SAGGEZZA YIDDISH
It Could
Always be Worse, Margot
Zemach-Farrar,
Farrar, Straus and Giroux 1976
In questi giorni di freddo grigiore
invernale, mentre accendo il fuoco e mi siedo al computer nella
casetta di paese che abito per la più parte del tempo da un po’,
penso spesso che le cose non vanno. Che la casa ha troppe scale, è
troppo vecchia, che non ha un impianto di riscaldamento, che è
troppo piccola. Ma ieri, mentre disegnavo al tramonto davanti alla
finestra che dà sui tetti e sulla collina… mi sono ricordata di un
libro che insegna a vedere le cose diversamente, soprattutto a
modificare il nostro comportamento, perché la realtà in cui siamo
immersi possibilmente ci sorrida, offrendoci la faccia migliore.
E’ un racconto della tradizione
Yiddish molto divertente, forse lo conoscete già… in questa
edizione impreziosito dalla mano di un’illustratrice (e autrice,
suo anche il testo) che mi è particolarmente cara, l’americana
Margot Zemach.
Un pover’uomo abita con la sua
numerosa famiglia (madre, moglie e sei bambini) in una minuscola
catapecchia. Vivono accalcati gli uni sugli altri in perenne
agitazione, i bambini litigano, la nonna annaspa e brontola, la
moglie si arrabbia e urla. In un crescendo di confusione che approda
al delirio collettivo, l’uomo si reca dal rabbino per chiedere
consiglio prima di piombare nello sconforto totale.
Il caso è triste, miseria e malasorte
sembrano accanirsi contro il poveretto, per giunta il frastuono
derivante dalla convivenza forzata gli logora i nervi. Il rabbino ci
pensa su lisciandosi la barba, poi domanda “Dimmi pover’uomo, per
caso… possiedi qualche animale domestico, che so, uno o due polli?”
e a risposta affermativa aggiunge “Bene, allora vai a casa e porta
le galline, il gallo e l’oca a vivere nella catapecchia con voi”.
Non poco perplesso, l’ometto fa dietro-front e si appresta ad
obbedire… Naturalmente, dopo qualche giorno di convivenza tra umani
e polli, il caos è peggiorato sensibilmente. Mentre i bambini
continuano a crescere (e le mura sembrano restringersi!), al loro
infernale schiamazzo si aggiunge il perenne starnazzo dei volatili,
le cui piume volteggiano nell’aria e finiscono nella minestra.
Davvero non resta che tornare dal
rabbino, le cose non potrebbero andare peggio! Il rabbino ascolta,
ci pensa e chiede “Pover’uomo, per caso… possiedi una capra?”.
Sì, c’è una capra nel recinto… Bene, conclude il rabbino, che
l’uomo torni a casa e porti anche la capra a vivere nella
catapecchia.
Nonostante il senso crescente di
disagio e frustrazione, l’uomo obbedisce. Va da sé che dopo
qualche giorno la miscela di umani e animali è ancora più
esplosiva… alle bizze irrefrenabili dei bambini (sempre più grandi
e grossi dentro quel loro buco di casa), allo stridore che si leva
dal pollame brulicante, si aggiunge l’indomito ardore della capra,
che si fa largo a cornate nel discinto carnaio in cui è costretta.
Il pover’uomo è distrutto, ma non sa
che altro fare se non tornare dal rabbino, sempre confidando in un
barlume di speranza che derivi dalla sua comprovata saggezza. La
capra sembra impazzita, la vita è realmente divenuta un incubo…
che fare? Il rabbino ci riflette su e poi domanda “Dimmi un po’
pover’uomo, per caso possiedi una mucca? Se ce l’hai, vai a casa
e portala a vivere con voi”. “Oh no, no di sicuro!” esplode
l’uomo… ma il rabbino è irremovibile e non gli resta che
obbedire ancora una volta. Col cuore gonfio di disperazione, torna
sui suoi passi e, come un automa, esegue il diabolico precetto.
Trascorsi pochi giorni, la devastazione è totale nella stamberga, la
guerra è ormai di tutti contro tutti e l’uomo può a stento
credere a tanta sfortuna.
Vero è che non può fare altro se non
tornare dal rabbino a chiedere aiuto, con voce affranta lo supplica
di salvarlo dall’orribile incubo, con la mucca il parossismo della
convivenza è giunto al culmine, tutto nella catapecchia è
sopraffazione e devastazione, non c’è nemmeno spazio per tirare il
fiato… Il rabbino anche questa volta si prende un attimo per
riflettere e poi gli ordina di tornare a casa e di riportare fuori
tutti gli animali. L’uomo obbedisce alla svelta, è forse la prima
volta che sente di dovergli dare ragione! Fa uscire dalla sua bicocca
i polli, l’oca, la capra e la mucca e si richiude la porta alle
spalle con enorme sollievo. Improvvisamente la pace regna sovrana, la
notte scende e reca il giusto ristoro a tutta la famiglia, ciascuno
trova il suo giaciglio e si abbandona dolcemente nella ritrovata
quiete.
Il giorno dopo, il pover’uomo torna
dal rabbino e stavolta per ringraziare. “Hai reso la mia vita
piacevole e tranquilla, solo con la mia famiglia la casa è
finalmente diventata pacifica e accogliente… mi hai reso un grande
piacere!”.
Ora vado ad accendere il fuoco, perché
mentre vi scrivo sento che i piedi si stanno gelando… Ma intanto è
come se questo delizioso libro di Margot Zemach mi avesse solleticato
ravvivando la circolazione per tutto il corpo. Un racconto
felicemente adattato, testo e immagini, così pieno di disordine,
sgomento, agitazione e di brio. Di un rinato senso delle proporzioni
e della misura, che ci vuole duttili quanto basta per fare del
nostro cantuccio un riparo e una festa, anche quando siamo in tanti e
lo spazio sembra esiguo. Perché dobbiamo sapere e ricordare che
potrebbe essere molto peggio e che invece, con un po’ di sforzo
collettivo, si può fare un paradiso in terra anche di un guscio di
noce… Perché la vita richiede ai più un notevole spirito di
adattamento, ma quasi sempre ripaga. Aggiustando essa stessa il tiro,
dimodoché – io almeno la vedo così - il piacere sia proporzionale
alla fatica che facciamo per conseguirlo.
Beninteso, ho il sospetto che sotto
sotto… questa storia Yiddish voglia dire molto altro, ma lascio a
ciascuno di noi di allargare la portata del messaggio oltre il
destino individuale. Se non avvio alla svelta il fuoco mi prendo un
malanno e ci vuole sempre un po’ a far attecchire la fiamma…
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