mercoledì 29 ottobre 2025

ECCEZION FATTA!

ALL'INIZIO, IL CORPO E' UN LUOGO 
IN CUI NON SIAMO MAI STATI 



Non si può certo dire che avere un corpo, abitarlo, usarlo sia una faccenda che possa essere trattata in modo sistematico: questo è il luogo in cui primariamente si sperimenta la tridimensionalità. Se in un manuale anatomico il corpo può venire presentato con sistematicità, suddiviso per apparati coerenti, ognuno impegnato a gestire una concatenazione di funzioni sequenziali, ecco che nella vita, nell’esperienza, tutto si mescola e si sovrappone. 
Si rimane a lungo così, da piccoli, sospesi tra gambe troppo lunghe e gabbie toraciche che dolgono per il fiatone e la paura, tra cervello in confusione e stomaco in subbuglio, con il cuore accelerato e il fiatone a cavallo tra una corsa e l’amore. 


All’inizio, bisogna ammetterlo, il corpo è un luogo in cui non siamo mai stati. All’inizio, nel corpo tocca muoversi come farebbe un esploratore, tentando, lasciandosi guidare dalla curiosità e dalla fame, sbagliando e tornando indietro più volte prima di proseguire. All’inizio, il corpo è un’esperienza pionieristica in un territorio sconosciuto di cui a malapena si conosce l’estensione, ma che si ha la straordinaria occasione di visitare e percorrere dall’interno e in solitaria, raccogliendo informazioni sparse, talvolta grezze e materiche, provenienti da ogni dove: una messe personale e sconvolgente, che può apparire disarticolata, casuale, priva di direzione. E non è difficile immaginare – o ricordare – come questo andar vagando conduca con sé una certa dose di disorientamento che l’albo Dentro me cosa c’è? riesce a cogliere con grande sensibilità. 


Innanzitutto le immagini: le tavole raccolgono il concetto di corpo come spazio e lo traducono in territorio occupato da piante e forme incomprensibili, braccia che si allungano simili a strade, funghi e arborescenze multicolori, boschi, stelle e pianeti. Una cartografia primaticcia fatta di pezzi e frammenti che la pagina non può delimitare, bagliori di consapevolezza che si accendono in modo subitaneo e altrettanto velocemente si spengono. Ogni esperienza è collocata nella cornice definita del qui e ora tipico del tempo dell’infanzia o meglio, dell’esperienza esplorativa in territori sconosciuti, quando si è ancora incapaci di collocare le singole scoperte in un sistema organico più esteso.  


E poi c’è il testo. Non prova nemmeno a costruire una trama continua: si avvicina al corpo, poi se ne allontana, poi ci ricade dentro di colpo. 
Funziona per immersioni brevi, quasi a strappi. Registra ciò che succede, mette in fila sensazioni, domande, piccole rivelazioni. Così prende velocità emotiva, una sorta di vertigine che è il ritmo stesso di chi sta facendo esperienza per la prima volta: uno spaesamento ancora abbagliato dalla contingenza. 


Infine, il tema. Con la leggerezza esplosiva concessa dal linguaggio poetico, questo albo si permette di avvicinarsi a una questione delicata, di difficile nominazione. Il corpo non è solo un luogo intimo e segreto di unica pertinenza del singolo, ma anche una sostanza concreta e tangibile con cui quotidianamente ci presentiamo al mondo, dove siamo immersi in un contesto sociale e culturale che ha diretto controllo sulla legittimità e sul valore del modo in cui viviamo e nominiamo le cose. E tocca fare i conti con quello che gli altri vedono di noi. 


L’albo porta a galla con levità la questione del pervasivo e viscoso racconto che viene elaborato sul corpo dall’esterno, dagli altri, soffermandosi sui territori del fastidio, del disgusto e della sgradevolezza, sulle puzze e gli odori, sui gesti proibiti, quelli che non si fanno in pubblico pena essere considerati maleducati, inaccettabili, non corrispondenti a un modello, in altre parole, mostruosi.


Il fastidio del maglione sulla pelle, la fame che acceca, l'ebbrezza disgustosa delle dita nel naso, il parrucchiere che tira e strattona i capelli fino a trasformare il senso dell’identità. Si tratta di emozioni che mal tollerano anche i grandi, trasformazioni che non smettono di sbalordire, gesti esplorativi normati e contingentati dalla buona educazione, atti riprovevoli che vengono comunque praticati dai bambini in una zona liminare di esperienza da cui si viene distolti. Tuttavia, passando attraverso i territori del fastidio, mettendoli in scena, scardinandoli dall’innominabilità, le due autrici suggeriscono la possibilità di un contatto più profondo con l’immanenza del corpo, fatto di tenero realismo, perché se è vero che è di un luogo che stiamo parlando, allora è solo accogliendo tutti gli scorci, anche quelli meno interessanti, che possiamo pensare di vederne l’interezza. 


E questa è una cosa che fa bene a tutti. 
 

Giorgia

 “Dentro me cosa c’è?” Daniela Carucci, Giulia Pastorino, Terre di Mezzo 2022 

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