I 10 mesi che mi
hanno cambiato la vita,
Jordan Sonnenblick
Giunti 2013
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
"Ragazzi, se
volete zittire all'istante un bel gruppo di adulti, evidentemente
'Mio fratello ha il cancro' è il segnale in codice giusto. Quelli
sono rimasti a fissarmi in silenzio per più di quindici minuti. Be'
forse è un po' esagerato, ma avete capito. Mentre cercavo di
soffiarmi il naso e asciugarmi gli occhi con quello schifo di
fazzolettino supersottile senza farli vomitare tutti, pensavo:
'Perché insistono tanto per tirarti fuori la verità, se poi non la
vogliono sentire?'"
Circondato
da tutti i suoi insegnanti, Steven Alper ha appena confessato qual è
la ragione del suo crollo improvviso nel rendimento scolastico.
Avere
tredici anni è un'impresa già di per sé: farsi accettare dagli
altri per quello che si è, rendersi 'visibile' alla ragazza che ti
piace da morire, riuscire ad uscire dalla mediocrità quando suoni la
batteria, riuscire a prendere la giusta distanza da mamma e papà,
sono tutti cimenti che questo ragazzino ha davanti a sé e a questo
percorso già piuttosto in 'salita' si aggiunge il grande problema:
la leucemia infantile che ha colpito Jeffrey, il suo fratellino di
appena cinque anni.
Questo
è il contesto: una famiglia quasi sul lastrico, un fratello senza
sistema immunitario, una madre disoccupata, un padre superoccupato,
la ragazza dei sogni offesa e un debito assicurato in matematica.
C'è
di che uscire pazzo, eppure Steven non perde mai la bussola. Lui
segue il suo istinto e applica un utile consiglio che tutti
dovrebbero tenere a mente: 'invece di tormentarti con le cose che non
puoi cambiare, perché non ti concentri sulle cose che puoi
cambiare?'.
In
tal modo Steven veleggia e mantiene la rotta verso la soluzione dei
problemi: è interlocutore ed esempio per suo padre che troppo spesso
si dimostra debole e incerto, è sostegno per sua madre nei momenti
di cedimento, è degno sostituto del pupazzo del fratello,
portafortuna e 'infusore' di coraggio, è esempio di maturità e
determinazione agli occhi della sua scuola, insegnanti e compagni.
Ma
soprattutto Steven è utile a se stesso. Sebbene sembri accorgersene
solo a cose fatte, in ogni occasione sa dare il meglio di sé e in
tal modo si avvia a passi da gigante verso il suo personalissimo
traguardo: diventare un uomo.
Una
riflessione che dovrebbe sempre accompagnarci: come è sottile la
linea di demarcazione tra la vita normale e il dramma. Ma se è così
sottile allora forse ci possono essere anche punti di tangenza e
permeabilità tra il prima e il dopo.
Sonnenblick,
già conosciuto in L'arte di sparare balle,
ci ha abituato alla risata. Ora resta da chiedersi in una storia del
genere come possa entrarci la risata. Che ci sarà poi da ridere,
vista la vicenda così drammatica? Eppure si ride. È una risata, è
quella risata che arriva nonostante tutto. Così come può capitare
di ridere a un funerale, o da un letto di ospedale...
Nella
risata c'è allora uno di quei punti di tangenza, di permeabilità.
È
facile in questo libro ritrovarsi spesso a sorridere, ma -e
soprattutto- ci si commuove per la tenerezza di certe situazioni.
Penso
alla costante 'trattativa' tra Steven e Dio: continue promesse in
cambio della guarigione per il fratello. 'Se non mangio più
ciambelle Jeffrey guarirà, se non gli do più pizzicotti Jeffrey
guarirà, se mi passo il filo interdentale tutte le sere Jeffrey
guarirà'.... Penso all'idea di raparsi a zero da parte di Steven e
poi della sua band per dichiarare al mondo da che parte abbiano
scelto di stare...
Insomma
commozione, sorrisi, risate e tanta autenticità nel racconto
piuttosto dettagliato e ben documentato di cosa sia il decorso di una
malattia seria come la leucemia. Un finale che cresce di pathos ad
ogni pagina e che tutto sommato rimane giustamente aperto. Molte
delle questioni sono in via di soluzione, ma i capelli di tutti
stanno ricrescendo, anche quelli di Jeffrey.
Carla
Noterella
al margine. Bambini e cancro: tema complesso che già in Oh
boy! ha trovato un esito
felicissimo nella rara prosa di Marie-Aude Murail (Giunti, 2011).
Curiosa la circostanza che mi ha visto leggerlo due anni fa esatti,
seduta nella stessa scomoda poltrona, guardando le stesse colline
liguri che mi hanno visto passare dal riso al pianto e viceversa con
analoga facilità, anche in questi ultimi giorni d'agosto.
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