martedì 24 aprile 2012

UNO SGUARDO DAL PONTE (libri a confronto)


CATTIVI RAGAZZI

So che mi odierete, perché questa volta vi parlerò di ragazzi ‘difficili’, adulti inadeguati, storie drammatiche, ma anche di messaggi di speranza.
"Ero cattivo. Lo sapevano tutti, a scuola si parlava solo di me. Anche nel mio quartiere": con questo incipit fulminante si condensa il senso del primo libro di cui vi parlo.
  

Ero cattivo, di Antonio Ferrara, aperto da una bellissima citazione di Danilo Dolci: ‘c’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo del mondo, aperto a ogni sviluppo, ma cercando d’esser franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato’. Questa citazione illumina lo svolgimento di questa storia, dura ma positiva, che parte dal buio di un baratro in cui il protagonista precipita, in parte per caso, in parte per la sua vocazione ad essere ‘cattivo’. Angelo, questo è il suo nome, ha dodici anni, dodici anni pieni di rabbia, contro la famiglia, contro il collegio, contro la scuola, dove avviene il suo ‘crimine’. Viene messo in una comunità con altri tre ragazzi, sotto la guida di padre Costantino; qui viene a contatto con altre storie difficili, di violenza e di smarrimento. Inizia un percorso di ricostruzione di se stesso, spiazzato dallo sguardo sorridente (forse anche troppo) di padre Costantino. Passi avanti, amicizie nuove e importanti, un sogno da realizzare; ma anche cadute, fughe e la realtà inaccettabile del rifiuto. Dunque una descrizione realistica di quello che può essere chiamato disagio giovanile, degrado morale dell’ambiente in cui alcuni ragazzi sono costretti a crescere; solitudine e rabbia, terreno di coltura di comportamenti ‘devianti’. Il lato opposto, quello dell’adulto che interviene nel tendere la mano ad un ragazzo il cui destino sembra segnato, è forse un po’ troppo didascalico, un po’ troppo perfetto, anche se colpito dalle sue sconfitte. Forse troppo l’ottimismo ostentato, forse troppo idealizzato come figura salvifica, anche se mi sembra giusto proporre al giovane lettore la speranza di un’occasione di riscatto anche per il personaggio così chiaramente connotato di Angelo. 
Ambientazione del tutto diversa per Non abito più qui di Gabi Kreslehner, scrittrice austriaca: abbiamo a che fare con una giovane adolescente Susanne, coinvolta e travolta dalla separazione dei genitori; prima di tutto il traumatico trasloco, che significa abbandonare l’amata casa e cambiare quartiere e scuola; e poi fidanzati e fidanzate dei genitori, per non parlare di fratelli aggiuntivi. 

Tutto molto vicino alle comunissime esperienze di molti ragazzi di oggi, spesso lasciati soli ad affrontare cambiamenti di vita subiti in seguito ai cambiamenti di vita dei genitori. Non è che, in questo libro, gli adulti facciano una gran figura, concentrati come sono sui propri smarrimenti, inadeguati a svolgere il proprio mestiere di genitori. E devo dire che è una fotografia piuttosto fedele della realtà. In questo caso è l’amicizia e il consolidarsi di un amore a consentire alla giovane protagonista di costruirsi una propria via di fuga (letterale) da una situazione che sembra immodificabile. Forse alcuni genitori potrebbero trovare irritante vedere descritta, con occhi di adolescente, la difficoltà degli adulti a trovare il giusto metro, a pensare le proprie scelte tenendo conto del pensiero dei figli, che non ragionano affatto da adulti e che non intendono minimamente mettersi nei panni dei propri genitori.
Il rapporto fra una madre e la figlia è al centro dell’ultimo romanzo di Giusi Quarenghi, Niente mi basta: questa è una storia davvero difficile, perché raccontando, anche qui, il doloroso percorso di crescita di una ragazzina, affronta uno dei temi più delicati: il rapporto con il corpo, con il cibo e quel nodo così oscuro che la domanda inespressa, il desiderio impossibile di essere perfetta così come implicitamente richiesto da uno o entrambi i genitori. 

Il romanzo è un viaggio dentro un dolore sordo, difficile da dire in altro modo che non sia il tormento del corpo: mangiare, abbuffarsi fino alla nausea e vomitare; mangiare e vomitare continuamente, ma di nascosto, continuando a vedersi inesorabilmente imperfetta, costretta al confronto con un modello irraggiungibile. Un gioco crudele, inesorabile, di ferite reciproche, punizioni e autopunizioni, che fa del corpo una palestra di autocontrollo e uno strumento di ricatto. L’unica possibilità di salvezza e di riappropriazione di sé, è la lontananza, è l’amicizia, gli oracoli di una vecchia solo apparentemente svanita, un cane talmente fedele che può aspettarti anche per tutta la vita.
Lo ripeto, questo è un libro difficile, ma tremendamente vero: vero il dolore che racconta, vera la distanza che talvolta si crea fra madre e figlia, o forse una vicinanza eccessiva. Ci scommetto, le mamme che frequentano la libreria difficilmente compreranno questo libro, le figlie non so…

Eleonora

Una nota: Questo post lo dedico ad una maestra che per tanti anni ha insegnato in una scuola di ‘frontiera’, a San Basilio. Aveva deciso di chiedere il trasferimento, stanca di un lavoro da prima linea. Poi però ci ha ripensato ed è ancora lì, perché, così mi ha detto, non se la sentiva di abbandonare i suoi bambini ‘difficili’. E’ di persone così, di adulti così, che questi bambini, questi ragazzi hanno bisogno.

Ero cattivo”, A. Ferrara, San Paolo edizioni 2012
Non abito più qui”, G. Kreslehner, San Paolo edizioni 2012
Niente mi basta.”, G. Quarenghi, Salani 2012

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