venerdì 25 gennaio 2019

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)


SCESI IN INVERNO MA SENZA CAPPOTTO

Qui ci sono le altalene, Monica Morini, Eva Sánchez Gómez
Edizioni Corsare 2018


ILLUSTRATI

Ascolta
apri gli occhi
qui
proprio qui
dove ci sono gli scivoli
dove i denti cadono e poi ricrescono
dove ci sono le parole
i numeri da contare
i castelli di sabbia da fare....

Dopo i castelli, qui si può nuotare con o senza braccioli, si può andare in altalena. Si possono dare i baci, correre in bicicletta, suonare il pianoforte, ululare e cantare, scovare pesci d'argento, illuminare tutto con una torcia grande. Qui. E poi quando si cresce ci si può innamorare e anche divorziare, mettere su famiglia e non aver paura.
Ecco: non aver paura. Questa è la cosa che si dovrebbe fare se si decide di restare...
Perché il consiglio è proprio questo: non mollare e tenersi attaccati a un orlo di vita e piano piano venire, o tornare, a galla. Venire, tornare, qui.


Ha la forma della poesia, ma può diventare quasi una ninna nanna Qui ci sono le altalene. Se sussurrata, può addormentare i bambini e le bambine fin dal primo giorno che tornano a casa dopo il parto. Le parole che contiene sono una bella promessa di tutto quello che potrà venire.
In verità però questa poesia con una musica dentro e sotto non è nata per addormentare. Al contrario è nata per svegliare, per solleticare chi è in cammino ed ha ancora strada da fare e fa fatica a venirci incontro.
Questa poesia è stata pensata per tutti i piccoli prematuri che del mondo non hanno provato ancora nulla, perché sono lì un po' sospesi, tra il qui e il là.
Loro davvero sono su un'altalena che però non li fa volare al vento, ma li tiene chiusi dentro scatole trasparenti. La loro precaria posizione non trova sicurezza nelle corde o nelle catenelle, ma è legata a tubicini e a macchine complesse.
E loro sono lì che si dondolano avanti e indietro. Tocca a chi è qui, di tendergli una mano, di fargli venir voglia di vedere cosa c'è di bello che li aspetta.
Qualcuno deve spingerli verso l'energia.


Accanto a Monica Morini, lo fa con forza Eva Sánchez Gómez che conquista, pagina dopo pagina, lo spazio e la spinta. Sceglie come baluardo della forza vitale, una ragazzina, preceduta da un uccellino, quella stessa bambinetta che si vede disegnare al principio del libro, e che pedala, salta e poi si tuffa e quindi prende commiato da una tribù di bambini indiani, che richiamano gli 'sperduti' di Barrie, incamminandosi da sola verso l'uscita dalla pagina.
Questo libro tocca corde profonde, profondissime. 



Le corde del nascere e del morire. Del farcela e del soccombere. Ed è per questo che, nonostante Monica Morini l'abbia concepita per un momento chiave della vita di alcuni: venire al mondo prima del tempo, a me pare di cogliere un'universalità che tocca anche altre questioni.
Se si potessero avere pagine infinite per elencare tutte le ragioni che possono esistere per decidere di vivere, questa 'ballata' la si potrebbe cantare non solo ai bambini prematuri, ma a tutti coloro che sono in equilibrio tra un qui e un là. Solo per dirgli, non mollare, resta ancora un po'.
Ma questa è solo una mia personalissima lettura.
Ho imparato dai miei maestri che raccontare l'infanzia è mestiere duro e pieno di insidie. In primo luogo perché a farlo sono persone che bambini non sono più. E per questo motivo che, ogni volta che l'infanzia è al centro del racconto, allerto i recettori in cerca di trappole. Sempre dai soliti maestri ho imparato che due buoni sistemi per dare la patente di buon racconto di infanzia stanno nell'individuazione di certa 'ruvidezza' oppure in quello che Bachelard ha definito rêverie.
Per tornare a Qui ci sono le altalene, per ovvi motivi, escluderei ogni ruvidezza, ma la rêverie mi pare di sentirla e insieme mi pare ci sia una spinta emotiva onesta. A tal punto autentica, che Monica Morini sente la necessità di raccontare in dettaglio, in poche righe alla fine del libro, il suo lavoro creativo: per mettere in fila le parole giuste, è andata a chiederle ai bambini stessi e loro le hanno inanellato un certo numero di cose che dalla loro prospettiva meritano di essere vissute. A queste, presumo, ne abbia aggiunte alcune personali, ricavate dal suo punto di osservazione adulto. Ha limato qui e là. E la lunga poesia arriva. 


Il vero salto però è stato dedicarla e regalarla a chi è piccolo piccolo, inerme e in difficoltà.
Per il solo merito di averlo pensato e fatto, leggendola in un reparto di neonatologia, ha ricevuto il premio più ambito: l'ha vista funzionare. 
Questo testo si è per incanto trasformato in galleggiante, gettato nelle acque incerte in cui navigava il piccolo Karim. Lui ha deciso, ha trovato l'energia, di attaccarcisi, di credere a quelle parole e adesso Karim è fuori dalla scatola trasparente, si è staccato dai tubicini e aspetta solo di crescere per andarsene in altalena. Quella vera.

Carla

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