E QUIVI RAGIONAR SEMPRE...
Rigo e Rosa, Lorenz
Pauli Kathrin Schärer (trad. A. Valtieri)
Il Castoro 2019
NARRATIVA PER MEDI (dai
7 anni)
"Qualcuno stava
piangendo. Rigo si sarebbe tappato volentieri le orecchie con le
zampe, se non le avesse usate come cuscino.
Il pianto non
accennava a smettere. Rigo aprì un occhio e sbirciò tutt'intorno.
Eccolo lì, un topolino. Era lui che piangeva.
'Gli chiedo cos'ha o
me lo mangio?' pensò Rigo.
Bah! Chiediamo. A
mangiarlo, sono sempre in tempo.
Il contrario è più
difficile."
Il
topolino piangente si chiama Rosa ed è in lacrime perché ha paura
degli animali cattivi. A questo punto il disorientamento di Rigo,
leopardo dello zoo di Berna, è quasi al culmine. Ma quando Rosa gli
chiede con la migliore ingenuità di proteggerla dalle belve feroci
che tanto la atterriscono, lui è davvero davvero disorientato. Non è
dato sapere perché Rigo non la inghiotta come un cachet, e invece
le porga la punta della sua coda in cui avvolgersi perché anche un
topo per dormire ha bisogno di qualcosa di morbido, ma lo fa. E nulla
per quei due fu più come prima.
Con
Rosa si più chiacchierare, giocare, ragionare, ci si può fidare, ci
si può abbandonare alle confidenze, ai ricordi, ci si può far
consolare e curare il raffreddore. Si può discutere dei massimi
sistemi,oppure organizzare una festa, e si possono fare scherzi
bellissimi e guardarsi dritto negli occhi. E poi, insieme, si può
anche vedere uno Sgnuck.
Questa
è la storia di due che sono diventati amici.
Ci
sono libri che fanno come Rosa con Rigo: chiedono attenzione e, quando
la ricevono e si sentono al sicuro, non se ne vanno. Magari si
allontanano, ma poi inevitabilmente tornano. Sono libri amici.
Come
spesso accade, la prima scintilla che determina l'avvicinamento e
l'attenzione tra un lettore e un libro parte da un brivido di
entusiasmo, del tutto personale. È inevitabile. In questo preciso
caso c'è una antica e coltivata passione per Kathrin Schärer, per
il suo modo disegnare a pastello gli animali. Un segno e una paletta
di colori inconfondibili, e nel contempo una grande aderenza al
canone classico. Le si deve riconoscere, una grande abilità nel
disegno e una spiccate sensibilità nel dare a tutte le sue immagini
uno spessore emotivo piuttosto evidente.
La
seconda ragione, anche questa tutta personale, è data dal fatto che
si tratta di un libro fatto di racconti: ventotto. Forse per esigenze
di lavoro (nella lettura condivisa le storie brevi funzionano meglio,
ovviamente), forse perché il racconto - se ben architettato - può
avere una potenza compressa, comparabile a quella di una narrazione più lunga e
complessa, fatto sta che i racconti sono gli ambienti letterari che
trovo più accoglienti.
La
terza ragione che ha acceso l'entusiasmo è più oggettiva e sta nel
fatto che libri di buona fattura, pensati per lettori e lettrici alle
prime esperienze, sono piuttosto rari. E ancora più rari sono quelli
che garantiscono la qualità in tutte le sue parti, ovvero una buona
idea di partenza, un buon testo, un buon disegno e una buona
confezione finale.
Provo
a entrare nel dettaglio. L'idea nasce da un fatto realmente accaduto:
la morte del leopardo persiano di nome Rigo, che dal 1993 al 2010 ha
soggiornato nello zoo di Berna e da una serie di piccoli racconti che
Pauli scrisse in quel frangente, per il Bärn! Magazin.
Già sapendo
questo, immediatamente il livello di empatia con i personaggi di
questi racconti si alza: quel leopardo è esistito veramente.
La
qualità del contenuto però è tutta nella capacità di Pauli di
mettere in uno scenario autentico una sequenza di dialoghi
'impossibili'.
E
ulteriormente, lo spessore di queste conversazioni arriva
dall'impronta filosofica che esse hanno.
Rigo
e Rosa possono essere la rappresentazione in carne e pelo di come sia
l'amicizia, ma questo non rende giusto merito a ciò che
non sta in superficie, ma che prende corpo solo facendo sedimentare
lentamente i dialoghi divertenti e surreali di quei due. Ricorda, in
questo, la capacità di lettura del mondo in chiave filosofica che va
riconosciuta ad autori come Toon Tellegen o, talvolta, Bernard Friot.
In
sostanza si tratta di avere uno sguardo che sappia leggere la
profondità e lo sappia fare con leggerezza. E così, con grande
semplicità, nei discorsi tra leopardo e topo si ragiona su che cosa
significhi essere se stessi e accettarsi per quello che si è,
sull'autodeterminazione, si riflette sulla fiducia e quanto essa
abbia a che fare con la paura, si parla della curiosità che muove il
sapere, a sentire loro due ci si intenerisce per la nostalgia di casa
di un leopardo afgano chiuso in un recinto svizzero fin dalla
nascita.
Si ragiona dell'ottimismo e del pessimismo, del Nulla e del
Bello.
Del diventare vecchi, della morte e del distacco. E a tutto
questo si alternano giochi, diverse follie e qualche domanda di
fisica.
A
parte un paio di scivolate un po' retoriche, il tono si mantiene
sempre a un ottimo livello ed è per questo motivo che sarebbe così
bello sperare che, per disporsi bene verso la loro giornata, tutti i
bambini e le bambine potessero partire da storie come queste.
Carla
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