SASHA, UN NOME CON IL FRUSCIO DEL VENTO
Io e il falco, Cristina Bellemo
Rizzoli 2014
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
"Lo accarezzai piano e sentii
il suo cuore, a grancassa come il mio. Quel corpicino fragile e
potente al tempo stesso: mi stava nelle mani e ne avanzava.
Capii che era lui e nessun altro.
Era nato per me, per me era sul tavolo di quella cucina, familiare
come se ci avessi abitato da mille anni. L'avevo sognata così, senza
sapere cosa stavo sognando. Lo chiamai Piccolo, perché essere
piccoli non è mica un difetto."
Puglia. Estate. Vacanza a casa del
nonno. E quello che era un desiderio, inseguito da anni, ormai solo
un sogno, oggi per Salvatore, il bambino che dà il nome alle cose,
diventa realtà.
In quella cucina fresca e in penombra,
due pulli, falchetti giovani, che becchettano pezzi di carne
cruda sul tavolo, legati a una sedia con una corda.
Il nonno, che non dice mai più di tre
parole, che non sorride mai, a bruciapelo annuncia: Quello-che-vuoi.
E così Salvatore, che all'età di cinque anni dopo una notte
insonne, aveva deciso per sé un futuro da falconiere, ha un falco
tutto suo. E nessuno potrà portarglielo via. Nessuno.
Comincia così questa grande avventura
durata una vita intera. Tornato a casa in Veneto con il suo falco,
quel ragazzino, che tutti consideravano strano-difficile-sognatore,
trova il suo posto nel mondo. Da parte sua, Piccolo fa nido sulla
collezione di Topolini, impara a girare in bici e mangia la carne
che il macellaio Mario mette da parte per lui. E, naturalmente,
impara a volare.
Emozione dopo emozione, esperienza dopo
esperienza, come è sempre nelle relazioni affettive, la storia di
Salvatore e Piccolo cresce, si consolida, si approfondisce. Fino al
giorno del volo senza ritorno, della separazione. E lì c'è solo
dolore. Una cicatrice, sempre lì a memoria di quel brutto giorno.
Ma Salvatore non molla. Studia, impara.
E poi arrivano altri falchi e altre storie. Fino al giorno della
grande occasione: una borsa di studio negli Usa per monitorare il
reinserimento in natura dei falchi pellegrini, in via di estinzione.
Otto mesi di vita nella wilderness con cinque pulli in
attesa del loro primo volo e Jerry, ragazzo americano come lui
esperto falconiere. Intorno solo orsi, cervi, coyote, scoiattoli,
foresta, vento, nebbia, tanto silenzio e tanto cielo.
Tongue Mountain è punto di arrivo e di
partenza: è ciò che giustifica tutto ciò che è stato fino a quel
momento e, nello stesso tempo, è 'scuola' per tutto quello che verrà
dopo.
E nel dopo ci sono ancora i rapaci, c'è
il primo Museo Ornitologico realizzato nel castello di Marostica, e
c'è un figlio cui dedicare questo racconto, questa vita e questo
grande esempio di passione.
Io e il falco è tanti libri
contemporaneamente. È una storia che racconta una grande passione,
è un'avvincente avventura, è quasi un manuale (di falconeria), è
un libro pieno d'aria che ha odori e suoni della Natura, quella con la maiuscola,
è una storia vera, ma è anche e soprattutto un romanzo di
formazione, nell'accezione più ampia di Bildungsroman.
Coinvolgente e appassionante nella
sequenza dei fatti, denso e profondo nell'analisi dei personaggi,
vivace e incalzante, come un buon libro di avventura, autentico in
ogni sua parte perché costruito su una vicenda realmente accaduta, è un libro
imperdibile.
In una chiave più strettamente
pedagogica, Io e il falco è ricco di spunti di riflessione,
perché mette a fuoco alcuni tra gli snodi più importanti nel
percorso di crescita di una persona: la ricerca di sé, la scelta di
un obiettivo, la costanza nel perseguirlo, i riti di passaggio,
l'acquisizione di una propria sicurezza, di una propria armonia
interiore. E poi, da adulti, la necessità di lasciare un'orma nel
mondo e il naturale desiderio di volerla mostrare a chi viene dopo di
noi.
A volerlo leggere 'solo' come romanzo
di avventura, ci ritroviamo tutti lì a seguire il ritmo degli eventi
al fianco di Salvatore, a godere con lui degli scenari naturali, ad
aver paura con lui, ad aver fame, a piangere e a sperare. Sempre
dietro di lui.
Io non so trovare il confine tra ciò
che è veramente accaduto a Salvatore Foglio, il protagonista, o ciò che veramente è
stato Salvatore Foglio nella sua vita e ciò che Cristina Bellemo ha
voluto 'inventare' per lui e, tutto sommato, non mi importa. È
questo il gioco del leggere. E poi, mi fido molto di Cristina Bellemo
e dalle sue storie mi faccio portare. Trovo bello il suo modo di
scrivere, così insolito e imprevedibile nel suo incedere a velocità
diverse: sincopata e dilatata, così come spesso accade anche nel
procedere del nostro pensare.
Mi piacciono i suoi giochi con la
lingua, le sue ripetizioni rassicuranti, veri e propri intercalari,
refrain linguistici, come io sono uno che dà i nomi alle cose
o il cuore a grancassa o il Sasha dei falchi, che poi
diventano quasi 'parole d'ordine' per riconoscere e riconoscersi tra
lettori.
Mi piace il parlato che entra, con
prepotenza, nella lingua scritta.
Mi piace il suo immaginario senza
confini, giardino da coltivare per farvi germogliare emozioni e, per
rimanere in tema, mi piace la sua forte componente emotiva che , nel respiro ampio di un romanzo, ho
visto spiccare il volo più e più volte.
E poi, mi piacciono massimamente le
pagine che vanno dalla numero 146 alla numero 152. Leggere per
credere...
Carla
Noterella al margine: tralascio, per
rispetto del lettore di post ormai stremato, le liasons personali
con il De arte venandi cum avibus di Federico II Hohenstaufen, con
rapaci in addestramento e con vita nella wilderness americana. Ma
sappiate che ci sono. E forti.
Nessun commento:
Posta un commento