Re Valdo e il Drago, Peter Bently, Helen Oxenbury
Il Castoro 2015
ILLUSTRATI PER PICCOLI
(dai 3 anni)
"Valdo, Teo e
Berto voglion fare un castello
per Re Valdo e i
suoi uomini,
invincibile e bello.
Una scatola grande,
un lenzuolo, paletti
un paio di sacchi,
dei mattoni un po' rotti."
Se
disposti con cura, la scatola, il lenzuolo steso tra i due paletti e
qualche mattone a fissarlo perché non sventoli troppo, sono tutto
ciò che occorre per costruire un castello. Come tutti i castelli
avrà il suo ponte levatoio, un morbido trono e una bandiera che
gagliarda sventola. Un re, piccolo piccolo, con due sudditi fedeli.
Il più grande porta pantaloni un po' abbondanti, il più piccolo un
pigiamino e un ciuccio. Ma nonostante l'età, tutti combatteranno con
coraggio contro il branco di draghi e le orribili bestie che dal
bosco insidiano il loro castello. Tutti, o quasi: c'è qualcuno
infatti che più che combattere esplora l'avversario con dita e
bastoncini...
Comunque, ricacciato nel bosco il nemico, si fa bisboccia e il re annuncia una notte da
passare insieme al castello.
Il sovrano non ha tenuto conto però di tutti quei 'giganti' che arrivano a requisire, uno ad uno, il suo piccolo esercito. Ormai solo, presidia il maniero: un re non indietreggia di fronte al buio incalzante o ai rumori sospetti...ma al comparire della grande Cosa che avanza su quattro piedi anche il sovrano più coraggioso non può non urlare: Un drago! Un drago! Aiuto! Meglio mollare, anche i re prima o poi a casa devon tornare...c'è il bagno da fare!
Per
giocare basta ben poco. Per immaginare, ancor meno...Una spada si fa
con due legni e due chiodi e una corona può essere lucente anche se
di cartone. Per inventarsi un nemico basta guardare nello scuro del
bosco per vedere uscire draghi fumanti o bestie giganti.
In
rima, nella traduzione di Anna Sarfatti, Peter Bently nel raccontare
questo pomeriggio di gioco si è ispirato al suo bambino Theo, che
nel libro impersona Re Valdo. Un giardino, due amici e qualche
oggetto racimolato qua e là sono diventati un regno da difendere,
'quasi' inespugnabile.
Perfettamente
'oxenburiano', questo albo illustrato appare subito come un classico.
Per questo c'è da aspettarsi che entri nell'immaginario visivo dei
più piccoli, come è successo per Dieci dita alle mani
oppure per A caccia dell'orso. Caratteri
che ritornano - il testo in rima, i personaggi che sono sempre
bambini molto piccoli, le rispettive famiglie affettuose sullo
sfondo, gli ambienti casalinghi accoglienti- sono un marchio di
fabbrica per la Oxenbury.
Per
questo suo essere considerata ormai un classico, però soffre due
volte: da un lato perché si tace su di lei, considerandola ormai
'monumento' su cui è già stato detto tutto, dall'altro perché se
ne parla con troppa leggerezza, etichettandola come deliziosa,
aggettivo che le si appiccica addosso come miele e non la
molla più.
Non
si può negare che le tavole della Oxenbury siano, in qualche misura
'deliziose' perché portatrici di godimento per gli occhi, ma
meriterebbero forse un'analisi meno stereotipata che ne indagasse
radici e significati più profondi. Lei stessa, lo dichiara spesso
nelle interviste, cerca di scappare da tanta leziosità. Ma tant'è.
Perché
la Oxenbury piace così tanto ai piccoli e ai grandi che con i
piccoli stanno? I suoi acquerelli vantano solide radici anglosassoni,
che la fanno pescare in un immaginario già consolidato, e catturano
lo sguardo per morbidezza dei contorni, sempre sfumati e mai definiti
del tutto, per certa diffusa rotondità e per una sensibilità
narrativa nel rappresentare sempre e comunque un 'proprio' bambino. I
suoi disegni paiono avere un quid (come un'aura, una lucentezza
particolare) in più, probabilmente derivante dallo sguardo
affettuoso che li genera e li rende più intimi di altri.
Ma
di questo ho già detto il mio pensiero altrove.
Come
tanti suoi illustri predecessori, la Oxenbury non teme il bianco e
nero, anzi lo usa sempre come espediente narrativo. E così le sue
tavole diventano ancora più classiche del classico in questo
riferimento alla tradizione delle illustrazioni monocrome di tanti
libri di fiabe 'antichi'.
La
sua grandezza, tuttavia, sta ancora altrove: nell'avere trovato il
preciso punto di equilibrio tra due estremità: da un lato il tema
del gioco, dell'azzardo, della scoperta, dell'avventura e dall'altro
la sicurezza, la tranquillità, il calore affettivo di una famiglia.
Alternare
con sapienza l'esuberanza della libertà del gioco alla calma
dell'abbraccio affettuoso, il passato al presente, il bianco e nero
al colore: questo, a mio avviso, è il suo miglior talento che ce la
fa apprezzare sempre così tanto.
Carla
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