SCESI IN INVERNO MA SENZA CAPPOTTO
Qui ci sono le
altalene, Monica Morini, Eva Sánchez Gómez
Edizioni Corsare 2018
ILLUSTRATI
Ascolta
apri gli occhi
qui
proprio qui
dove ci sono gli
scivoli
dove i denti cadono
e poi ricrescono
dove ci sono le
parole
i numeri da contare
i castelli di sabbia
da fare....
Dopo i castelli, qui si
può nuotare con o senza braccioli, si può andare in altalena. Si
possono dare i baci, correre in bicicletta, suonare il pianoforte,
ululare e cantare, scovare pesci d'argento, illuminare tutto con una
torcia grande. Qui. E poi quando si cresce ci si può innamorare e
anche divorziare, mettere su famiglia e non aver paura.
Ecco: non aver paura.
Questa è la cosa che si dovrebbe fare se si decide di restare...
Perché il consiglio è
proprio questo: non mollare e tenersi attaccati a un orlo di vita e
piano piano venire, o tornare, a galla. Venire, tornare, qui.
Ha la forma della
poesia, ma può diventare quasi una ninna nanna Qui ci sono le
altalene. Se sussurrata, può addormentare i bambini e le bambine
fin dal primo giorno che tornano a casa dopo il parto. Le parole che
contiene sono una bella promessa di tutto quello che potrà venire.
In verità però
questa poesia con una musica dentro e sotto non è nata per
addormentare. Al contrario è nata per svegliare, per solleticare chi
è in cammino ed ha ancora strada da fare e fa fatica a venirci
incontro.
Questa poesia è stata
pensata per tutti i piccoli prematuri che del mondo non hanno provato
ancora nulla, perché sono lì un po' sospesi, tra il qui e il là.
Loro davvero sono su
un'altalena che però non li fa volare al vento, ma li tiene chiusi
dentro scatole trasparenti. La loro precaria posizione non trova
sicurezza nelle corde o nelle catenelle, ma è legata a tubicini e a
macchine complesse.
E loro sono lì che si
dondolano avanti e indietro. Tocca a chi è qui, di tendergli una
mano, di fargli venir voglia di vedere cosa c'è di bello che li
aspetta.
Qualcuno deve spingerli
verso l'energia.
Accanto a Monica
Morini, lo fa con forza Eva Sánchez Gómez che
conquista, pagina dopo pagina, lo spazio e la spinta. Sceglie come
baluardo della forza vitale, una ragazzina, preceduta da un uccellino, quella stessa bambinetta che si vede
disegnare al principio del libro, e che pedala, salta e poi si tuffa e quindi
prende commiato da una tribù di bambini indiani, che richiamano gli 'sperduti' di Barrie, incamminandosi da sola verso l'uscita
dalla pagina.
Questo libro tocca
corde profonde, profondissime.
Le corde del nascere e del morire. Del
farcela e del soccombere. Ed è per questo che, nonostante Monica
Morini l'abbia concepita per un momento chiave della vita di alcuni: venire al
mondo prima del tempo, a me pare di cogliere un'universalità che tocca anche altre
questioni.
Se si potessero avere
pagine infinite per elencare tutte le ragioni che possono esistere
per decidere di vivere, questa 'ballata' la si potrebbe cantare non
solo ai bambini prematuri, ma a tutti coloro che sono in equilibrio
tra un qui e un là. Solo per dirgli, non mollare, resta ancora un
po'.
Ma questa è solo una
mia personalissima lettura.
Ho imparato dai miei
maestri che raccontare l'infanzia è mestiere duro e pieno di
insidie. In primo luogo perché a farlo sono persone che bambini non
sono più. E per questo motivo che, ogni volta che l'infanzia è al
centro del racconto, allerto i recettori in cerca di trappole. Sempre
dai soliti maestri ho imparato che due buoni sistemi per dare la
patente di buon racconto di infanzia stanno nell'individuazione di
certa 'ruvidezza' oppure in quello che Bachelard ha definito rêverie.
Per tornare a Qui ci
sono le altalene, per ovvi motivi, escluderei ogni ruvidezza, ma
la rêverie mi pare di sentirla e insieme mi pare ci sia una
spinta emotiva onesta. A tal punto autentica, che
Monica Morini sente la necessità di raccontare in dettaglio, in
poche righe alla fine del libro, il suo lavoro creativo: per mettere
in fila le parole giuste, è andata a chiederle ai bambini stessi e
loro le hanno inanellato un certo numero di cose che dalla loro
prospettiva meritano di essere vissute. A queste, presumo, ne abbia
aggiunte alcune personali, ricavate dal suo punto di osservazione
adulto. Ha limato qui e là. E la lunga poesia arriva.
Il vero salto però è
stato dedicarla e regalarla a chi è piccolo piccolo, inerme e in
difficoltà.
Per il solo merito di
averlo pensato e fatto, leggendola in un reparto di neonatologia, ha
ricevuto il premio più ambito: l'ha vista funzionare.
Questo testo si è per
incanto trasformato in galleggiante, gettato nelle acque incerte in
cui navigava il piccolo Karim. Lui ha deciso, ha trovato l'energia,
di attaccarcisi, di credere a quelle parole e adesso Karim è fuori
dalla scatola trasparente, si è staccato dai tubicini e aspetta solo
di crescere per andarsene in altalena. Quella vera.
Carla
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