UNO STUDIO IN ROSSO, Arthur Conan Doyle, Ale+Ale
Prìncipi e Princípi, 2011
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
Anche io, come un segugio lo avevo puntato, seguivo la pista di questo bel libro da un po'. Ne avevo 'annusato' la qualità, anche solo vedendo di sfuggita la copertina in rete qualche tempo fa.
Non poteva essere un brutto libro per tre motivi almeno:
1) è il primo romanzo di Arthur Conan Doyle,
2) aveva le illustrazioni degli ineffabili Ale+Ale,
3) veniva pubblicato nella collana Piccola Biblioteca dell'Immaginario della casa editrice Prìncipi e Princípi.
Comincio dal fondo, a spiegare le ragioni della mia valutazione.
Questa collana di classici della letteratura conta già nove titoli: uno più bello dell'altro, corredati tutti da illustrazioni di grandi autori, da Scarabottolo a Negrin, passando per Gianni De Conno.
Io sono cresciuta con i libri Einaudi e quindi ho ricevuto quell'imprinting: sono naturalmente attirata dai libri rilegati, dalle copertine bianche con un'immagine centrale riquadrata. Le copertine dei libri di questa collana mi ricordano quelle Einaudi di un tempo, anche se queste hanno la costola rossa.
Come quelle Einaudi sono eleganti, sobrie. Le pagine, come quelle Einaudi, non sono bianche, ma leggermente avorio. Hanno un carattere di stampa leggibilissimo, hanno un margine molto ampio. Insomma, io le trovo bellissime, raffinatissime, elegantissime. Nella loro essenzialità, si tratta, a mio parere, di Libri con la L maiuscola.
Se fino a qui ho ragionato dell'aspetto esteriore di questi volumi, ora vorrei sottolineare che, anche nell'ambito dei contenuti, la collana si distingue per pari sobrietà e raffinatezza.
Le intelligenti scelte editoriali, in un momento che vede un grande recupero dei classici anche in altre case editrici, hanno privilegiato una serie di titoli, in alcuni casi addirittura imprevedibili - mi riferisco al Diario di Eva di Mark Twain o a L'uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann - che comunque sono appetibilissimi per un pubblico di giovani lettori.
A parte alcuni titoli più consueti, mi sembra molto interessante vedere Kafka, Stevenson, Poe, proposti in una versione integrale ad un pubblico di ragazzi.
Le ragioni del motivo numero due hanno lo stesso a che fare con la raffinatezza. L'ho accennato anche prima. Ogni titolo è impreziosito da grandi interpretazioni di illustratori di talento. Questo volume in particolare raggiunge dei livelli di qualità altissima. Ale+Ale hanno interpretato con intelligenza e personalità la galleria dei personaggi che popolano il romanzo di Doyle. Un po' assecondando la scrittura dello stesso autore che definisce Sherlock Holmes come un segugio, l'ispettore come un furetto, l'assassino come un lupo, ma poi, decollando in assoluta autonomia, disegnano ogni personaggio con un corpo umano e una testa animale: due gatte sono le prudenti signore Charpentier, madre e figlia, un leprotto bianco la giovane Lucy Ferrier in fuga nella notte e un bisonte che esce dall'ombra raffigura il mormone Stangerson.
Scelte geniali quanto originali (anche per l'uso molto particolare della tecnica del collage), ma nello stesso tempo estremamente attente e rispettose del testo.
E, a proposito del testo, passerei a dire due parole sul motivo numero uno, ovvero la grandiosità di questo romanzo.
Tralasciando ogni riflessione critica che molti prima e dopo di me han fatto o faranno meglio, vorrei solo sottolineare quello che è l'aspetto principale che, a mio parere, rende questo romanzo di grande interesse per un lettore giovane. E penso all'improvviso cambio di prospettiva della storia che divide la prima parte della vicenda tutta agita nella fumosa e angusta Londra da quella ariosa e avventurosa della seconda parte, in territorio americano. Entrambe attraversate da due 'segugi', laddove il primo è in cerca della verità, mentre il secondo della vendetta. Sono due racconti disgiunti che hanno lievi, ma solidissimi punti di congiuntura. Fatto questo che fa sì che l'intero romanzo sia attraversato da una grande e profonda tensione interna, come in ogni giallo che si rispetti. A rendere ancora più netta la separazione, si nota come nella prima parte l'io narrante sia lo stesso Watson, mentre per il versante americano ci sia un narratore esterno che sembra trasformare il racconto in una sequenza cinematografica che scorre davanti agli occhi del lettore. Bello e mozzafiato.
Non vedo nessun quarto motivo che potrebbe distogliervi dall'acquisto e dalla lettura di questo grande libro.
Carla
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