lunedì 16 giugno 2014


SASHA, UN NOME CON IL FRUSCIO DEL VENTO

Io e il falco, Cristina Bellemo
Rizzoli 2014



NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)

"Lo accarezzai piano e sentii il suo cuore, a grancassa come il mio. Quel corpicino fragile e potente al tempo stesso: mi stava nelle mani e ne avanzava.
Capii che era lui e nessun altro. Era nato per me, per me era sul tavolo di quella cucina, familiare come se ci avessi abitato da mille anni. L'avevo sognata così, senza sapere cosa stavo sognando. Lo chiamai Piccolo, perché essere piccoli non è mica un difetto."

Puglia. Estate. Vacanza a casa del nonno. E quello che era un desiderio, inseguito da anni, ormai solo un sogno, oggi per Salvatore, il bambino che dà il nome alle cose, diventa realtà.
In quella cucina fresca e in penombra, due pulli, falchetti giovani, che becchettano pezzi di carne cruda sul tavolo, legati a una sedia con una corda.
Il nonno, che non dice mai più di tre parole, che non sorride mai, a bruciapelo annuncia: Quello-che-vuoi. E così Salvatore, che all'età di cinque anni dopo una notte insonne, aveva deciso per sé un futuro da falconiere, ha un falco tutto suo. E nessuno potrà portarglielo via. Nessuno.
Comincia così questa grande avventura durata una vita intera. Tornato a casa in Veneto con il suo falco, quel ragazzino, che tutti consideravano strano-difficile-sognatore, trova il suo posto nel mondo. Da parte sua, Piccolo fa nido sulla collezione di Topolini, impara a girare in bici e mangia la carne che il macellaio Mario mette da parte per lui. E, naturalmente, impara a volare.
Emozione dopo emozione, esperienza dopo esperienza, come è sempre nelle relazioni affettive, la storia di Salvatore e Piccolo cresce, si consolida, si approfondisce. Fino al giorno del volo senza ritorno, della separazione. E lì c'è solo dolore. Una cicatrice, sempre lì a memoria di quel brutto giorno.
Ma Salvatore non molla. Studia, impara. E poi arrivano altri falchi e altre storie. Fino al giorno della grande occasione: una borsa di studio negli Usa per monitorare il reinserimento in natura dei falchi pellegrini, in via di estinzione. Otto mesi di vita nella wilderness con cinque pulli in attesa del loro primo volo e Jerry, ragazzo americano come lui esperto falconiere. Intorno solo orsi, cervi, coyote, scoiattoli, foresta, vento, nebbia, tanto silenzio e tanto cielo.
Tongue Mountain è punto di arrivo e di partenza: è ciò che giustifica tutto ciò che è stato fino a quel momento e, nello stesso tempo, è 'scuola' per tutto quello che verrà dopo.
E nel dopo ci sono ancora i rapaci, c'è il primo Museo Ornitologico realizzato nel castello di Marostica, e c'è un figlio cui dedicare questo racconto, questa vita e questo grande esempio di passione.

Io e il falco è tanti libri contemporaneamente. È una storia che racconta una grande passione, è un'avvincente avventura, è quasi un manuale (di falconeria), è un libro pieno d'aria che ha odori e suoni della Natura, quella con la maiuscola, è una storia vera, ma è anche e soprattutto un romanzo di formazione, nell'accezione più ampia di Bildungsroman.
Coinvolgente e appassionante nella sequenza dei fatti, denso e profondo nell'analisi dei personaggi, vivace e incalzante, come un buon libro di avventura, autentico in ogni sua parte perché costruito su una vicenda realmente accaduta, è un libro imperdibile.
In una chiave più strettamente pedagogica, Io e il falco è ricco di spunti di riflessione, perché mette a fuoco alcuni tra gli snodi più importanti nel percorso di crescita di una persona: la ricerca di sé, la scelta di un obiettivo, la costanza nel perseguirlo, i riti di passaggio, l'acquisizione di una propria sicurezza, di una propria armonia interiore. E poi, da adulti, la necessità di lasciare un'orma nel mondo e il naturale desiderio di volerla mostrare a chi viene dopo di noi.
A volerlo leggere 'solo' come romanzo di avventura, ci ritroviamo tutti lì a seguire il ritmo degli eventi al fianco di Salvatore, a godere con lui degli scenari naturali, ad aver paura con lui, ad aver fame, a piangere e a sperare. Sempre dietro di lui.
Io non so trovare il confine tra ciò che è veramente accaduto a Salvatore Foglio, il protagonista, o ciò che veramente è stato Salvatore Foglio nella sua vita e ciò che Cristina Bellemo ha voluto 'inventare' per lui e, tutto sommato, non mi importa. È questo il gioco del leggere. E poi, mi fido molto di Cristina Bellemo e dalle sue storie mi faccio portare. Trovo bello il suo modo di scrivere, così insolito e imprevedibile nel suo incedere a velocità diverse: sincopata e dilatata, così come spesso accade anche nel procedere del nostro pensare.
Mi piacciono i suoi giochi con la lingua, le sue ripetizioni rassicuranti, veri e propri intercalari, refrain linguistici, come io sono uno che dà i nomi alle cose o il cuore a grancassa o il Sasha dei falchi, che poi diventano quasi 'parole d'ordine' per riconoscere e riconoscersi tra lettori.
Mi piace il parlato che entra, con prepotenza, nella lingua scritta.
Mi piace il suo immaginario senza confini, giardino da coltivare per farvi germogliare emozioni e, per rimanere in tema, mi piace la sua forte componente emotiva che , nel respiro ampio di un romanzo, ho visto spiccare il volo più e più volte.
E poi, mi piacciono massimamente le pagine che vanno dalla numero 146 alla numero 152. Leggere per credere...

Carla

Noterella al margine: tralascio, per rispetto del lettore di post ormai stremato, le liasons personali con il De arte venandi cum avibus di Federico II Hohenstaufen, con rapaci in addestramento e con vita nella wilderness americana. Ma sappiate che ci sono. E forti.




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