TROVARE LA CHIAVE
La bambina dei
libri, Oliver Jeffers, Sam Winston
(trad. Alessandro
Riccioni)
Lapis 2017
ILLUSTRATI
"Ho
ATTRAVERSATO OCEANI di PAROLE per chiederti: VIENI VIA con ME?
C'è chi ha
DIMENTICATO il LUOGO in cui vivo
ma su questa scia di
PAROLE io saprò indicarti la STRADA."
Talvolta si tinge
d'azzurro, è piccina, treccine composte ai due lati di una testa un
po' sproporzionata che accoglie due grandi occhi da cerbiatto
incantato. Ha gambine sottili che spuntano da un vestitino da
marinaretta: è la bambina dei libri. Una bambina di Jeffers. Sembra
che guardi lontano, seduta sulla costa di un librone rosso alto il
doppio di lei, così come appare fin dalla copertina.
Quel libro, come spesso
accade con i libri, è uno scrigno che va aperto, infilando una
chiave mancante nella serratura che brilla al centro della copertina.
Non abbiamo la chiave
per aprire il suo grande libro rosso, ma possiamo aprire quello che
abbiamo in mano.
Apertolo, scopriamo i
risguardi fitti di titoli di grandi storie concatenati una riga sotto
l'altra. Poi il libro comincia con una pagina ingiallita e una penna
e un calamaio che aspettano di entrare in azione, nelle mani di chi
avrà voglia di scrivere una storia, si suppone.
Quello stesso foglio,
girata la pagina, diventa vela gonfia di vento nel mare aperto delle
storie che la ragazzina attraversa sicura.
Davanti ai nostri occhi
la fantasmagoria si dispiega in tutta la sua pienezza: pagina dopo
pagina, testi di romanzi, di fiabe, porzioni di racconti, parole di
libri famosi danno vita a mari in tempesta, montagne da scalare,
boschi da attraversare, castelli da cui fuggire, nuvole da
raggiungere.
Ad ogni giro, la
bambina e il suo giovane amico, vanno avanti sulla scia delle parole,
attraversando scenari sempre diversi, ma sempre fatti di narrazioni
che si snodano sotto i loro passi. Fino ad arrivare al mondo che gli
appartiene: quello delle storie. Nella loro coloratissima casa, regno
della fantasia, tutti potranno entrare.
Chiuso il libro,
troviamo la chiave.
Trovare la chiave.
Ecco, ci ho messo molto
tempo per riuscire a trovare la mia, di chiave, quella di
interpretazione. Volevo dire qualcosa di onesto e, spero, sensato su
questo libro che tanto mi ha dato da pensare.
Cercherò di essere il
più chiara possibile nel percorso che ho fatto intorno a questo
libro che ha testé vinto il BRAW, il Bologna Ragazzi Award 2017.
Partiamo dal principio,
mettendo in luce un dettaglio.
Il dettaglio si
concretizza in una 'stranezza': il libro esce con Lapis e non con
Zoolibri che è lo storico editore di Jeffers per il mercato
italiano. Le ragioni possono essere molte: prettamente commerciali,
legate al mercato dei libri che è un mercato a tutti gli effetti con
gente che fa affari e vende e compra titoli di libri. O forse a ragioni
legate a una disattenzione temporanea di Zoolibri e, viceversa, a un
occhio più attento di Lapis. Ma se invece non fosse disattenzione,
ma piuttosto disaffezione temporanea? Non è possibile verificarlo.
Questo è stato il
primo rovello.
Il libro vince uno dei
premi più prestigiosi per la letteratura per l'infanzia e quindi
finisce sotto i riflettori e diventa immediatamente una 'star'.
Ne sono felicissima
perché Jeffers è uno dei miei autori di riferimento: uno di quelli
che, io penso, finora non ha mai sbagliato un colpo, a parte
L'incredibile bimbo mangialibri.
Di Jeffers mi convince
il modo di raccontare lo iato tra mondo dei piccoli e mondo dei
grandi; il suo costante riconoscimento nei confronti dei suoi bambini
di sapersela cavare sempre; il suo senso dell'ironia; il suo gusto
per l'assurdo che spesso prende la forma di veri e propri 'crescendo'
di immaginazione; la sua capacità di saper cogliere la realtà con i
vizi e pregi dell'umanità; la sua costante ricerca di sollevare
grandi questioni senza chiudersi mai dentro risposte precostituite;
la sua capacità di costruire storie bellissime che si sostengono
senza bisogno di appoggiarsi ad un tema; la sua abilità a non essere
mai didascalico e retorico; la sua abilità di rivolgersi a giovani
lettori e lettrici in modo diretto.
Leggo La bambina dei
libri con grande aspettativa, visto anche il BRAW, e mi
colpiscono alcuni elementi.
Provo a elencarli.
L'impatto dell'immagine
costruita con i 'paesaggi tipografici' di Sam Winston è fortissimo.
Bellissimi, semplicemente bellissimi, per forma e 'contenuto',
laddove essi sono costruiti con brani di libri (tradotti e modellati
a seconda della lingua) che con la forma che costituiscono - onda,
montagne, mostro, caverna... - hanno un robusto legame di senso. Il
buco in cui la bambina si cala è costruito con un brano dalle
Avventure di Alice nel paese delle meraviglie; l'onda con i Viaggi di
Gulliver; la corda con Raperonzolo e via andare. Graficamente
l'effetto è innegabile, anche se, da adulta, mi sarebbe piaciuto
arrovellarmi un po' di più nella ricerca delle fonti e non
trovarmele elencate con ordine, già nei testi o nei risguardi. Ma è
condivisibile l'esigenza editoriale di risultare comprensibile a
tutti. Da un maestro dei 'crescendo' mi sarei aspettata anche una
scelta più ricca di riferimenti letterari (meno di quaranta titoli
per raccontare il nostro immaginario letterario, non sono poi tanti).
La scelta dei testi, per ovvie ragioni, è una scelta adulta che può
coinvolgere i piccoli solo in alcuni momenti. E a questo proposito mi
chiedo quanto questa fantasmagoria tipografica possa arrivare nella
sua interezza ai lettori in erba, ma mi consolo pensando che, come
spesso accade, l'albo illustrato parla diversi linguaggi percepibili
da pubblici di lettori differenti. E quindi va anche bene così,
forse. Ma non posso non istituire un confronto con la scelta che fece Ponti
in Biagio e il castello di compleanno (Babalibri, 2005), dove l'immaginario, sebbene solo figurativo e non
letterario, mi è sempre parso molto più condivisibile tra piccoli e
grandi.
Secondo elemento. Il
disegno. Riconosco lo Jeffers che mi piace: bambini testoni e
magrolini che però sanno dominare il mondo, e lo spazio della
pagina. Riconosco e apprezzo il tratto incerto di chi sa anche essere
un grande artista e pittore. Apprezzo i grandi vuoti e il bianco e
nero, che sfuma in ombre di acquerello grigio o azzurro e il fuoco di
artificio della pagina del mondo. Riconosco il 'crescendo'. Riconosco
il lettering che trovo perfetto, come negli altri suoi libri. Mi
sento a casa.
E il disegno con il
paesaggio 'tipografico': semplicemente perfetto. Un'armonia costruita
a quattro mani per coltivare il senso di rinnovata meraviglia di chi
sfoglia le pagine.
Terzo elemento, il
testo. Un brivido lungo la schiena mi corre (e non solo a me) già
alla pagina due quando leggo 'e sulle onde della fantasia scivolo
veloce'. Nutro una 'idiosincrasia' per la parola fantasia in tutto
ciò che attiene all'infanzia.
Non ho modo di
spiegarlo nel dettaglio qui, ma credo dipenda dalla sovraesposizione
di questa parola nella retorica adulta sull'infanzia. In questo libro
compare ben tre volte. Non sono più a casa e, anzi, mi metto in
allarme e cerco il testo in inglese e trovo, per esempio, and upon
my imagination, I float. Quel my
imagination è diventato sulle
onde della fantasia. Ma perché?
Perché immaginazione è diventato fantasia? La lettura è una
precisa esperienza cognitiva che ha a che fare con l'immaginazione
più che con la fantasia. La fantasia ha a che fare con lo scrivere,
piuttosto. E soprattutto perché il my
scompare, sottraendo alla bambina il suo ruolo attivo e personale rispetto alla
sua 'fantasia'?
Quarto
elemento, che è di nuovo un rovello. La storia dov'è? È compressa
dal tema che predomina su ogni cosa intorno: leggere fa bene.
Mi
chiedo: c'è bisogno di dirlo o, peggio, di consigliarlo con tanta
enfasi? Non sarebbe più efficace tentare di creare nuovi lettori
leggendo loro libri meravigliosi, tutti quelli di Jeffers (anche il
Bimbo mangialibri che è sull'orlo del baratro del didascalico, ma
non ci cade dentro) per esempio?
Ecco
che nella mia testa fa un passo indietro l'Oliver Jeffers che ha
saputo parlare di lutto, di solitudine, di pochezza umana, di egoismo
attraverso storie magnifiche che hanno avuto il merito di avviare il
ragionamento nelle menti di giovani lettori e lettrici su argomenti
così tanto importanti, quanto lo è l'amore per le storie. E si fa
avanti, invece, uno Jeffers che rende omaggio, da adulto,
all'immaginazione, o meglio al suo (o di Sam Winston) immaginario,
costruitosi nel tempo attraverso le letture di Melville, Shelley,
Defoe, Stoker, Grimm e gli altri.
Scusate
l'ardire, ma io, nonostante il Braw, provo una
disaffezione temporanea.
Carla
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