IL PROFUMO DELLA DIVERSITA'
LA ROSA, Ljudmila Petruševskaja, Claudia Palmarucci
Orecchio Acerbo, 2011
ILLUSTRATI PER GRANDI (dai 12 anni)
"Si fece piantare di buon grado in un vaso e legare con una cordicella a una lunga canna, perché i professori gli spiegarono che altrimenti avrebbe potuto piegarsi."
Un omino anziano, dall'aria spaurita e dal naso lungo e sottile, un giorno cominciò a profumare di rosa; ma non un leggero e passeggero olezzo, ma, al contrario, un profumo penetrante che non si dissolveva col tempo. Tutti, al suo passaggio, persone, cani o gatti che fossero, se ne accorgevano e si bloccavano ad annusare e a chiedersi da dove provenisse tale profumo. Nonostante l'omino affermasse di essere lui la causa, nessuno gli credeva e, anzi, passava del tutto inosservato. In famiglia e nel palazzo, invece, tutti si lamentavano con lui.
A questo curioso problema occorreva trovare una soluzione. Si rivolse, così, all'accademia botanica. Là gli scienziati, tralasciando il fatto si trattasse di un uomo, lo studiarono e lo curarono come se fosse una pianta. Queste attenzioni, tuttavia, piacquero all'omino che, di buon grado, accettò di farsi mettere in vaso e annaffiare abbondantemente e anche concimare. La scomparsa altrettanto improvvisa del profumo non scombinò i piani degli scienziati, che lo definirono una rosa rosa-pallido senza profumo e lo mostrarono al pubblico e lo esibirono a convegni sul tema.
E all'omino, così, gli toccò sopportare la vita del fiore. D'altronde "i fiori sono creature sottomesse". Infatti, scrive Ljudmila Petruševskaja "i veri fiori crescono dalla spazzatura e si nutrono come capita".
Un breve e straordinario racconto che, non a caso fin dalla copertina intrisa di Magritte, si muove nel surreale. Attraverso la metafora dell'uomo che profuma come una rosa, seguiamo la sorte di chi, per il suo essere diverso, deve essere riassorbito dal sistema e quindi omologato ad un canone di normalità. Attraverso il racconto, ma anche attraverso la lettura personale e molto intelligente che ne fa Claudia Palmarucci nel suo racconto per immagini, il compito degli uomini dell'accademia pare proprio quello di voler trasformare un uomo in una marionetta per farlo assomigliare a tutti gli altri (già marionette dal principio, avete notato?) e soprattutto per manovrargli il pensiero. In questo senso l'immagine delle mani che concimano la testa 'scoperchiata', o per meglio dire il cervello, mi è parsa illuminante.
Il racconto di Ljudmila Petruševskaja (scritto più di venti anni fa), così surreale, ironico, ma al contempo intenso e, per certi versi agghiacciante per lucidità di analisi e senso critico, merita di essere letto e riletto più volte per essere apprezzato nelle sue molte sfumature. Altrettanto mi sento di dire per le illustrazioni di Claudia Palmarucci che dà una sua interpretazione della storia davvero molto personale, ma che non fa altro che aggiungere valore al valore.
Solleticano la memoria di chi 'bazzica' la storia dell'arte i suoi continui riferimenti e le sue continue citazioni di grandi quadri rivisitati. Alcune soluzioni interpretative le considero davvero geniali: il vaso in testa che funge da cappello e che quindi capovolge la prospettiva dell'uomo-pianta, oppure l'ombra dell'omino sul foglio bianco che ha davanti che nella sua forma preannuncia il tema del racconto ... A proposito di quest'ombra, a me è parso di leggerci quasi un omaggio o una citazione della copertina di Negrin per L'ombra e il bagliore, altro preziosissimo libro di Orecchio Acerbo.
La Rosa parla di libertà e manipolazione. E non è un libro facile, non è pacificante, non ha smussature; è come un cristallo tagliente che nella trasparenza fa vedere il proprio significato. E' un libro che costringe il pensiero ad attivarsi: utile punto di partenza per ragionare. Evviva!
Carla
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