AD ALTEZZA RAGAZZINO
Manolito
quattrocchi - Ecco Manolito, Elvira Lindo, Emilio Urberuaga
Lapis 2014
NARRATIVA PER MEDI
(dagli 8 anni)
"Ho tolto i
cappucci ai superpennarelli e ho cominciato a salire le scale
strisciando le punte sulla parete. 'Che figata!', ho pensato.
Facevo tre linee:
una rossa, una azzurra e una nera. E cercavo pure di farle dritte,
così parevano proprio una ringhiera. Mica per niente, ma ero proprio
partito con questa cosa dei pennarelli. E facendo le mie belle righe,
mi sono ritrovato al terzo piano. Perché al terzo? Perché ci abito
io."
Sarà
evidente a tutti che la brillante idea di Manolito, ragazzino di
Carabanchel alla periferia di Madrid, non sarà gradita all'intero
condominio e soprattutto alla madre di detto bambinetto, conosciuto
da tutti come Manolito Quattrocchi per via dei grandi occhiali da
vista che porta da quando aveva cinque anni. Ma Manolito, scugnizzo
spagnolo, per salvarsi può contare sul nonno Nicolás
Superprostata, con cui condivide il letto nella veranda a vetri e
anche molto altro.
Che
cosa si inventa in questa situazione il vecchietto per salvare
l'amato nipote non lo rivelerò neanche sotto tortura, ma vi anticipo
che è racconto da sbellicarsi.
Geniale
nella sua lettura della realtà e nel suo viverci dentro, Manolito è
sempre in azione. E se non agisce, è lì che pensa a come agire...
Le
storie di Manolito sono esilaranti, commoventi, autentiche e
raccontate in un'ottica che parte dal basso, ovvero ad altezza
ragazzino. Il mondo degli adulti e dei più piccoli è raccontato
con disincanto, grazie a un po' di sano cinismo, difetto che in
piccole dosi ogni bambino dovrebbe avere con sé in dotazione per
poter crescere 'robusto'.
A
tutti coloro che non hanno avuto l'opportunità di leggere le sue
storie, pubblicate nella collana Junior Mondadori -10 dalla fine
degli anni Novanta forse va data qualche coordinata per capire meglio
chi sia Manolito.
Io
narrante di divertenti avventure cittadine, ragazzino di otto anni,
agisce per la maggior parte del tempo nel suo quartiere, abitato da operai alla
periferia di Madrid, Carabanchel Alto. La scuola, il parco
dell'Impiccato, così chiamato per quell'unico albero secco al
centro, il bar del quartiere pieno di vecchietti, e il suo
appartamento sono teatro delle molte storie che lo riguardano.
Personaggi
comprimari: a parte la madre severa e facile allo scappellotto, il
padre camionista sempre in viaggio e il nonno, affettuoso suo punto
di riferimento, Manolito ha un fratellino, che chiama l'Imbecille dal
giorno della nascita. E poi ci sono il suo miglior amico,
Lopez-orecchie-a-sventola, Yihad, il bullo, la Susanna panni-sporchi
e' l'alieno' Paquito Medina. E in ultimo la povera maestra Asunçion
che deve combattere tutti i giorni con questa piccola banda di pesti.
Ultimo
personaggio dei suoi libri, per nulla trascurabile, è la vita,
quella vera; quella che tutti i giorni sperimentiamo anche noi,
comuni mortali.
Ed
è proprio quest'ultima, secondo me, a dare ai libri di Manolito
quel 'quid' che li rese amatissimi (in Spagna Manolito è stato un
personaggio di culto con film e serie in televisione e solo 43 ristampe!). Vincitore
all'epoca di molti premi, tradotto in 20 lingue, Manolito in Italia
ebbe un discreto successo, ma non diventò mai un fenomeno di massa.
E invece lo avrebbe meritato.
Lapis
offre a questo personaggio e ai libri a lui dedicati una seconda
possibilità che, io spero tanto tanto, lo consacri in modo
definitivo.
In
una prospettiva di 'svecchiamento', il libro è stato vivacemente ritradotto con un lessico preso a prestito dal parlato, ha cambiato titolo e
migliorato la veste grafica ma Urberuaga è ancora lì a raccontarlo
con i suoi esilaranti disegni in b/n. Elvira Lindo sta a Urberuaga
come Roald Dahl sta a Blake. Sono come pane e burro: perfetti
insieme.
Carla
Noterella
al margine. Storie e geografie della parola 'figata', che nel libro
va e viene insieme a 'fico', al posto dei più neutri 'mi piace un
sacco' e 'che bello' della prima edizione. Considerata da molti come
parola-ponte tra un linguaggio solo per grandi e la trasgressione
concessa ai piccoli, l'uso che se ne fa, insieme anche ai vari che
palle! sparsi qua e là, mi pare un po' troppo ammiccante.
Ma, a parte questo, apparentemente le sue due declinazioni
-figo/figata e fico/ficata- paiono inscindibili e non tra loro
interscambiabili. Ora viene la domanda: sono solo io che associo
figo/figata a un lessico del Nord che non varca i confini della
Toscana, mentre fico/ficata è usato dall'Arno in giù?
Manolito
milanese?
Nessun commento:
Posta un commento