Vita segreta degli animali, Benjamin Rabier (trad. Verba manent)
Pulce Edizioni 2023
ILLUSTRATI PER MEDI (dai 7 anni)
"Per tutta la sua carriera, durata oltre quarant’anni, Rabier conserva uno stile semplice, spontaneo, eppure immediatamente riconoscibile, operando una vera e propria rivoluzione nel mondo del libro illustrato. È uno dei primi artisti a scegliere come protagonisti degli animali, rendendoli sorprendentemente umani e dotandoli della più vasta gamma di emozioni ed espressioni. Ci piace pensare che ci sia un po’ di Benjamin in ogni animale che sorride tra le pagine di un albo illustrato."
Ed è questa effettivamente uno dei motivi per cui si parte a ragionare su Vita segreta degli animali.
E, a voler essere più precisi e puntuali, a muovere queste riflessioni è una sana curiosità verso quella che fu - si sa - una lettura assidua di un bambino francese di nome Gilles. Cognome, Bachelet.
Credo possa essere di interesse comune conoscere un po' meglio una delle più importanti fonti di ispirazione di uno dei più interessanti autori francesi contemporanei.
A dire il vero, le sue letture preferite, quelle che lo hanno fatto ridere tanto tanto da bambino e che non ha mai dimenticato, sono le storie di Gédéon, un incontenibile papero giallo che imperversa e arriva in qualsiasi angolo della terra (e che forse anche Walt Disney non deve aver ignorato...).
Ma, preferenze di Bachelet a parte, Rabier va amato anche per tutto il resto.
E quindi, evviva Rabier tout court!
Perché ha davvero rappresentato uno dei punti di partenza fondamentali per tutto il fumetto, almeno per quello francese. E non è poca cosa. Ed è stato uno dei primi a giocare seriamente con il disegno e con le sue cornici...
La sua storia e la sua vita, per certi versi paradossale, è ben riassunta in fondo a Vita segreta degli animali, e qui basterà sapere che nasce nel 1864 e che per mantenersi lavora soprattutto di notte, per vent'anni almeno come ispettore ai mercati di Les Halles, e di giorno disegna, disegna e ancora disegna. Soprattutto animali. E inventa cose bellissime e geniali e discretamente folli. L'esatto contrario della serietà e rigore che dovette avere in qualità di ispettore.
Guardiamo dunque Rabier attraverso gli occhi di un contemporaneo, Bachelet.
Quali sono le cose che ha preso da Rabier?
Sono tre, principalmente.
La prima è la linea chiara. Infatti è proprio Rabier che ne fa un uso sistematico. Diffusa principalmente in area francofona, tra Francia e Belgio, è utilizzata nell'ambito del fumetto: da Tintin in poi (Hergé proprio da Tintin-Lutin di Rabier/Usly prende le mosse per il suo fumetto). La linea chiara, con quel suo modo morbido, ma assolutamente preciso e pulito di definire il contorno sottile delle figure, che risultano immediatamente leggibili, è innegabilmente, a distanza di tanti anni, uno dei tratti caratteristici dell'arte di Gilles Bachelet.
La seconda cosa che li accomuna, ispiratore e ispirato, è il casting dei loro personaggi.
Entrambi privilegiano di gran lunga la volontà di raccontare le loro storie attraverso attori presi dal bosco, dalla fattoria, dai campi: animali. O meglio, animali espressivi. Entrambi di questa espressività ne hanno fatto un valore in sé.
Dunque, disegnare quasi solo animali. Perché?
Le ragioni che sono dietro a questa scelta sono di certo culturali, ma anche personali.
Da una parte prediligono entrambi lavorare attraverso la 'favolosa' metafora di un animale che agisce, mimando pregi e difetti che non sono propri della sua natura, ma che invece corrispondono alla perfezione a quella umana.
Mettere in scena animali significa 'mettere in sicurezza' il racconto da ogni riferimento diretto.
Poi, chi vuole capisce e chi ne è capace si riconosce.
Entrambi, Rabier e Bachelet, come molti altri grandi autori, hanno preferito prendere la strada della favola per raccontare delle grandi verità, altrimenti potenzialmente scomode.
Dall'altra, le ragioni personali dei due risiedono nella loro naturale attitudine e maestria nel saper disegnare quadrupedi e consimili.
Bachelet, rispetto a Rabier, fa un ulteriore passo, ossia gioca anche sulla forma (e sulla nomenclatura) degli oggetti e quindi nelle sue storie capita che uno champignon per ironia (della sorte) diventi Napoleon.
Ecco, l'ironia.
Lei è la terza grande cosa che il bambino Gilles potenzia dopo le sue letture di Benjamin Rabier. Enorme e diffusa, tanto nell'ispiratore quanto nell'ispirato.
Condividono quello sguardo che è nello stesso tempo bonario e maledettamente autentico, fino a diventare, questo sì un po' scomodo. Senza mai sconfinare nel sarcasmo, usano l'ironia per mettere in ridicolo - con la dovuta delicatezza - i personaggi delle loro storie e anche, con un bel salto mortale, quelli che essi sulla pagina stanno a rappresentare.
Entrambi sanno essere visionari e giocare sul filo dell'assurdo ogni volta che possono.
Se i libri e i fumetti di Rabier, e Rabier stesso, in Francia fanno parte dell'immaginario collettivo, ragione per cui i bambini mangiano tuttora i formaggini de La Vache qui rit, da lui disegnata, e i suoi libri pieni di animali continuano a essere pubblicati con successo, al di qua delle Alpi le cose sono andate diversamente.
Il suo nome e la sua arte sono molto meno noti; fa eccezione un'edizione di Castelvecchi, Il gatto curioso e altre storie, un'antologia di suoi racconti, pubblicata nel 2015.
Però ora arriva Pulce, un editore che ha fatto della riscoperta di libri magnifici e dimenticati la spina dorsale del proprio catalogo, che pubblica questo piccolo gioiello, che c'è da augurarsi non passi di nuovo inosservato.
Nell'edizione italiana, due cose, non proprio dettagli, vengono modificate rispetto all'edizione del 1909 di Garnier Frères.
Spariscono del tutto i testi che Rabier aveva scritto come didascalie alle sue tavole a fumetto. A ben vedere, il più delle volte non se ne sente la mancanza, anzi le singole vignette mute, a parte il titolo, sono un buono sprone per stimolare l'arguzia sopita, ma altre volte la loro presenza avrebbe aiutato o addirittura avrebbe aumentato l'ironia interna (la gallina con le tre uova colorate, in Tutto fa uovo, per esempio, o ancora, nella sequenza intitolata L'invidia è una brutta bestia, arrivare alla morale avrebbe avuto un suo perché).
Altra cosa che si modifica è il numero delle tavole: ossia ne mancano circa una dozzina, pagina più pagina meno. A parte le ragioni legate a una esigenza editoriale precisa - vogliamo stampare un libro di 48 pagine - che hanno una loro legittimità, azzarderei a pensare che ci fosse anche qualcosa d'altro a guidare la scelta del "questo sì, questo no".
Un libro del 1909 parla una lingua diversa da quella attuale, ha parlato a lettori diversi da quelli di oggi, racconta un mondo differente. E quindi, forse per non turbare troppo le piccole sensibilità, spariscono i maiali con l'anello nel naso, sparisce la famiglia di leoni, cacciati dall'Africa che cercano un lavoro alla cassa di un circo equestre, spariscono gli anatroccoli mangiati dalla volpe, o i conigli prelevati per la futura cena dalla cuoca schifiltosa...
Purtroppo con loro è sparito anche quel gatto geniale e socialmente schierato, che, alla finestra, tira un petardo nella ciotola piena del panciuto cane di casa, perché il cibo finisca sparato nella bocca del magro randagio che, a debita distanza, sbava d'invidia. E di fame.
Vabbè avremmo riso volentieri anche di quello.
Carla
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