martedì 15 ottobre 2013

CORTESIE PER GLI OSPITI (libri preferiti da altri)


CAPPUCCETTO ROSSO ROSSO ROSSO ROSSO
Rouge Rouge Petit Chaperon Rouge, Edward van de Vendel, Isabelle Vandenebeele 
Éditions du Rouergue 2003


Cappuccetto Rosso è uno dei classici della letteratura per l’infanzia che si prestano meglio al “remake”, perché come ogni storia d’iniziazione ispira visioni, provoca suggestioni archetipiche, smuove nel profondo. L’attraversamento del bosco – non fosse altro – è un ponte verso l’ignoto che crea un’indicibile tensione, ci fa sentire il pericolo nella sua essenza primordiale, coincidente con la brama insaziabile del lupo che sembra fatto apposta per aspettarci all’altro capo.
 Questa rivisitazione fiamminga della fiaba (gli autori sono belgi) opera una piccola grande rivoluzione, perché coincide col lieto fine nella misura in cui esso corrisponde al desiderio recondito (e un tantino mostruoso) che Cappuccetto Rosso cova da sempre. Da quando si vede costretta, bambina ormai nell’ età della ragione, a camminare ogni giorno a lungo e in solitudine nel fitto della foresta, col gravoso compito di fare visita alla nonna vecchia e malata. Una nonna cinerea, grinzosa e ostile, che ha sempre da lamentarsi e di cui, appunto, Cappuccetto Rosso non può non agognare la fine.

Beninteso, non lo dice e non se lo dice Cappuccetto, ma fin dalle prime battute di questo tenebroso (eppure assai vivido) libro, laddove la bambina viene descritta come colei che si accontenta di poco, di indossare abiti rossi, di possedere un tappeto rosso e di ridere con la sua rossa bocca… viene facile capire che il grigiore della nonna, sepolta nel letto e circonfusa da un alone opaco, non può che sollevare tutto il suo sdegno, la sua repulsione, il suo rosso odio.
Intanto, come da copione, mentre nel suo quotidiano tragitto si addentra nella macchia, d’improvviso Cappuccetto ode con sospetto lo scricchiolìo dei rami, un sentore di alito, un calpestìo di foglie. E quando, pochi eppure interminabili istanti a seguire, incontra il lupo (“… una bestia enorme…”), prende visione d’un fenomeno che la spiazza totalmente, poiché il lupo non è rosso, non è grigio. E’ nero. Una gigantesca chiazza di pece che le si para davanti e che le fa urlare a squarciagola, come un mantra “No, no, no, no, no,no!”. Una colata di buio che si ripercuote in lei sollevando un’eco di rosso, perché, quasi sragionando, Cappuccetto trasuda il vermiglio della paura mista a coraggio e intrattiene la bestia con uno scilinguagnolo azzardoso e folle. A tal punto da confondersi (?) e tradire il segreto, svelando dove sta andando. Cappuccetto fa da apripista al lupo, dunque, che senza indugio la precede verso la casa della nonna, penetra all’interno come un siluro e la divora.

Quando Cappuccetto capisce di aver parlato a vanvera corre forsennatamente, non sente quasi il grave ingombro del cesto carico di prelibatezze, che come ogni giorno reca con sé, volta a destra e poi ancora a destra, come una pallina di flipper vortica sul binario di un camminamento accidentato, giunge alla meta, si precipita all’uscio della nonna e bussa. Nessuno risponde, tutto tace. Entra, poggia il cesto in cucina e passa come un automa nella camera da letto, dove sa quel che deve fare. Allora scongiura con un atto d’inaudita forza il pericolo, lo cancella niente di meno che con un colpo d’ascia. Poi aspetta fuori della porta che tutto il sangue del lupo defluisca, un lucente fiotto carminio che potrebbe fare da suggello alla storia ma… Cappuccetto rientra (e adesso ha in mano non un arma, ma una bambola) a rimirare la pelle nera del lupo. E mentre pensa compiaciuta che, morta la nonna, quella è l’ultima volta che da sola ha dovuto attraversare il bosco… affiora il dubbio che il nero, anche il nero, sia un colore di cui diventare golosa, di cui ammantarsi, un altro colore “… senza limiti”.

Il testo, immediato sebbene mai crudo, scandisce con lirica precisione la passione di Cappuccetto per il colore scarlatto e rende plausibile la naturalezza di questa ossessione infantile piena di ardore e il suo contrario, la necessità impellente che venga sconfitto il movimento delle forze anodine, che si ammantano di ombra. Nel descrivere con asciuttezza quel che accade, il testo sprigiona un magnetismo incalzante, al quale fanno da perfetto contraltare le illustrazioni coraggiose e forti di Isabelle Vandenabeele. Cappuccetto è una matriosca che non tradisce età, piccola donna disseminata come una pedina nell’intrico labirintico del bosco, coacervo di indicibile potenza espressa da lineamenti marcati, dai grandi occhi sornioni. Una bambina- virgulto, nella ramificazione di braccia e gambe che si confondono con le fronde intricate che le fanno da sfondo, che quasi la generano (o rigenerano, poiché appunto d’iniziazione si tratta) fin dalla copertina, dal quel viluppo di nero e rosso che incide la superficie della pagina ispessendola, insieme alla nostra percezione. Che in più di un’occasione coglie la bellezza fortemente evocativa di una composizione, in verità, quasi astratta.
Un libro duro, vivo e misterioso, a tratti raggelante. Ipnotico e moderno.
Daniela (Tordi) 

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