DI POLLINE NON SA: NON È UNA FARFALLA.
Ultimo venne il
verme, Nicola Cinquetti, Franco Matticchio
Bompiani 2016
NARRATIVA PER MEDI (dai
9 anni)
"L'orso prese
il libro tra le labbra, con cura, come una madre che raccolga un
cucciolo ferito, e lo portò nella sua tana. Era tempo di mettersi in
letargo, e tutto era pronto là dentro, per la lunga dormita.
Quell'inverno l'orso
bruno dormì poco. C'era una fessura che mandava un filo di luce
nella sua grotta e lui passò i giorni a leggere il libro e le notti
ad aspettare il chiarore dell'alba per ricominciare."
Lui,
l'orso, prima non sapeva nemmeno cosa fosse un libro. Vedendolo per
la prima volta, perduto forse da un bambino o da una bambina, con le
pagine che sventolavano con il vento, pensò fosse una farfalla. Non
sapeva di polline, però.
L'incontro,
e questo è cosa certa, tra questo orso e il libro è fatale.
Io,
come l'orso, quando ho incontrato questa farfalla che non sa di
polline, ho fatto come lui: son rimasta fulminata e non ho smesso più
di leggerlo.
Cinquantasei
favole, che però hanno il tono e la lunghezza di una fiaba, di una
storietta. Favole decisamente 'anomale' perché alla consueta morale
conclusiva spesso si sostituisce un finale inaspettato, pieno di
meraviglia; alla brevità dell'apologo si sostituisce un ritmo
pacato; alla prevedibilità della morale consolidata si sostituisce
una visione spesso capovolta di centottanta gradi; alla concretezza
delle situazioni si sostituisce una visione fortemente immaginifica;
all'esigenza di insegnamento si sostituisce il guizzo dell'ironia.
Per
questa serie di motivi: il piacere per una narrazione misurata, i
capovolgimenti di prospettiva, la cifra fiabesca e meravigliosa, i
colpi di teatro fulminanti, a cui si aggiungono una vena poetica e
una purezza e scorrevolezza di linguaggio non consuete, e ovviamente per la
miriade di spunti di riflessione su grandi e piccole domande della
vita, fanno sì che questo piccolo libro diventi un livre
de chevet a tutti gli effetti.
Fin
dalla sua veste grafica, esso denuncia l'intento di essere un libro
di lettura per persone che nei libri cercano qualcosa che non si
esaurisca in un soffio, ma piuttosto che si insinui lentamente e che
inesorabilmente radichi nella mente del proprio lettore o della
propria lettrice.
È
un tascabile a tutti gli effetti, almeno per dimensioni (ha la misura
di un breviario), ma nello stesso tempo nella sua rilegatura rigida
si conserva e preserva la preziosità dell'interno. Sulla
sovraccoperta bianca compare un disegno a matita di Matticchio che
ha, come spesso accade, la solennità di una forma leggibile e nota,
ma nel contempo il guizzo dell'ironica reinterpretazione della
stessa. In questo caso un teschio shakesperiano è attraversato nelle
orbite vuote da un verme - quello che arriva per ultimo, appunto -
che ammicca un sorriso e un colpetto di coda.
Sottile,
nella sua ironia, Matticchio 'cavalca' lo spunto offerto dal titolo
di Cinquetti (che a sua volta rende omaggio a Calvino) e ne dà una
lettura ancora più filosofica, se possibile, laddove il verme è
davvero l'ultimo che arriva a chiudere e a cancellare del tutto la
nostra esistenza terrena.
Il
riferimento calviniano, comunque, non si esaurisce nel titolo, ma si
presenta con prepotenza nell'equilibrio delle narrazioni che si
ispirano all'idea di esattezza e di leggerezza, esposte in due delle
più belle sue Lezioni americane.
Il grande lavoro di limatura del
testo cui Calvino sottopose la sua trascrizione delle Fiabe italiane,
qui ha fatto scuola. Nello stesso tempo, sembra mutuarsi da Calvino
anche quella capacità di immaginare scenari che capovolgono la
visione della realtà con una scioltezza rara.
Aver
definito prima le 'favole' di Cinquetti come storiette ha il preciso
e dichiarato scopo di assimilarle alle ben più note Storiette
di Luigi Malerba o alle riflessioni delle Galline
pensierose che, come queste,
guizzano nei finali in altrettanti colpi di teatro che spiazzano chi
legge e lo lasciano lì a ridere o a pensare, in entrambi i casi
comunque, intensamente. Non sarà un caso che Calvino, di nuovo lui,
definisce Le galline pensierose
la risultante tra il leggero umorismo del nonsense e la
vertigine metafisica degli apologhi zen...
All'editore Bompiani va
il merito di aver saputo creare una perfetta sintonia di vedute tra
il Cinquetti filosofo e il Mattichio surreale. Ci si rammarica che su
56 racconti, solo alcuni diano una propria e originale lettura dei
fatti narrati attraverso l'illustrazione, rigorosamente in bianco e
nero. Però immediatamente dopo si intuisce che forse questa
parsimonia è dovuta, almeno in parte, al desiderio di non cadere
nella didascalia, ma di mantenere quel tono di 'non detto' che
conosciamo di Matticchio. E quindi ce ne facciamo una ragione,
seppure con la sensazione di non essere sazi. Come dire, di
Matticchio non ce n'è mai abbastanza...
Si
fa fatica a creare una propria classifica interna tra le cinquantasei
'favole' perché colpiscono l'immaginario per motivi anche molto
diversi tra loro.
Per
migliore idea originale andrebbe premiato: Il prima e il dopo.
Per
miglior omaggio a Rodari andrebbe premiato: Il bambino di traverso.
Per
miglior risata finale andrebbe premiato: Tre volte bau.
Per
miglior valore poetico andrebbe premiato: Il giardino segreto.
Per
migliore nonsense andrebbe premiato: Sette per trette.
Ora
a voi.
Carla
Noterella al margine: mi chiedo perché un libro del genere solo in pochi lo abbiano notato. Le librerie, in imbarazzo, non lo hanno a scaffale o non sanno dove collocarlo.
Meriterebbe pile di copie da mettere nelle mani di piccoli e grandi... Non occorre essere orsi per accorgersene.
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