Hai
ragione. È difficile accettare quello che accade sotto i nostri
occhi. La Morte la sa davvero lunga a proposito di convivenza di
sentimenti. E non potrebbe essere altrimenti. Lo pensavo proprio in
uno di quei pomeriggi passati accanto a Tasso: lui era vicino,
vicinissimo, forse non eravamo mai stati così prossimi, eppure era
anche lontano, lontano a tal punto da non esistere più. Come
affrontare questo contrasto?
Sai,
mi hai fatto venire in mente un libro. Si intitola Hat Opa einen
Anzug an?1
Anche questo libro viene dal Nord, e racconta come il piccolo
Bruno affronta la morte di suo nonno.
La prima cosa che lo sconcerta è proprio il fatto che il nonno stia sdraiato nel letto con le scarpe addosso. Se ha le scarpe, pensa Bruno, dovrà avere anche l’abito che sempre indossava con quelle scarpe, e così si fa alzare dal papà per vedere il nonno.
Da questo momento, il piccolo Bruno inizia un’indagine scientifica di quello che gli sta succedendo intorno, e sperimenta, vivendo ogni gesto che aderisce alla morte: la salma, il funerale, la sepoltura, il banchetto a seguire dove si mangiano würstel e si beve birra piangendo nel ricordare il nonno...per il suo occhio indagatore però non c’è il tempo di giudicare. Ogni cosa va osservata per quello che è, e soprattutto, ad ogni cosa va dato un nome.
Forse è questo atteggiamento scientifico che consente ai popoli del Nord un rapporto così intimo con la morte: sono capaci di chiamarla per nome, di viverla e celebrarla come un fatto della vita.
Anche le immagini sono sorprendenti per quello che si permettono di mostrare: il nonno morto nella bara, la bara che scende nella terra durante il funerale. Niente simbologie o allusioni, nessuna metafora.
Unica concessione, una barca, che serpeggia nelle immagini sussurrando piano di un viaggio, quasi a voler suggerire, che sì, chi muore se ne va, ma la Morte è più un affare dei vivi, che devono affrontarla con gli strumenti della vita. E in questa vita Bruno è sempre presente, piccolo, quasi fagocitato dal tratto materico e pesante delle illustrazioni, sì, ma in mezzo alle cose che accadono.
Potrebbe sembrare di essere in un libro a tema, se non che la narrazione, seguendo senza imbarazzo la pulsazione del ragionare e indagare di Bruno, travalica i confini della semplice spiegazione e si trasforma in scoperta e avventura. In ogni pagina, una tappa del pensiero: la rabbia che il nonno se ne sia andato, la poltrona vuota del nonno, lo sconcerto di fronte al fatto che il nonno possa essere sia sotto terra sia nel cielo, la paura di dimenticare, il pensiero alienante della propria morte. Vicino a Bruno ci sono i grandi, che lo accompagnano spiegando con delicatezza quello che possono spiegare e ritraendosi con onestà quando loro stessi non hanno risposte. E sai cosa, Formica, mi ha sorpreso? I grandi in questo libro non danno nessuna risposta certa quando si tratta di parlare delle questioni spirituali, mettendosi proprio allo stesso livello di Bruno...
Quando Bruno ha conosciuto e sperimentato a sufficienza, riesce finalmente a concedersi la consolazione delle lacrime. E da quel momento, il tempo, che sembrava essersi fermato comincia di nuovo a fluire. Una bicicletta e via di nuovo verso la vita, i giochi al cimitero davanti alla tomba del nonno e dopo qualche mese, addirittura l’arrivo di un nuova vita, un cuginetto avvolto in una coperta che dimena i piedini già infilati in un paio di piccole scarpe.
Sai, sono contento di essere stato tanto tempo accanto a Tasso. Era l’unica cosa che potevo fare, anche se a una domanda non riesco a rispondere...dove sarà andato a finire, tutto quello che faceva di Tasso il mio amico?
Sai rispondere tu?
Scoiattolo
P.s.
Mi è venuto in mente un altro libro, in cui due fratellini
capitanati da una intraprendente sorella maggiore si inventano il
gioco di seppellire animali morti che trovano nel bosco afoso e
traboccante di luce estiva. I tre gioiscono attorno a ogni animaletto
senza vita che capita sui loro passi...un bombo, un topolino, dei
pesci, un gallo. Il gioco della sepoltura si ripete e si ripete fino
ad assumere toni quasi irrispettosi...
Ma proprio sul far della sera
i bambini trovano un merlo ferito che muore tra le loro mani. La
Morte si fa per loro realtà, diventa un fatto che riescono a
toccare.2
Ah,
caro Scoiattolo, se lo sapessi avrei la chiave per aprire la porta
della serenità. Non ce l'ho, mi spiace. Ma il tuo libro che racconta
e illustra le tappe di esplorazione del piccolo Bruno mi pare centri
un paio di punti nodali della questione: quella rabbia incontenibile
di fronte al torto che ci pare di subire nel veder andar via persone
a cui vogliamo bene e il vuoto, anche fisico, che si genera
inevitabilmente con quella partenza.
Io
ricordo molto bene la mia rabbia, tu ti sei arrabbiato con l'amico
Tasso, lì sdraiato?, e ricordo molto bene anche la rabbia che si
trova nel libro di Michael Rosen3
(ti ricordi, no? lo scrittore di libri per bambini, il papà di A
caccia dell'orso), scritto a 4 anni di distanza dalla morte del
figlio diciottenne. Nel suo caso, a rabbia si deve essere aggiunta
rabbia perché la perdita di un figlio ha in sé qualcosa di
aberrante, in quel suo essere prematura e, in qualche modo,
innaturale. Non credi?La rabbia chiama spesso un urlo e quel libro lì è davvero un grido di dolore di un uomo triste che il suo caro amico, Quentin Blake, con rispetto e tenerezza, ha cercato di rappresentare. E' un libro che brilla per raggelante lucidità.
Esordisce con una faccia sorridente di Michael che fa finta di essere allegro e poi tutto annega nel grigio.
Il colore arriva solo nei rabbiosi ricordi di un passato comune - come hai osato andartene, e morire e per questo farmi sentire così triste? Come ti sei permesso? Il ragazzo non può replicare, non può dire nulla, semplicemente perché lui lì a rispondere non c'è. Al suo posto c'è il silenzio: una vignetta vuota. Quentin Blake riassume in quattro linee l'assenza. L'assenza, come vedi, ritorna.
A voler trovare altre tangenze anche qui, nel titolo, torna il cuore, e torna anche un nonno -categoria un po' sotto scacco nell'editoria funeraria pensata per bambini, non ti pare?
Bene, questo nonno dai pantaloni turchesi passa il suo tempo a fomentare e poi soddisfare le mille curiosità della sua intraprendente nipote. Insieme esplorano, indagano, si avventurano nello spazio, nel mondo vegetale e in quello animale: di solito, lui seduto con un libro in mano, e lei che gli ronza intorno come un'ape curiosa. Poi un giorno quella poltrona resta vuota. La bambina smette di ronzare, si ferma, si siede in contemplazione silenziosa di fronte a quel vuoto inaspettato, illuminato dalla tagliente luce lunare che filtra da una finestra: è la presa di coscienza che adesso lei è sola.
E come la rabbia genera grida, la solitudine genera insicurezza. Quel suo cuore abbandonato ha bisogno di mettersi in salvo, almeno per un po'. La soluzione immaginifica di Jeffers è una bottiglia di vetro trasparente entro cui custodire il proprio cuore, portandolo appeso al collo, così non si deve neanche troppo spostare dallo sterno, suo abitacolo consueto.
Al principio sembra funzionare, ma il cuore, col passare del tempo inevitabilmente, cresce e rimane intrappolato. Ancora una volta, nulla è più come prima...
Ho bisogno di fermarmi anch'io come la bambina, a pensare, Scoiattolo! E per farlo provo a tirare due somme e guardare le cose dall'alto: se traccio una mappa geografico culturale di bei libri su questa storia del morire noi, come insetti e roditori di matrice italica, ne siamo perennemente fuori. Non sarà che è un po' un tabù, in lungo e in largo, in su e in giù per lasoleggiata penisola?
Se così è, dai, togliamoci il gusto di continuare a parlarne liberamente ancora per un po', ti va?
Domani ti scrivo, aspettatelo!
Formica
1A.
Fried, J. Gleich, Hat Opa einen Anzug an?, Hanser 1997
2U.
Nilsson, E. Eriksson, Die beste Beerdigungen der Welt, Beltz 2016
3M.
Rosen, Q. Blake, Michael Rosen's sad book, Walker 2011
4O.
Jeffers, The heart and the bottle, HarperCollins 2010
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