LA BELLEZZA DEL DOLORE
L’Ours et
le Chat Sauvage, Komako Sakai, Kazumi Yumoto,
L’école des loisirs 2009
Il
titolo di questo toccante libro cela una presenza in verità assai
ingombrante. Tra l’orso e il gatto selvatico si dispiega il filo di
un ricordo dolce e al tempo stesso molto doloroso, la memoria viva di
una creatura morta. L’ombra saltellante di un piccolo uccello
venuto a mancare (come solo agli uccellini accade, d’un soffio).
Era
il più grande amico dell’orso. E il gigante ora veglia annichilito
la minuscola salma. Colosso che diventa d’argilla, dovendo prendere
atto che il bene più prezioso, l’amico più caro, giace inerte.
La
vita è questo? Sembra pensare l’orso, assorto in una contrizione
così composta da trasmetterci con assoluta efficacia l’idea di un
vuoto inconsolabile, di uno sbigottimento talmente forte da
pietrificare. Nel suo mesto dolore, il tenero orso si appresta a
celebrare un lungo commiato, con determinazione e coraggio adempie al
suo dovere. Taglia un albero e costruisce una piccola bara, la
dipinge col succo delle bacche selvatiche, la riempie di petali
profumati e vi adagia il corpicino del compagno, che in quel
graziosissimo nido quasi sembra addormentato…
Quanti
ricordi. Le lagrime scorrono sul muso dell’orso, che solo pochi
giorni addietro disquisiva con l’uccellino proprio sul senso del
tempo, su l’oggi che subito diventa ieri eppure è già domani. Se
solo si potesse tornare indietro! Com’è veloce il cambiamento, la
cosa che più vorrebbe adesso è riavere il suo amico vivo. Il suo
amico prediletto, vigile e impettito, allegro e… perfetto.
Così,
avvolto dalla pena e dal mistero della mancanza, lo veglia per un
tempo infinito. Le sue grosse spalle non sanno, non possono arginare
la piena del rimpianto e dell’amarezza. La sua possente mole si
accascia su una sedia per giorni, è come un grande e immobile grumo
che si forma sotto il peso dell’accadimento più inaudito
dell’universo. La morte. Assenza definitiva, ineluttabile, certa.
Poi,
all’improvviso, dopo una lunga clausura, aprendo la finestra l’orso
annusa il profumo dell’erba. Esce con la piccola bara sempre tra le
mani, si mette in cammino, attraversa il bosco, raggiunge la riva del
fiume e ammira il verde profondo dei prati. Con stupore, scorge un
gatto selvatico appisolato vicino al greto e accanto a lui una grande
scatola. Da subito ne è curioso, si fa coraggio e parla (non lo fa
da giorni e giorni!), chiede al gatto di mostrargli il contenuto del
grande involucro. Il bel gattone lo asseconda e domanda a sua volta
di vedere che cosa c’è nella scatolina dell’orso. E quando vede
l’uccellino morto adagiato trai petali dice una cosa semplice che
funziona come un balsamo: “Questo piccolo uccello doveva contare
molto per te. Ti mancherà terribilmente…”. Poi apre la sua di
scatola e ne trae un violino. “Suonerò qualcosa per te e per il
tuo amico”.
La
musica dolce e suadente del violino evoca una nuova messe di ricordi,
l’orso ne è quasi sopraffatto. Gli torna in mente quando una
donnola ha rincorso l’uccellino, gli ha strappato le penne della
coda e l’orso ha creato per lo sfortunato amico una livrea
d’eccezione, raccogliendo e imbastendo foglie minute. L’uccellino,
triste ed umiliato, aveva indossato con eleganza la coda posticcia e
il trucco aveva funzionato! La musica gli fa ricordare anche il
solleticante becchettio con cui l’uccellino lo svegliava tutte le
mattine, e il tiepido odore delle piume bagnate quando facevano il
bagno nel lago. E ora…
Ma stavolta il
flusso della memoria, riannodata dalle note, si concilia con
l’impulso, il bisogno naturale di travasare vita nella vita. L’orso
seppellisce la minuscola bara in una radura assolata e si ripromette
di non piangere più, perché in ogni caso lui e l’uccellino
saranno amici per sempre. E quando il gatto dice che per lui, musico
ambulante, è ora di riprendere il cammino e aggiunge “Vieni con
me orso, ecco, prendi il tamburello”… l’orso – che a tutta
prima vorrebbe domandare se il gatto ha già un amico speciale -
confida che il tempo e il cammino li rendano complici, accetta,
prende il tamburello e va. Coraggiosamente.
Racconto
profondamente tenero e malinconico, pervaso di una tale dolcezza da
guarire la stessa ferita che genera nell’animo. La crudezza del
distacco e della perdita sono accompagnate da un’autentica, grande
bellezza, da un tocco così gentile che, man mano che ci scava dentro
il solco del dolore, lo riempie di grazia. Le tavole di Komako Sakai
sono struggenti, un impasto di ombre e di luci perfettamente
calibrato. Non credo sia casuale che la tecnica usata ricordi il
bassorilievo: il vuoto che genera il pieno. Non si può non amare
questa semplice storia, che ci fa sondare l’orlo dell’abisso e,
in punta di piedi, ci conduce nella radura dove la luce riaffiora…
Non è un libro facile. E’ un libro molto bello.
Daniela (Tordi)
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