AI CONFINI DI OGNI CONFINE
Domani inventerò, Agnès de
Lestrade, Valeria Docampo
Terre di Mezzo 2014
POESIA
"Ai tuoi confini ci sono io,
che ti aspetto tranquillo in cima
alla montagna.
Ti infili gli scarponi e gridi:
'Arrivo!'.
Insieme, saliamo ancora più in alto
per vedere cosa c'è dall'altra
parte.
Domani a te m'intramerò."
Ai confini del
letto ci sono i sogni, in mezzo ai batuffoli di polvere, ai confini
dell'inverno c'è il ghiaccio, ai confini del mare c'è la sabbia con
i suoi granelli infiniti e ai confini della noia ci sono le idee.
Dopo le lacrime c'è
il sapore del sale, e al di là di ogni confine c'è l'ignoto.
Il grande orso
azzurro si interroga ogni volta e ogni volta la risposta che dà a se
stesso ci intenerisce e ci fa sorridere: lui si imbatuffolerà, si
invernerà, si ingranellerà e, contro la noia, si stuficchierà. Lui
si ferma davanti a ciò che non conosce, quindi ci pensa, e ogni
volta, nonostante non sappia mai cosa l'aspetta veramente, decide di
andare al di là.
Perché al di là
potrebbe trovare, è vero, qualcosa di brutto o di sbagliato, ma
anche qualcosa di nuovo. E se così sarà, di fronte alla novità,
l'unica cosa da fare è inventare. Inventarsi.
Le poesie
andrebbero lette e basta. Non si possono raccontare, se non a costo
di far loro un gran torto. Ma qui c'è un richiamo irresistibile:
come un ritornello dietro ogni pagina si svela il mistero di una
parola inventata, costruita ad arte, essa allude e si lega a ciò che
la precede: intramarsi, stuficchiarsi, ingranellarsi, sono bellissime
parole nuove nuove che possiamo far diventare nostre all'istante. Con
un innamorato sarebbe bello intramarsi, nella malinconia perché
piangere invece di lacrimarsi? E domani con il gelo che tira non sarà
difficile invernarsi un bel po'. Sono belli i neologismi, sono adatti
ai bambini che con le parole amano giocare, ma lo sono ancor di più
i loro risvolti riflessivi: quel 'mi' che precede sempre il verbo è
la cifra di questo libro. È la conferma della grande verità che
contiene: ognuno per sé deve mettersi di fronte a quella linea immaginaria, una sorta di confine, che è il domani, ciò che la vita
riserva. Ognuno per sé deve immaginare il proprio domani e per farlo
deve sapersi inventare ogni giorno.
Il grande orso
azzurro che, imprevedibile, si ingrandisce o rimpicciolisce, passa da
un angolo all'altro della pagina, l'attraversa come fosse una soglia,
e si infila in seggioloni o casette solo accennate da un tratto di
penna, o fa finta di nascondersi in una grande copertina di libro che
gli fa da tetto o si fa racchiudere in una lacrima, è protagonista assoluto. Lui, così
ostentatamente azzurro, ha sempre un suo contrappunto in qualcosa di
giallo: un innaffiatoio, un ombrello, una tromba o una chiocciola
gigante. Una sottile trama narrativa lega ogni immagine in un
racconto ancora più surreale del testo che finisce in una sorpresa
cromatica di grande stupore.
Ancora insieme,
Agnès de Lestrade e Valeria Docampo (altrettanto ricco di spunti fu
il loro La grande fabbrica delle parole, Terre di Mezzo 2010)
in un albo ben più maturo del precedente ma che -ancora una volta-
tocca temi profondi, e lo fa, come già allora, attraverso un uso
sapiente della lingua, qui come lì, tradotta con grande sensibilità
da Rita Dalla Rosa.
Carla
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