Sai
cosa penso, Scoiattolo che oggi festeggi perché invecchi...?
...che
quando prendo carta e penna per scriverti e fuori c'è il sole, vedo
tutto con un umore diverso.
Nel
libro di cui ti parlavo ieri, sai quel capolavoro di purezza
intellettuale scritto da un Michael Rosen messosi coraggiosamente a
nudo, la parola sad compare più di venti volte. Sad per lui è un
luogo, una condizione dell'anima, un posto che può essere scuro e
angusto, come il buio che c'è sotto il letto oppure può essere alto
e luminoso come il cielo sulla sua testa...ecco luminoso come il
cielo. Complice questo bel sole, non posso resistere e non pensare a
uno dei libri più luminosi che conosco sulla morte...The Flat
Rabbit.1
Te
lo regalo per il compleanno, ti farà bene averlo.
Lontano
dalla rabbia di Rosen e dalla solitudine di Jeffers, The Flat Rabbit,
pur non sottraendo nulla alla profondità della questione, la guarda
con lo stupore che mi raccontavi del piccolo Bruno. Ed è questo il
merito che gli riconosce chiunque lo abbia letto.
Tutto comincia con
un cane che passeggia per la via, in un giorno terso. Girato
l'angolo, si accorge che, spiattellato come una frittata,
sull'asfalto c'è un coniglio. Anzi, la coniglia che abita al 34,
dove c'è quel cancello su cui lui ha pisciato un paio di volte. A
guardare stupefatti la coniglia ordinatamente stesa in modo
simmetrico rispetto al suo asse mediano, ci sono il cane e il suo
amico topo che in quel preciso momento arriva sul marciapiede in
senso opposto. Silenziosi, la guardano e riflettono su che cosa stia
facendo lì in quel momento. Una certa malinconia si percepisce
nell'aria, anche perché non deve essere particolarmente divertente
stare lì sdraiati... Con un pragmatismo che sconcerta pensano che
sia meglio rimuoverla da lì. Ed ecco che arriva la grande
domanda...dove la portiamo? Non sarebbe carino se ci vedessero con
una coniglia appiattita mentre la portiamo in giro... Seduti su una
panchina, i due riflettono mentre dietro di loro qualcuno sta facendo
volare un aquilone.
Fermiamoci
anche noi a riflettere. A considerare come questi due lascino nel
dubbio e nell'ambiguità il lettore, nel loro ignorare - o forse
dovrei dire meglio far finta di ignorare - che la coniglia è morta.
Probabilmente investita da qualcosa di molto più grande di lei.
Consideriamo il loro modo di leggere il mondo: sono semplici, forse
ingenui, di certo puri, che si limitano a constatare le conseguenze
degli spiacevoli fatti accaduti, valutando di trovarvi una soluzione
che si possa considerare congrua e dignitosa per tutti.
Non
hanno, o non vogliono farvi ricorso, particolari strumenti di
elaborazione.
Eppure,
non si sa come, la loro attenzione e cura nei confronti della
coniglia appiattita, è partecipata. Non lo si può negare.
Ora
il fatto è che quella coniglia è morta, mortissima. E quindi si sta
discutendo in modo partecipato, ma calmo e lievemente distaccato, di
concederle degno viatico verso un altrove. Entrambi hanno molto ben
chiaro che lì non è bene che lei rimanga...
Concedimi
di fare un paragone molto azzardato: ma questo loro ragionare sulla
panchina assomiglia un po' ai tentativi fatti dai ragazzini davanti
al letto con la nonna morta, o a quelli della bambina silenziosa
davanti alla poltrona vuota, o ancora a quelli di Michael Rosen
davanti a quel mozzicone di candela...tutti, con modalità
diversissime, sono lì a cercare di capire cosa si può fare davanti
alla morte.
Mi
rendo conto: è la domanda del secolo e come tale forse merita di
avere tante risposte quante sono le stelle in cielo...
A
te l'onore, mio caro, di dire la tua...
Formica
Carissima
Formica,
Sai,
ho notato che stiamo parlando molto di come si sta di fronte alla
morte, come se effettivamente la mente potesse avere la capacità di
affrontare un evento che, di fatto, non conosce. Bene faceva Bruno a
indagare, bene facevano gli animali a chiedersi cosa fare della
coniglia appiattita sulla strada, ma andando in questa direzione si
rischia di non riuscire a rispondere alla domanda che aleggia,
gettando inquiete ombre che se i bambini non possono vedere, io, da
scoiattolo un po’ invecchiato quale sono, vedo benissimo.
La
domanda è: ma dove va quella parte impalpabile che ci rendeva care
le persone? Alcuni la chiamano anima, e io non so se questo è il
nome giusto, però giusta, e a questo punto urgente, è la domanda. E
per rispondervi, temo che l’indagine sui fatti non sia lo strumento
adatto. Qui più che capire, si tratta di interpretare.
Mi
parlavi di stelle, e mi è immediatamente venuto in mente un libro
che si intitola Una splendida notte stellata.2
E
sai cosa? Viene da Taiwan. Non parla esplicitamente di morte, ma
della vita di una ragazzina. E siccome, questo lo abbiamo stabilito,
la morte è parte della vita, in questo libro c’è anche lei.
Infatti alla piccola protagonista muore il nonno con cui aveva
vissuto per tutta l’infanzia, prima di trasferirsi (come spesso
accade da quelle parti) in città per studiare. La ragazzina non vede
il nonno morire come Bruno, non va nemmeno al funerale. Non piange,
non tocca con mano, non misura. Non ha occasione di dare un nome alla
morte, e di fatto si ritrova immersa in un immobile silenzio. Per lei
il dolore diventa qualcosa di inesprimibile, qualcosa di
profondamente interno, insondabile, misterioso e, soprattutto,
prezioso! La prova provata della sua relazione con il nonno.
L’impossibilità della verbalizzazione si traduce in immagini
straordinariamente ricche e dai colori sgargianti che dialogano
silenziosamente e fittamente tra loro. Sono illustrazioni simboliche
ed allusive, difficili da afferrare razionalmente, quasi come se
parlassero una lingua segreta con una parte nascosta di noi.
In
questo libro ad assenza si aggiunge assenza. La distanza fisica del
nonno in campagna si estende quando il nonno muore. I genitori,
presenti fisicamente, sono concentrati sul lavoro e sui loro
problemi, e di fatto sono assenti mentalmente e nella relazione.
Un
bel giorno nella vita della ragazzina entra in punta di piedi un
coetaneo: è in città per studiare, e abita in una stanza presso una
vecchietta, perché suo padre lavora su una barca (quante barche in
questi libri!)
Anche
lui è solo, e così i due diventano amici. Non parlano molto, ma
condividono le loro giornate fatte anche di piccole difficoltà. Un
bel giorno, quando il mondo intorno diventa troppo nemico, i due
scappano. E sai dove vanno? Indovina indovinello, cara Formica. Lo so
che lo hai pensato, ed hai ragione: vanno in montagna, a casa del
nonno, la casa dove la protagonista ha passato la sua infanzia. E non
appena mette piede nella casa, la bambina trova le parole ed esce dal
suo silenzio: comincia a ricordare. È un momento molto doloroso, ma
anche pieno di calore, perché ristabilisce la relazione,
evidenziando come il nonno non sia altrove, ma dentro di lei e tutto
attorno, nel mondo.
Il
ricordo, Formica, fa diminuire la distanza tra noi e i morti.
Addirittura la annulla, e loro sono presenti, con noi, vicino a noi,
presenti al nostro fianco.
Adesso
i due amici possono tornare indietro.
Finalmente
la bambina riesce a piangere e, dopo, si ammala gravemente. Quando
guarisce va a trovare il suo amico, che è partito per stare con suo
padre sulla barca dove lui lavora. Ecco un’altra assenza che si
aggiunge a tutte le precedenti e che approfondisce ulteriormente la
solitudine in cui è immersa la ragazzina ma soprattutto la sua
competenza sui vari gradi di distanza. Ma ormai lei ha capito come
fare, sa come ritrovare gli assenti, morti o distanti che siano.
Sai,
ogni volta che leggo questo libro ho sempre il sospetto che il
ragazzino non sia davvero vivo, ma lo spirito del nonno. E se così
fosse, Formica, dove, dove se ne sarà andato, una volta salito su
quella barca che sembra fatta apposta per traghettare i morti da
qualche parte?
Domande,
domande e ancora domande, cara Formica.
Scoiattolo
Ps.
Sai, ho conosciuto un orso tempo fa. Lui sapeva esattamente dove
vanno i morti. In Paradiso, diceva...3
1B.
Oskarsson, The Flat Rabbit, Owlkids Books 2014
2J.
Liao, Una splendida notte stellata (trad. S. Torchio), Edizioni
Gruppo Abele 2013
3D.
Verroen, W. Erlbruch, Un paradiso per il piccolo orso (trad. K.
Wessel), E/O 2005
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