(dal caffè degli autori, passaggio tra 29 e 30)
Siamo a mercoledì. La fiera non è
ancora finita, ma i giochi tra editori, autori, illustratori sono
quasi tutti fatti e ognuno di loro intravede la luce in fondo al tunnel.
Quindi non è troppo presto per tirare
le somme.
Quali sono i motivi per cui si possa
dire che ne è valsa la pena? Primariamente le facce amiche che ho
incontrato e l'intervista di oggi a David Almond.
Le facce che ho dato a tutti quei nomi
di persone che seguono con attenzione e affetto Lettura candita
le porterò con me.
L'intervista condotta con intelligenza
da Nicola Galli LaForest a David Almond è la seconda cosa per cui è
valsa la pena tutta la fatica bolognese. Densa e, a mio parere,
fondamentale.
Io ci provo, a scriverne.
Nicola ammette il suo limite di fronte
alla scelta delle domande. Preferisce parlare con David Almond di
misteri. Intendendo come misteri quelle suggestioni su alcune icone
del pensiero umano che Almond suscita a chi attraversa i suoi libri.
E, come in una cerimonia religiosa, i misteri si snocciolano uno dopo
l'altro.
Mistero numero uno: l'infanzia
come età dell'ibrido. Dell'infanzia Almond parla sempre volentieri
perché dei piccoli apprezza il loro essere contemporaneamente due
cose: la risultante di intensità e stranezza nel loro sentire e
leggere il mondo. I bambini hanno ancora qualcosa di non finito e di
indefinito e di questa loro particolarissima condizione ne hanno
contezza precisa. Cosa che li rende unici. In loro, nei piccoli,
follia e serietà convivono e hanno valore equivalente. L'infanzia
per Almond è proprio sinonimo di questa combinazione di nature diverse.
Mistero numero due: il vedere
oltre. E i bambini sono maestri indiscussi nel credere.
Spesso nei personaggi infantili di
Almond albergano assolute certezze anche su cose che agli adulti
paiono invisibili e inspiegabili. I bambini vedono oltre. Uno dei vantaggi dello
scrivere per loro sta nel fatto che un adulto possa prestarsi a
leggere il mondo da questa insolita prospettiva. Ad Almond non deve essere
risultato difficile, se con tutta naturalezza ci racconta che il
personaggio ibrido di Skellig lo ha sentito parlare nella sua testa
per lungo tempo prima di cominciare a scriverne. La serietà con cui
lo afferma è la stessa serietà con cui i suoi personaggi affrontano
il mondo. In questo senso occorre
allinearsi a Mina, la quale afferma quanto il sarcasmo sia
inutile per poter dialogare con dei ragazzini. I bambini sono 'una
cosa' molto seria.
Mistero numero tre: il senso
della parola scritta e di quella detta. Già da un bel po' Almond
ronza intorno a questo tema. Billy Dean è forse il personaggio che
meglio rispecchia questo ambito di esplorazione, ma non è il solo.
Dopo un day after non meglio spiegato, questo ragazzino si pone come
obiettivo quello di imparare di nuovo a leggere e a scrivere. Ma David
Almond necessariamente lo deve fare con lui. Ripescando dal proprio
vissuto emotivo nei primi giorni di scuola alle prese con
l'apprendimento di una nuova lingua scritta, Almond gioca con il linguaggio e fa parlare il suo sgrammaticato personaggio, in modo tale da
creare quella potente emozione che si prova verso una lingua scritta e orale, nell'atto di impararla per la prima volta. La lettura di
questo romanzo, faticoso al principio a causa di una scrittura
volutamente sgrammaticata, ha quasi funzione catartica nel lettore,
perché, dopo un primo impatto, la sensazione è quella di un processo
di apprendimento tutto nuovo di una lingua. Potenza della scrittura.
Mistero numero quattro:
What are you looking for?
Ma
questo sarà argomento del post di domani.
continua...
Carla
noterella al margine: do per scontato che i libri di Almond siano patrimonio acquisito per chi legge. In caso contrario, consiglio di mettersi rapidamente in pari.
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