Dacca toxic, Catherine Fradier (trad. Ilaria Piperno e Sante Bandirali)
Uovonero 2023
NARRATIVA PER GRANDI (dai 13 anni)
"'Non voglio ferirti Sacha, ma in certi momenti sei così... bizzarro. È chiaro che sei molto intelligente, dipende da qualcos'altro...'
'Da una neurodivergenza. Sono autistico. Un autistico di livello 1.'
'Che roba è?'
'È una forma di autismo senza deficit di intelligenza, né ritardo nel linguaggio. Significa avere difficoltà a comunicare, a comprendere i codici sociali, a decifrare le emozioni. Questa è anche la spiegazione del mio interesse e della mia tendenza ad appassionarmi esageratamente a temi molto specifici. E spiega molte altre cose...'
Di colpo mi sento esausto, resto in silenzio. E mi alzo in piedi.
'Vado a dormire, questa conversazione mi ha fatto stancare. Buona notte Sultana.'"
Sultana è una ragazzina ricoverata nel Rifugio, il campo base in cui la madre di Sacha, medico, opera. Sacha segue sua madre in tutte le sue missioni all'estero, dal giorno in cui lei ha deciso di ritirarlo da scuola perché vittima di feroci atti di bullismo.
A Parigi, madre e figlio, ci stanno ben poco: la maggior parte del tempo sono in giro per il mondo a cercare di portare aiuto dove ce ne sia bisogno.
Ora sono Dacca, capitale del Bangladesh. Megalopoli inquinata e piena di contraddizioni sociali. Quella con cui madre e figlio Sourieau entrano in contatto è lo slum di Hazaribagh, in cui c'è la più grande conceria a cielo aperto del Bangladesh, ne raccoglie al suo interno almeno novanta.
Condizioni di lavoro impensabili, inquinamento da prodotti tossici e bambini, soprattutto bambini sfruttati che ci lavorano almeno dodici ore al giorno per sette giorni la settimana. Bambini la cui pelle si brucia con gli acidi che maneggiano senza nessuna precauzione. Aria mefitica per i prodotti per la concia e per l'assoluta mancanza di una qualsiasi norma igienica della baraccopoli che è sorta intorno alle concerie.
Un inferno. Che la madre cerca di risparmiare a Sacha il quale, nel centro, fa la sua vita di sempre, con la sua tenda Quechua, in cui rintanarsi, con Sophie che ne coltiva l'istruzione e ne riempie le giornate, quando sua madre è fuori per prestare il suo aiuto sul campo.
Ma se Sacha viene prudentemente tenuto lontano da quell'orrore quotidiano, è proprio quello stesso orrore che gli si para davanti con l'arrivo di Anil prima e di Sultana poi.
Sono entrambi reduci di incidenti alla conceria, entrambi arrivano in condizioni disastrose e senza più voglia di andare avanti: Anil ha perso le gambe e Sultana è stata colpita da uno schizzo di acido sul viso, che le ha fatto perdere un occhio e le ha sfigurato la parte alta del viso.
Per scalfire il silenzio e la depressione di entrambi entra in gioco Sacha e il suo libro sulle meduse che ha il merito di 'riaccendere' Anil, che presto torna nel gruppo e lascia l'infermeria.
Mentre il silenzio e la totale apatia di questa ragazzina si interrompe, per incanto e in modo del tutto inatteso, con un sorriso e una mano che si protende verso di lui, con una richiesta precisa nei suoi confronti: basta parlare di meduse...
Questa è la storia piuttosto avventurosa di una neurotipica sfigurata dall'acido e un neurodivergente che si impegna parecchio perché lei in quella conceria non ci debba più tornare.
Una bella conferma, dopo Una piccola cosa senza importanza che nel 2021 si era rivelato già molto convincente per diverse ragioni.
Le stesse ragioni che rendono anche questo secondo titolo qualcosa di molto particolare, letterariamente parlando.
Qui in modo ancora più evidente che nel primo romanzo, Catherine Fradier fotografa una realtà, anzi due, anzi tre con una lucidità che sa essere anche maledettamente dolorosa.
Lo sguardo divergente di Sacha, che continua ad avere la sua tenda rifugio, che continua a non mangiare cose marroni, è lo sguardo dominante che attraversa la storia a cui Fradier - andando dritta per la sua strada - abitua i suoi lettori.
A questa nuova prospettiva di visuale ci si conforma immediatamente, arrivando addirittura a convenire, al fianco di Sacha, che il nostro modo di ragionare da neurotipici non è sempre il migliore e il più efficace.
Il valore benefico di questo sguardo non credo di doverlo spiegare.
La seconda realtà consistente che qui viene messa in luce è la situazione dello sfruttamento del lavoro minorile e contemporaneamente le condizioni di inquinamento in cui questi piccoli schiavi si trovano costretti a vivere. Così il caso di Dacca diventa, con le sue crudezze, bandiera di molte altre tremende realtà in cui l'infanzia viene sfigurata.
Ecco, se qualcuno fosse in cerca di letteratura d'evasione, questo non è il libro adatto.
La terza realtà che Catherine Fradier mette sulla pagina, ci riguarda ancora più da vicino.
Quella che all'inizio sembra essere una storia marginale, laterale rispetto alla situazione delle concerie di Hazaribagh e alla storia-guida di Sultana, irrompe nella seconda metà del libro e lasciando una forte traccia di sé.
Il fratello di Sultana, Dilip, non lavora come la sorella in una conceria, ma in un mattatoio ed è intorno a questo luogo di sangue e dolore che ruota la parte avventurosa, cui Tradier non rinuncia mai.
Nonostante la costruzione narrativa non lasci scampo al lettore che resta incollato alle pagine che corrono verso il finale, travolgendolo, ecco, nonostante questo, mentre si è lì che si corre sui risciò attraverso le strade notturne di Dacca, si attraversano incolumi fiumi di liquami e scarti chimici tossici, arriva - una mazzata alle spalle che ci atterra.
A tutti quelli che si aspettano che la letteratura sia palestra indolore in cui allenarsi alla vita, beh, sappiano che non è sempre così.
Se se ne vuole uscire incolumi, in fondo basterebbe chiudere il libro e fare altro.
Ecco, così come già mi era capitato con Safran Foer, Se niente importa, anche ora con Tradier - che peraltro proprio da Safran Foer si dice illuminata - se chiudo il libro, non riesco a fare altro.
La mia coscienza è lì che mi guarda e allora faccio voto di non voler più avere una bistecca davanti. Mai più.
Duro, crudo, impietoso (è forse l'unico modo per accendere l'attenzione di un popolo di 'distratti' e scuotere le loro coscienze?) è il racconto di una notte in quel mattatoio da parte di Sacha che ne attraversa i tremendi meccanismi di morte, guardandoli e raccontandoli con quella precisione matematica che caratterizza il suo modo di mettere in ordine i fatti.
Talmente indicibili, che è meglio scriverli in uno dei suoi tanti Moleskine.
Un libro necessario.
Carla
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