UN UOMO INFELICE
Quanta terra serve a un uomo?
Annelise Heurtier, Raphaël Urwiller da una novella di Lev Tolstoj
(trad. Paolo Cesari)
Orecchio acerbo 2015
ILLUSTRATI PER MEDI (dagli 8 anni)
"Ogni mattina, nelle ore
bianche e ghiacciate, Pachòm si infila i suoi larghi stivali e se
ne va a lavorare.
Non è ricco, ma alla sua famiglia
non manca nulla. Il fuoco crepita spesso nel camino e, all'ora di
pranzo, il profumo della zuppa si spande per l'isba.
Tuttavia, nel suo piccolo campo
spazzato dai venti, Pachòm ci sta stretto."
Il suo sospiro è sempre lo stesso: ah,
se solo avessi più terra, sarei davvero un uomo felice.
Così facendo Pachòm, con tutti i suoi
risparmi compra altra terra dal vicino. Ma ancora è ben lontano
dalla soddisfazione. Il giorno che dà ospitalità a uno straniero
scopre che nella regione del Volga la terra è più fertile. Vende
ogni cosa e parte con la sua famiglia con il sogno di arrivare a
possedere ancora più terra.
In poco tempo Pachòm ha triplicato gli
ettari da coltivare, ma ha ancora il cruccio di lavorare una terra
che non è sua. In questo senso è risolutiva l'informazione che
riceve da un altro mercante di passaggio: la terra dei baškiri è
terra ottima e loro la cedono per un tozzo di pane. Ancora una volta
Pachòm si mette in marcia. Dopo sette giorni, arrivato alla tenda
del capo, fa la sua richiesta e il signore di questa allegra tribù
nomade gli propone un affare: "tutta la terra che riuscirai a
circoscrivere in una giornata di camino sarà tua solo per mille
rubli. Ma a una condizione: al tramontar del sole dovrai essere di
nuovo al punto di partenza, altrimenti perderai tutto."
Perde il sonno al pensiero che per soli
mille rubli egli è a un passo da tutta la terra che vuole. Ma il
passo sarà ben più d'uno. All'alba Pachòm guarda davanti a sé lo
sconfinato territorio e con un pane e una borraccia d'acqua comincia
a camminare. Fa un gran caldo, ma il contadino non vuole cedere e
fermarsi. Continua a camminare per segnare il perimetro più ampio
possibile, ma le gambe cedono sotto il caldo, l'acqua è finita ma
lui non molla. Inciampa, cade, si rialza eppure va ancora avanti.
Solo al tramonto riesce a intravedere da lontano le tende
baškire...ma i suoi occhi sono annebbiati come davanti a un
miraggio.
In ginocchio, stremato, raggiunge il
capo baškiro e solo lì si ferma. Le ultime parole che le sue
orecchie odono sono 'Bravo! Ora sei proprietario di un'immensa
tenuta...'
Mi sembra il racconto adatto per
santificare la festa dei lavoratori.
Pachòm l'incontentabile contadino
russo, non si preoccupava della fatica. A lui premeva possedere il
più possibile. Ne parlo al passato, perché Pachòm è appena morto
di cupidigia. Malattia questa, piuttosto diffusa, quanto meno nella
Russia dell'Ottocento, se pensiamo alla fiaba del Pescatore e del
pesciolino che Puskin scrisse solo una cinquantina di anni prima.
Scritto nel 1885, il racconto di
Tolstoj, che ha per titolo una domanda, trova la sua risposta alla
fine del racconto quando si capisce che l'unica terra di cui un uomo
necessita è quella poca che si scava per dargli sepoltura.
Amaro, emblematico, simbolico, questo
racconto contiene in sé un po' tutte le declinazioni tolstojane,
ovvero è un po' pedagogico, un po' 'politico', un po' filosofico.
Joyce lo ha definito il più bel
racconto mai scritto.
E sulla bellezza soffermiamoci.
Bella infatti è la riduzione che ne
fa Annelise Heurtier alla quale va il merito di aver saputo
'asciugare' il lungo e dettagliato racconto di Tolstoj senza tradirne
mai il ritmo, importantissimo in questo racconto in crescendo, e il
senso.
Bella altrettanto è la traduzione di
Paolo Cesari che ha saputo rendere in un linguaggio quasi sincopato,
da racconto orale, una vicenda che ha i toni della fiaba classica.
Bella ancora è la traduzione in
immagini di Urwiller che nelle tavole con gambe sempre in movimento,
nel formato orizzontale allungato sottolinea il continuo camminare di
Pachòm. Nei rari momenti di pausa del contadino russo, momenti
durante i quali il suo pensiero si concentra sulla bramosia di
possesso, Urwiller si ferma anche lui ed elenca. In altre parole ne
'espone' quantitativamente l'entità. E allora sulla copertina ci
sono tre buoi, tre fattori, un cavallo, un maiale, dodici anatrini e
quattro fagiani, quattro pollastre. Per non parlare del sogno nella
iurta...
Il rosso, il giallo, l'arancio e quel
blu mai visto prima, sono il frutto della continua ricerca cromatica
di questo artista e danno corpo al grande calore soffocante che
centuplica le fatiche di Pachòm. Il fresco notturno è reso dal blu
profondissimo che immagino sia quello dei cieli sconfinati di Russia.
Per il resto è l'Urwiller che
conosciamo, il raffinatissimo e immaginifico serigrafo di sempre.
Carla
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