Emily
Dickinson’s Letters to the World,
Jeanette Winter
Frances
Foster Books, 2002
Il
primo libro di cui vi parlo, Letters
to the World, di Jeanette Winter è stato pubblicato negli Stati Uniti nel 2002. E’ disponibile in
un piccolo numero di costosissime copie nuove ed un discreto numero
di copie usate e a buon mercato via Amazon (come tutti i libri che
tratterò, posto che nella mia esperienza l’usato è sempre in
ottime condizioni e consente di ammortizzare in parte il costo di
spedizione).
E’
un libro di piccolo formato, in verità abbastanza ambizioso, poiché
si tratta di una mini-biografia, rivolta ai bambini, della poetessa
Emily Dickinson. Corredato peraltro da una cernita di poesie che al
dunque – rispetto all’insieme del testo - la fanno da padrone.
Mi
piace cominciare da qui per due ragioni. Intanto, perché da noi è
molto raro che si pubblichino biografie per bambini, un genere che
viene forse considerato indigesto o comunque poco appetibile.
Inoltre, perché l’autrice è un esempio abbastanza calzante del
tipo di approccio che, in genere, gli illustratori anglosassoni hanno
al libro per l’infanzia. Parlando della propria formazione,
Jeanette dice “… volevo fare disegni che raccontassero storie…”.
Sembra lapalissiano, ma non lo è. Mettersi al servizio di una storia
significa concepire il segno in funzione della narrazione, prima di
qualunque altra velleità. E’ una dichiarazione d’intenti cha fa
da spartiacque tra un tipo d’illustrazione divulgativa e
didascalica (che pure può benissimo raggiungere un alto livello di
espressione artistica) ed un’illustrazione che aspira ad
affermarsi soprattutto in virtù della propria valenza estetica. La
prima è una forza centrifuga, la seconda è centripeta.
Letters
to the World ha un’altra
caratteristica che lo rende abbastanza inusuale. Comincia con la
raffigurazione di una bara portata da quattro ometti lungo un pendio
erboso, dove una grossa ape ronza noncurante del triste corteo. Ma è
davvero triste? La bara, di legno biondo, è sormontata da un letto
di fiori violacei e scivola lungo il prato sotto la pacifica ala del
sole. Niente nel disegno crea un senso di lacerazione, tutto si
compone in una cornice lieve, con un accento di pacata ritualità. Il
passaggio fisico e metaforico (il corteo, la morte) viene
raffigurato senza enfasi e senza retorica, in una cornice
perfettamente naturale, poiché dominata da elementi di natura. Con
grande semplicità, l’autrice trasmette dunque al bambino il senso
di un evento che si concilia con l’idea stessa di universo, la
fine-non fine di tutti gli esseri viventi. Di cui suggerisce, con
esemplare ed estrema economia di mezzi, l’eterno trasmutarsi degli
uni negli altri. Quale modo migliore d’inoculare l’idea stessa
di poesia? Un lutto - la bara trasporta proprio Emily, che la sorella
piange compostamente, ma soprattutto ricorda, scandendone la memoria
nelle pagine successive – che si combina col mistero del creato.
E grazie alla successione di poesie (21) che di lì a poco il libro
fa affiorare, Emily muore e vive in un tutt’uno, se ne va e
ritorna, perché i versi sono per definizione una genesi, il luogo
dove la lingua ricrea, fertile più che mai. Non so se Jeanette
Winter abbia razionalizzato tutto questo, non credo.
Il suo tratto
naif – ispirato all’arte folklorica messicana – è così
essenziale e colorato da dissipare ogni ombra e da evocare in un modo
delicato, sereno e dopotutto giocoso la personalità di una tra le
voci più limpide della poesia di tutti i tempi. Senza
autocompiacimenti o eccessi di nessun tipo, l’autrice consegna ai
piccoli lettori la chiave per assaporare e comprendere la bellezza
dei versi, che accompagna con immagini vivide e immediate.
Originali, ma mai soverchianti rispetto al testo. Con un senso della
misura che trovo incantevole. Un piccolo prodigio di equilibrio che
si sposa dunque con la grazia di versi indimenticabili, offrendo ai
bambini non una scorciatoia, ma un cammino sicuro e diretto per
arrivare a sondare un’indubbia profondità di senso.
Daniela (Tordi)
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