LA BAMBINA TRASGRESSIVA
Katitzi,
Katarina Taikon (ill. Johanna Hellgren)
(trad. Laura Cangemi,
Samanta K. Milton Knowles)
Iperborea, 2018
NARRATIVA PER MEDI (dai
9 anni)
"Pelle e Gullan
andarono in avanscoperta per controllare non ci fosse nessuno nei
paraggi. Ma non c'era da aver paura: erano tutti nel bosco a cercare
e chiamare. Si sentivano lontano un miglio.
Katitzi corse a più
non posso fino alla casa e alla porta sul retro. Poi salì di
soppiatto le scale, silenziosa come un topolino in una dispensa.
Arrivata a metà, però, vide aprirsi una porta.
'Katitzi?'"
Beccata!
La breve fuga di Katitzi si ferma davanti alla signorina Kvist,
l'unica persona adulta gentile di tutto l'istituto, diretto dalla
severissima e implacabile signorina Larsson. Contrariamente a quanto
si potrebbe pensare, questa bambinetta vivace di otto anni, sta
scappando dall'idea di dover tornare a casa con papà Taikon, che
come gli altri, ora la sta cercando per ogni dove.
Nonostante
la Larsson e la piccola Rut, detta da tutti Brut, Katitzi non patisce
così tanto la vita in orfanotrofio da desiderare di andare con il
papà che per lei è quasi uno sconosciuto. E soprattutto non ha
nessuna intenzione di lasciare i suoi due cari e unici amici. La
partenza è solo rimandata. Due settimane dopo la piccola fa la sua
valigia e sale su quella macchina squadrata che la porterà verso una
vita tutta nuova.
Katitzi
è rom come suo padre e i suoi numerosi fratelli che vivono, con la
nuova moglie svedese di lui, in un carrozzone e per vivere fanno i
giostrai.
Il
cambiamento per questa ragazzina è enorme. Persi gli amici, trova ad
aspettarla al campo due affettuose sorelle poco più grandi di lei,
da cui presto impara le nuove abitudini e un diverso modo di
intendere la vita. Impara la bellezza di una famiglia grande in cui
tutti sono chiamati a fare la loro parte, ma conosce anche la fatica
di essere sempre guardata con sospetto e tenuta a distanza e ai
margini della società: ai rom gli svedesi chiudono le porte di ogni
servizio sociale, di scuole, di case, di terreni dove piantare le
tende.
In
perenne fuga dalle prepotenze e dal pregiudizio, l'infanzia di
Katitzi va avanti, nonostante tutto. Questa è la sua storia. Ed è
sostanzialmente vera.
Dietro
il soprannome, Katitzi, piccola Kati in lingua romanì, c'è il nome
di Katarina Taikon. Figlia di padre rom e di madre svedese, la Taikon
fu una donna speciale - e bellissima - che per tutta la vita
combatté per i diritti dei rom. Nel 1953, con la sua battaglia
civile, riesce a far abolire il bando sui rom in Svezia. Ma non è
ancora sufficiente. Capisce che se vuole demolire il pregiudizio e
far trionfare le sue idee, deve rivolgersi alle giovani generazioni.
Comincia così, alla fine degli anni 60, la sua professione di
scrittrice per l'infanzia: in tredici romanzi racconta la sua vita,
davvero difficile e dura, di bambina e ragazza rom.
Un'altra
lezione che arriva dal Nord, che genera un paio di riflessioni
preliminari.
La
prima è proprio su questo Nord che, inaspettatamente, fatica
anch'esso - sebbene in netto anticipo sui tempi - a liberarsi da
stereotipi e pregiudizi etnici.
La
seconda riguarda l'origine stessa del romanzo: raccontare la propria
infanzia come investimento che si vuol fare nei confronti dei piccoli
che da lì a poco diventeranno grandi. Insomma, alludo alla
lungimiranza di voler curare oggi l'educazione dei piccoli in
un'ottica che contribuisca a renderli buoni adulti domani. Non si può
dire sia un'idea rivoluzionaria, tuttavia il modo in cui questo
processo educativo è stato messo in atto dimostra di essere di non
poco interesse.
Per
capirne appieno il valore credo occorra riflettere su cosa e su come
scrive la Taikon.
Il
primo fattore è l'assenza totale di retorica che invece, visto l'argomento,
poteva essere lì a portata di mano.
Il racconto corre per la sua strada senza mai cedere alla
tentazione di diventare didascalico o solutorio.
La
seconda peculiarità è data dalla serena consapevolezza della Taikon
nel descrivere la distanza che esiste tra il mondo degli adulti e
quello dei bambini.
Anche
tenendo conto che sono altri anni da questi, ciò nonostante
l'infanzia in questo romanzo è tutt'altra cosa rispetto al mondo dei
grandi. Tra le due sfere c'è comunicazione ma non permeabilità. Tra
loro si confrontano, ma i grandi (quasi tutti) agli occhi dei piccoli
rappresentano l'autorità, la forza, il potere e non c'è discussione
o margini di trattativa su questo.
A loro bisogna obbedire e basta.
Sebbene
non si dimostrino mai rassegnati, i bambini della Taikon non sono
ribelli. Dove trova sfogo allora il loro malumore? Altrove, ovvero in
quello spazio di onnipotenza che l'infanzia porta in sé e che è la
sua forza ultima e invincibile.
Le
bambine rom della Taikon non sono ribelli, ma di certo trasgressive,
nel senso che sanno 'attraversare', andare al di là del mondo degli
adulti.
D'altronde,
se così non fosse stato, questo romanzo non esisterebbe.
Katitzi
e la Taikon si inseriscono senza difficoltà nel solco delle 'bambine del Nord' e
delle scrittrici del Nord' di cui Giordana Piccinini scrive nel
numero 44 di Hamelin dedicato ai racconti di infanzia.
Sulla
base di un ragionamento che già Giovanna Zoboli fece su Doppiozero,
Giordana Piccinini individua una serie di caratteri distintivi delle
bambine letterarie del Nord, da Pippi in poi.
A
loro va assegnata la conoscenza del mondo attraverso l'esperienza e
la sua continua ri-creazione. 'La misura del mondo viene
continuamente rinegoziata dal loro sguardo. È un rapporto con le
cose altamente creativo che richiede una forza fisica, un'energia
mentale, un'intelligenza, un'attenzione e una fiducia straordinarie.'
Prendendo a prestito le parole
di Giovanna Zoboli sui personaggi della Lindgren, si potrebbero
definire analogamente anche i bambini della Taikon. 'I
suoi bambini sanno vivere: nella gioia e nel dolore, in salute e
malattia, a ogni pagina celebrano il loro matrimonio con la vita, per
niente intimoriti dalla propria piccolezza.'
Al
pari di altre bambine del Nord, anche Katitzi e le sue sorelle hanno
quella capacità tutta infantile di vivere il tempo attraverso lo
spazio: in questo romanzo si avvicendano due ritmi di vita
diversissimi che prendono forma in due luoghi agli antipodi, un
asfittico orfanotrofio e un indefinito campo rom. Katitzi li
attraversa entrambi senza mai smettere di sognare per sé un futuro.
Non
resta che gioire per un'altra bella storia del Nord recuperata da
Iperborea, bella storia di infanzia, bella perché vera.
Chissà
se gli adulti che lo vorranno condividere con i più piccoli, lo
faranno solo per coglierne l'aspetto strumentale, cavalcando il
'politicamente corretto'? E chissà che invece non decidano di essere
loro stessi 'trasgressivi', etimologicamente parlando, capaci di
andare oltre? Chissà.
Carla
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