PINK LADY:
COME È DIFFICILE PARLARE DELLA MORTE
Sarà
casuale, ma fra i libri per ragazzi usciti recentemente, diversi
ruotano intorno al tema del lutto. Da argomento quasi tabù è
diventato a suo modo un ‘filone’ della narrativa, suggerendo in
realtà approcci diversi. Nel caso dell’esordiente Benedetta
Bonfiglioli, è anche troppo chiaro l’intento ‘educativo’,
mostrare che è possibile tornare a vivere dopo una grave perdita.
La
storia è molto lineare, la protagonista, Anna, si sente abbandonata
dai suoi genitori, persi in un dolore immenso, e così si lascia
andare, avviandosi verso l’autodistruzione, specchio del sentirsi
in colpa per essere sopravvissuta alla sorella. Finalmente i genitori
si rendono conto di quello che sta accadendo sotto i loro occhi e
decidono di dare una svolta alla vita della famiglia, trasferendosi
in un paesino della bassa padana. Qui inizia la nuova vita di Anna,
soprannominata da Marco, un nuovo amico e futuro amore, Pink Lady,
dal nome di una mela dolce e dura contemporaneamente.
L’autrice,
qui al suo esordio, riesce nel suo intento di descrivere il processo,
lungo e doloroso, di accettazione della morte di una persona amata e
di accettazione della propria vita. Ma la rappresentazione di questo
percorso è forse troppo lineare, con personaggi buoni troppo buoni e
troppo comprensivi, con soluzioni di vita che si realizzano con un
colpo di bacchetta magica, tutto ben lontano dall’esperienza reale.
Per
rendere ancora più esplicito il suo messaggio, viene introdotta
un’altra storia, incastonata alla prima e raccontata in un diario
ritrovato per caso nella nuova casa; un amore degli anni cinquanta e
finito con un matrimonio di convenienza, salvo coltivare in segreto
l’amore perduto. L’inserimento di questa seconda storia mi è
parso piuttosto artificioso, inessenziale allo svolgimento del filone
principale, e necessario solo a dimostrare che esistono amori o
amicizie ‘eterni’.
Con
un più robusto intervento in fase di editing queste ingenuità
narrative si sarebbero sicuramente superate, c’è, infatti, una
certa facilità di scrittura, uno stile scorrevole e adatto al
lettore giovane, così come risulta efficace la descrizione della
provincia padana, le sue atmosfere afose e i colori della sua
campagna.
Anche
Roddy Doyle si cimenta su un tema simile: quattro generazioni di
donne (una in veste di fantasma) si confrontano per aiutarsi
reciprocamente nell’affrontare la prossima dipartita di una di
loro. Per fare questo, l’intervento del fantasma della mamma della
moribonda aiuta figlia e nipote ad avvicinarsi con delicatezza al
momento dell’addio, attraverso una stravagante ultima gita in
macchina, per tornare ai luoghi dell’origine, alla fattoria che un
tempo le ha viste insieme. Lo stile di Roddy Doyle è inconfondibile,
la leggerezza e l’ironia con cui riesce a descrivere una situazione
surreale e triste sono il suo tratto distintivo. Ma perché la
necessità di presentare un personaggio, il deus ex machina della
storia, in questa veste irreale, metafisica? Peccato, perché il
rapporto fra nonna e nipote è descritto con grande sensibilità e
delicatezza e da un autore come Roddy Doyle mi sarei aspettata
qualcosa di più. Forse per il mio approccio laico al tema della
morte non credo che per aiutare i ragazzi ad affrontare un tema così
doloroso e difficile sia necessario riferirsi a grotteschi aldilà, a
consolatori ‘ci rivedremo’, a prescindere dalla fede che si ha
oppure no. Ma su questo, immagino, potremmo discutere a lungo.
Eleonora
“Pink
Lady”, B. Bonfiglioli, San Paolo Edizioni 2012
“La
gita di mezzanotte”, R. Doyle, Salani 2012
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