RICORDARE È L'UNICO ANTIDOTO
Otto.
Autobiografia di un orsacchiotto, Tomi Ungerer
Mondadori 2003
NARRATIVA PER PICCOLI
(dai 5 anni)
"Il giorno in
cui mi trovai in una vetrina di un rigattiere, dissi a me stesso:
"Sei diventato vecchio, caro Otto!
Sono nato in una
piccola fabbrica della Germania e ancora oggi ricordo..."
Otto, orso di pezza,
non dimentica e attraverso i ricordi comincia a raccontarci la sua storia.
Cucito all'interno di
una fabbrica tedesca, fu comprato da un padre e una madre come regalo
di compleanno per il loro bambino, David.
Compagno inseparabile
di ogni suo gioco, Otto è un orsacchiotto particolare. Porta su di
sé un segno che lo rende riconoscibile: una macchia di inchiostro
sull'orecchio, che non è mai più andata via.
Otto è testimone muto
del terribile destino che si delinea per David e per la sua famiglia.
Anche David ha una macchia sui suoi vestiti: una stella gialla che lo
rende riconoscibile: David è ebreo.
Un attimo prima di
essere portato via da uomini feroci in divisa, David lascia in
custodia il suo amato orsetto all'amico Oskar. Con lui Otto
sperimenta l'orrore della guerra: bombardamenti, fughe nei rifugi
antiaerei, morte e la città distrutta. Finito sotto le macerie di
una grande esplosione, Otto viene trovato da un soldato americano al
quale salva inconsapevolmente la vita, trasformandosi per lui in
scudo contro un proiettile nemico. Pupazzo eroe, cui l'esercito degli
Stati Uniti conferisce anche una medaglia al valore, Otto sbarca in
America dove ha di nuovo una casa e l'amore di una bambina intorno.
Ma la serenità dura poco. Attraverso altre peripezie
finisce nella vetrina di un rigattiere, davanti alla quale passa però
un giorno un anziano turista tedesco che lo riconosce, grazie a
quella macchia di inchiostro fatta durante un gioco di tanti anni
prima...
I tre piccoli amici di
un tempo, Oskar, Otto e David, ormai vecchi si ritrovano a ricordare le
loro storie davanti a un bicchiere di vino. Sopravvissuti a tanti
orrori, i tre ormai inseparabili hanno un compito importante da
svolgere: conservare la memoria della loro vita passata. Essere
testimoni, in un racconto che non deve mai finire nel silenzio.
Carla
Una
bambina da un altro mondo, Aharon Appelfeld
Guanda 2014
NARRATIVA PER GRANDI (dagli 11 anni)
Una
bambina da un altro mondo, dello
scrittore israeliano Aharon Appelfeld, è una favola. Ma è
anche un racconto, trasfigurato. Parla di due bambini ebrei, Adam e
Thomas, nell'Europa dell'Est, verso la fine della Seconda Guerra
Mondiale, con l'esercito tedesco prossimo alla disfatta, l'Armata
Rossa che avanza, liberando i territori dal giogo nazista. Ma lo
spietato sistema di annientamento, la 'soluzione finale', è ancora
attuato con la precisione chirurgica e la ferocia che hanno già
causato milioni di morti. Quindi anche nel paese in cui vivono i
protagonisti si fanno ancora rastrellamenti, si avviano treni
piombati verso la destinazione finale.
Adam
e Thomas si ritrovano in un bosco, in cui le rispettive madri, pur
senza dirselo, hanno mandato i loro figli, nell'ultimo disperato
tentativo di salvarli dai rastrellamenti. Hanno con sè lo zaino con
delle coperte, medicinali, le provviste per qualche giorno; devono
raggiungere la casa di una contadina, ma non la raggiungeranno mai.
Il racconto non è che la descrizione del loro operoso sopravvivere,
del loro industriarsi, del resistere alla fame e alla paura. Del loro
crescere, con la testa piena di domande senza risposta, hanno forse
fatto qualcosa di male, sarà perchè sono ebrei? Ma soprattutto dei
loro incontri: con Mira, la bambina da un altro mondo, ospite, in
realtà sfruttata a maltrattata, di un contadino, che procura loro di
nascosto il latte, il formaggio, il pane, consentendogli, così, di
sopravvivere. Sergej, l'anziano contadino, che, al sopraggiungere
dell'inverno, li aiuta come può. I fuggitivi, che i nostri ragazzini
cercano di aiutare, mentre all'orizzonte si sentono i cannoni
dell'Armata Rossa.
Questa
storia è una favola, racconta un finale con le mamme ritrovate,
l'ospedale da campo dell'esercito russo che li accoglie e cura Mina,
fuggita dal suo persecutore. E' proprio la sua leggerezza a colpire
al cuore, esattamente nel momento in cui ci dice che a questi bambini
è andata bene, anche se è toccato loro in sorte un'infanzia
terribile. Perchè sappiamo che quello che racconta è vero, e
rieccheggia la biografia dell'autore, è successo realmente. La
persecuzione, i rastrellamenti, la crudeltà pianificata, organizzata
come un sistema industriale, nell'obbedienza nella compiacenza
nell'indifferenza dei più.
La
trama ricorda il poetico Lo zoo di mezzanotte, dove la
disperazione veniva trasfigurata nella dimensione fantastica. I
bambini che fuggono di notte nei campi, la madre che allontana i
figli come estremo gesto d'amore. E ricorda tante fughe, vere,
presenti, tante persecuzioni, tanti bambini cui è sottratta
l'infanzia.
Ne
sono convinta, ricordare è l'unico antidoto ad un veleno,
multiforme, tutt'altro che annientato. Ricordare i sommersi, i
salvati, ma anche chi è stato capace di dire no, opponendosi al
dominio del male, è un dovere.
Eleonora
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