GIAVENO, LUOGO DELLA MEMORIA
Siamo alle solite. Di nuovo le sette di
sera, di nuovo il campanellino che mi avvisa di una nuova ricetta da
Piccole Ricette in arrivo, di nuovo io che me ne innamoro
all'istante. Ma questa volta la ragione per cui la ricetta è
entrata nel mio cuore non è dovuta alla ricetta in sé, ma al nome
che porta: focaccia di Giaveno.
Giaveno... oh, Giaveno, ma dai. Io non sono mai
stata a Giaveno eppure per me è un luogo mitico che ha segnato tutta
la mia infanzia. Nei racconti che mia madre mi faceva della sua vita
durante la guerra, Giaveno c'era sempre. Sarda, trapiantata a Torino
da ragazza, mia madre durante la guerra sfollò a Giaveno, dove molte
cose le capitarono: fu inseguita da una mucca (da lì il mio insano
terrore per quegli animali mansueti), organizzò una scuoletta per
dei bambini ebrei scappati e nascosti anche loro a Giaveno. Furono
giorni di guerra e di vita contadina vissuti da una ragazza di buona
famiglia vissuta sempre in città. Credo che anche per lei Giaveno
nella memoria di narratrice assumesse toni da leggenda. Insomma
Giaveno per me divenne parola consueta, familiare e favolosa.
Ecco la ricetta, ecco la focaccia.
Purtroppo vi è negato il profumo che ha gli stessi influssi
meravigliosi di quei racconti.
Ingredienti
400 g di farina Manitoba
250 g di latte
10 g di miele
40 g di zucchero
i semi di mezza bacca di vaniglia
60 g di burro ammorbidito o margarina
3 tuorli d’uovo
7 g di lievito di birra secco
5 g di sale
la scorza grattugiata di due arance
(la ricetta originale prevede invece la
scorza grattugiata di mezza arancia mezzo limone non trattati)
Mettete in una ciotola 300 gr di farina
e versatevi sopra il latte intiepidito con dentro il lievito e il
miele, ben sciolti entrambi. Mischiate e lavorate un po' per ottenere
un impasto abbastanza sodo ma parecchio appiccicoso. Montate un po' i
tuorli con lo zucchero in una ciotola, quindi aggiungeteli al
composto con il resto della farina, i semi di vaniglia, la scorza
delle arance. Lavorate questo impasto, su una tavola, aggiungendo una
spruzzata di farina perché non si attacchi, quindi prendete la metà
del burro, riducetelo a fiocchetti (o a pizzichi, come dico io) e
aggiungetelo alla pasta che dovrete lavorare ancora fino a che il
burro non si sia ben amalgamato. Proseguite nella lavorazione con
l'altra metà del burro, seguendo lo stesso procedimento. Adesso
l'impasto dovrebbe aver raggiunto la giusta consistenza, ovvero
morbido ed elastico. Fate la prova, pizzicandolo, tenendolo fra due
dita e poi allargando le due dita: se l'impasto si allunga e non si
spezza subito, vuol dire che la consistenza ideale è raggiunta,
altrimenti aggiungete altro burro o latte (a me è andata bene al
primo colpo).
Quindi mettete la pallina in una
ciotola ben unta di burro o olio e lasciate lievitare per due o tre
ore, coprendola con la pellicola e mettendola in forno spento ma con
la luce accesa. Deve triplicare il volume.
Passato questo tempo, togliete
l'impasto che sarà soffice e gonfissimo e senza romperlo, stendetelo
sulla leccarda del forno coperta di carta forno, così da ottenere
una focaccia tonda alta grossomodo due centimetri. Rimettetela nel
forno illuminato a riposare per un'altra mezz'ora abbondante. Quindi
toglietela, accendete il forno a 220°. Con un dito bucherellatela e
spolveratela in superficie di zucchero semolato. Quando il forno sarà
caldo, infornatela e lasciatela cuocere per una dozzina di minuti
finché non si dora e lo zucchero nei buchini comincia a sciogliersi.
Ideale per la colazione propria e degli
amici più cari.
Carla
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