà?" domanda la bambina.
"Tra qualche giorno" risponde la mamma. 
 La bambina affronta il misterioso tempo della guarigione stabilendo una relazione con l’entità che le è cresciuta addosso e che sembra non avere intenzione di staccarsi. Con un atteggiamento da perfetta filosofa, esplicitato da posture ribaltate e sbilenche, indaga la propria condizione: da un nome alla crosta (Pepper) la interroga, ci conversa con crescente confidenza. 

 

La caduta, la ferita e la guarigione sono gli accadimenti che vengono utilizzati per rendere tangibile lo sbigottimento della perdita di identità che ogni cambiamento comporta, andando a sfiorare per estrema estensione anche il tema del lutto. Tuttavia è nello scorrere del tempo che avviene la misurazione di questa sconcertante esperienza: nella ripetizione dei giorni e dei gesti, nei margini che rimpiccioliscono, nel riassorbimento che lascia spazio alla pelle nuova. Questo è il racconto della preoccupazione anche angosciosa che provocano le cose che cambiano, con tutto quel cascame di domande che non possono essere evase per sola forza di volontà, quasi a riecheggiare le raccomandazioni di Rilke al giovane poeta: “Lei è così giovane, così fresco di ogni inizio (…) vorrei pregarla di aver pazienza per quel che di irrisolto vi è nel suo cuore, e di cercare di aver care le domande stesse…” 
Serve tempo, dunque. Ma intanto? 
Un bel mattino Pepper scompare. Ma contrariamente a quanto la protagonista aveva sperato, non basta che la crosta caschi perché tutto torni come prima, perché nulla torna mai esattamente come prima. 
L’assenza della crosta diviene una nuova dimensione della ferita, una nuova apertura che necessita a sua volta di altro tempo e altra attesa per schiudersi in altra esperienza, ancora e ancora. Così è la vita. 
La bambina ritrova la crosta caduta tra le lenzuola, la deposita tra i papaveri, e rimane ad osservare quello che è rimasto: una cicatrice bianca, un segno per ricordare quello che è stato. 


La bellezza di questo albo, oltre che nelle illustrazioni illuminate, sta tutta nell’altezza delle domande e nella raffinatezza che Alemagna ha di rimanere costantemente disponibile a più livelli di lettura, con una cura che esprime sì l’idea di infanzia dell’autrice, ma anche una precisa idea di adulto che già era stata delineata in Cos’è un bambino? 
Ricordate? Certi bambini decidono che non cresceranno mai e si faranno portatori sani, nel mondo dei grandi, di quell’atteggiamento stuporoso e interrogante che è proprio dell’infanzia e che nella poetica di Alemagna diventa una modalità di relazione con l’esistenza. 



 Con La ferita siamo in un altro mondo. 



Tutto accade durante la pausa in cortile: il protagonista cade e si fa male. Dalla sua posizione supina con gli occhi affondati nel cielo ecco che succede una meraviglia: tutti accorrono: “Sono venuti quelli di prima, sono venuti quelli di seconda, sono venuti alcuni della materna e anche Niklas di quarta. Sono venuti quelli del coro, è venuta Anna alta di terza…”, anche un piccione arriva per l’occasione. 


Il sangue che prorompe dalla ferita non è tanto, tuttavia sembra moltiplicarsi e punteggiare all’infinito le pagine altrimenti grigie di una normale giornata di scuola: quello squarcio, proprio sul suo ginocchio sembra avere il potere di dar senso a tutte le attività della giornata e dei giorni a venire. Oggetto di una tale popolarità, il protagonista si ritrova ben presto a fare i conti con un dilemma di spaventosa cogenza: che ne sarà di lui quando la ferita guarirà? Quando il sangue si asciugherà e ognuno tornerà alle proprie occupazioni? 
L’albo mantiene per tutto il suo corso un linguaggio intonato all’età a cui è rivolto, affidando il racconto della guarigione a quella eccitazione minuta che correda la prima esperienza di ogni cosa, che non è faccenda privata, ma un vissuto di comunità. Vengono mostrati gli ambienti scolastici, le attività tipiche di una classe elementare, i cerotti, i disegni, i colori che finiscono, le imbranataggini degli insegnanti. 
Tuttavia, sotto queste mentite spoglie AdBåge scoperchia il malconfessato desiderio (o bisogno) di voler essere al centro dell’attenzione; un sentimento agrodolce che viene denudato delicatamente e che sembra essere anche un banco di prova offerto al lettore adulto, quasi a volerlo sfidare. 
Se in Io e Pepper il nodo era lasciare andare l’esperienza, in La ferita si tratta piuttosto di rinunciare alla condizione di visibilità che la ferita, con il suo marchio di eccezionalità, dischiude, e richiede ai grandi di sostare sul sottile confine del pudore. 
Adbåge mostra una visione d’infanzia reale, quotidiana, forse anche un po’ sgraziata ma non per questo meno piena, libera e indipendente, e ha la grinta di non risparmiare agli adulti l’occasione di una riflessione coraggiosa. Se infatti può essere semplice riconoscere come infantile il piacere di avere tutte le attenzioni su di sé, quanto è più impegnativo riconoscere come proprio quello strisciante piacere di distinguersi attraverso il racconto dei propri malanni? Quanto coraggio ci vuole per lasciar risuonare quegli interrogativi che scaturiscono attorno al languore di essere visti in quanto feriti? Soprattutto cosa significa esattamente accettare di guarire, se farlo significa anche un po’ sparire? 



Giorgia

"Io e Pepper", Beatrice Alemagna, Topipittori 2023 
"Che cos’è un bambino?", Beatrice Alemagna, Topipittori 2008 
"La ferita", Emma AdBåge (trad. S. K. Milton Knowles), Camelozampa 2024 
“Lettere ad un giovane poeta”, Rainer Maria Rilke (trad. Silvia Albesano), Il Saggiatore 2021 

Nessun commento:

Posta un commento