CAPPUCCETTO ROSSO ROSSO ROSSO ROSSO
Rouge Rouge Petit
Chaperon Rouge, Edward van de Vendel,
Isabelle Vandenebeele
Éditions du Rouergue
2003
Cappuccetto Rosso è
uno dei classici della letteratura per l’infanzia che si prestano
meglio al “remake”, perché come ogni storia d’iniziazione
ispira visioni, provoca suggestioni archetipiche, smuove nel
profondo. L’attraversamento del bosco – non fosse altro – è
un ponte verso l’ignoto che crea un’indicibile tensione, ci fa
sentire il pericolo nella sua essenza primordiale, coincidente con la
brama insaziabile del lupo che sembra fatto apposta per aspettarci
all’altro capo.
Questa rivisitazione
fiamminga della fiaba (gli autori sono belgi) opera una piccola
grande rivoluzione, perché coincide col lieto fine nella misura in
cui esso corrisponde al desiderio recondito (e un tantino mostruoso)
che Cappuccetto Rosso cova da sempre. Da quando si vede costretta,
bambina ormai nell’ età della ragione, a camminare ogni giorno a
lungo e in solitudine nel fitto della foresta, col gravoso compito di
fare visita alla nonna vecchia e malata. Una nonna cinerea, grinzosa
e ostile, che ha sempre da lamentarsi e di cui, appunto, Cappuccetto
Rosso non può non agognare la fine.
Beninteso, non lo dice
e non se lo dice Cappuccetto, ma fin dalle prime battute di questo
tenebroso (eppure assai vivido) libro, laddove la bambina viene
descritta come colei che si accontenta di poco, di indossare abiti
rossi, di possedere un tappeto rosso e di ridere con la sua rossa
bocca… viene facile capire che il grigiore della nonna, sepolta nel
letto e circonfusa da un alone opaco, non può che sollevare tutto il
suo sdegno, la sua repulsione, il suo rosso odio.
Intanto, come da
copione, mentre nel suo quotidiano tragitto si addentra nella
macchia, d’improvviso Cappuccetto ode con sospetto lo scricchiolìo
dei rami, un sentore di alito, un calpestìo di foglie. E quando,
pochi eppure interminabili istanti a seguire, incontra il lupo (“…
una bestia enorme…”), prende visione d’un fenomeno che la
spiazza totalmente, poiché il lupo non è rosso, non è grigio. E’
nero. Una gigantesca chiazza di pece che le si para davanti e che le
fa urlare a squarciagola, come un mantra “No, no, no, no, no,no!”.
Una colata di buio che si ripercuote in lei sollevando un’eco di
rosso, perché, quasi sragionando, Cappuccetto trasuda il vermiglio
della paura mista a coraggio e intrattiene la bestia con uno
scilinguagnolo azzardoso e folle. A tal punto da confondersi (?) e
tradire il segreto, svelando dove sta andando. Cappuccetto fa da
apripista al lupo, dunque, che senza indugio la precede verso la casa
della nonna, penetra all’interno come un siluro e la divora.
Quando Cappuccetto
capisce di aver parlato a vanvera corre forsennatamente, non sente
quasi il grave ingombro del cesto carico di prelibatezze, che come
ogni giorno reca con sé, volta a destra e poi ancora a destra, come
una pallina di flipper vortica sul binario di un camminamento
accidentato, giunge alla meta, si precipita all’uscio della nonna e
bussa. Nessuno risponde, tutto tace. Entra, poggia il cesto in cucina
e passa come un automa nella camera da letto, dove sa quel che deve
fare. Allora scongiura con un atto d’inaudita forza il pericolo,
lo cancella niente di meno che con un colpo d’ascia. Poi aspetta
fuori della porta che tutto il sangue del lupo defluisca, un lucente
fiotto carminio che potrebbe fare da suggello alla storia ma…
Cappuccetto rientra (e adesso ha in mano non un arma, ma una bambola)
a rimirare la pelle nera del lupo. E mentre pensa compiaciuta che,
morta la nonna, quella è l’ultima volta che da sola ha dovuto
attraversare il bosco… affiora il dubbio che il nero, anche il
nero, sia un colore di cui diventare golosa, di cui ammantarsi, un
altro colore “… senza limiti”.
Il testo, immediato
sebbene mai crudo, scandisce con lirica precisione la passione di
Cappuccetto per il colore scarlatto e rende plausibile la naturalezza
di questa ossessione infantile piena di ardore e il suo contrario,
la necessità impellente che venga sconfitto il movimento delle forze
anodine, che si ammantano di ombra. Nel descrivere con asciuttezza
quel che accade, il testo sprigiona un magnetismo incalzante, al
quale fanno da perfetto contraltare le illustrazioni coraggiose e
forti di Isabelle Vandenabeele. Cappuccetto è una matriosca che non
tradisce età, piccola donna disseminata come una pedina nell’intrico
labirintico del bosco, coacervo di indicibile potenza espressa da
lineamenti marcati, dai grandi occhi sornioni. Una bambina- virgulto,
nella ramificazione di braccia e gambe che si confondono con le
fronde intricate che le fanno da sfondo, che quasi la generano (o
rigenerano, poiché appunto d’iniziazione si tratta) fin dalla
copertina, dal quel viluppo di nero e rosso che incide la superficie
della pagina ispessendola, insieme alla nostra percezione. Che in più
di un’occasione coglie la bellezza fortemente evocativa di una
composizione, in verità, quasi astratta.
Un libro duro, vivo e
misterioso, a tratti raggelante. Ipnotico e moderno.
Daniela (Tordi)
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