giovedì 27 marzo 2014

ECCEZION FATTA

DALLA FIERA 
(dal caffè degli autori, passaggio tra 29 e 30)



Siamo a mercoledì. La fiera non è ancora finita, ma i giochi tra editori, autori, illustratori sono quasi tutti fatti e ognuno di loro intravede la luce in fondo al tunnel.
Quindi non è troppo presto per tirare le somme.
Quali sono i motivi per cui si possa dire che ne è valsa la pena? Primariamente le facce amiche che ho incontrato e l'intervista di oggi a David Almond.
Le facce che ho dato a tutti quei nomi di persone che seguono con attenzione e affetto Lettura candita le porterò con me.
L'intervista condotta con intelligenza da Nicola Galli LaForest a David Almond è la seconda cosa per cui è valsa la pena tutta la fatica bolognese. Densa e, a mio parere, fondamentale.
Io ci provo, a scriverne.
Nicola ammette il suo limite di fronte alla scelta delle domande. Preferisce parlare con David Almond di misteri. Intendendo come misteri quelle suggestioni su alcune icone del pensiero umano che Almond suscita a chi attraversa i suoi libri. E, come in una cerimonia religiosa, i misteri si snocciolano uno dopo l'altro.
Mistero numero uno: l'infanzia come età dell'ibrido. Dell'infanzia Almond parla sempre volentieri perché dei piccoli apprezza il loro essere contemporaneamente due cose: la risultante di intensità e stranezza nel loro sentire e leggere il mondo. I bambini hanno ancora qualcosa di non finito e di indefinito e di questa loro particolarissima condizione ne hanno contezza precisa. Cosa che li rende unici. In loro, nei piccoli, follia e serietà convivono e hanno valore equivalente. L'infanzia per Almond è proprio sinonimo di questa combinazione di nature diverse.
Mistero numero due: il vedere oltre. E i bambini sono maestri indiscussi nel credere.
Spesso nei personaggi infantili di Almond albergano assolute certezze anche su cose che agli adulti paiono invisibili e inspiegabili. I bambini vedono oltre. Uno dei vantaggi dello scrivere per loro sta nel fatto che un adulto possa prestarsi a leggere il mondo da questa insolita prospettiva. Ad Almond non deve essere risultato difficile, se con tutta naturalezza ci racconta che il personaggio ibrido di Skellig lo ha sentito parlare nella sua testa per lungo tempo prima di cominciare a scriverne. La serietà con cui lo afferma è la stessa serietà con cui i suoi personaggi affrontano il mondo. In questo senso occorre allinearsi a Mina, la quale afferma quanto il sarcasmo sia inutile per poter dialogare con dei ragazzini. I bambini sono 'una cosa' molto seria.
Mistero numero tre: il senso della parola scritta e di quella detta. Già da un bel po' Almond ronza intorno a questo tema. Billy Dean è forse il personaggio che meglio rispecchia questo ambito di esplorazione, ma non è il solo. Dopo un day after non meglio spiegato, questo ragazzino si pone come obiettivo quello di imparare di nuovo a leggere e a scrivere. Ma David Almond necessariamente lo deve fare con lui. Ripescando dal proprio vissuto emotivo nei primi giorni di scuola alle prese con l'apprendimento di una nuova lingua scritta, Almond gioca con il linguaggio e fa parlare il suo sgrammaticato personaggio, in modo tale da creare quella potente emozione che si prova verso una lingua scritta e orale, nell'atto di impararla per la prima volta. La lettura di questo romanzo, faticoso al principio a causa di una scrittura volutamente sgrammaticata, ha quasi funzione catartica nel lettore, perché, dopo un primo impatto, la sensazione è quella di un processo di apprendimento tutto nuovo di una lingua. Potenza della scrittura.
Mistero numero quattro: What are you looking for?
Ma questo sarà argomento del post di domani.

continua...

Carla

noterella al margine: do per scontato che i libri di Almond siano patrimonio acquisito per chi legge. In caso contrario, consiglio di mettersi rapidamente in pari.




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