mercoledì 24 giugno 2015

CORTESIE PER GLI OSPITI (libri preferiti da altri)

CAMBIARE ARIA

Little Boy Brown, Isobel Harris, André François 
The Enchanted Lion 2013 


Bambino newyorkese di buona famiglia, il piccolo Brown trascorre gran parte delle sue giornate in compagnia di maggiordomi e addetti agli ascensori di servizio nel vasto ed elegante edificio in cui abita con i suoi genitori. Un labirinto verticale i cui sotterranei immettono direttamente nei corridoi della metropolitana, tantoché babbo e mamma non hanno bisogno di uscire all’aperto nemmeno quando vanno a lavorare. Un sofisticato sistema di raccordi, saliscendi e inabissamenti – la città! - li travasa direttamente in ufficio senza bisogno di mettere il naso fuori. Anzi, se e quando capita loro di uscire per strada… facilmente prendono il raffreddore.
Così, quando il piccolo Brown ottiene di poter accompagnare la governante Hilda fuori città per andare in visita dalla famiglia di lei, la cosa assume i caratteri di una vera epopea. Una sortita - in tutto e per tutto - fuori dal comune, un’avventura dall’A alla Z. 

Dopo un lungo tragitto in autobus, l’energica Hilda trasborda il pargolo in un contesto assai più a misura d’uomo. Alla stazione dei bus li attende il fratello di lei, un simpatico poliziotto che li conduce in automobile fino al cottage di famiglia, dove senza nemmeno conoscerlo la madre di Hilda sbaciucchia il nuovo arrivato con empatico slancio. Una prima meraviglia lo attende, una rampa di scale che porta alle camere da letto e che può addirittura salire e scendere senza bisogno di ascensore, solo muovendo i piedi. C’è poi da recarsi nella legnaia per fare rifornimento di ciocchi da ardere e, in cucina, bisogna giusto dare una mano alla mamma di Hilda, che non sa come smaltire un surplus di glassa se non dandola in pasto all’euforico ragazzino. E che dire del canarino che svolazza libero per casa allietando tutti col suo canto? E del cagnone che può uscire senza guinzaglio e quando vuole, sempre desideroso di coccole?
A mezzogiorno, quando il padre di Hilda rientra dopo aver chiuso la sua bottega di droghiere, la famiglia può concedersi uno scambio di chiacchiere, hanno molto da raccontarsi (e, da immigrati quali sono, possono farlo persino in due differenti idiomi!). Dopo pranzo arriva la neve, è bello stare seduti davanti al caminetto mentre la vecchia signora sferruzza e, quando Hilda ha finito di rigovernare la cucina, si può andare fuori a fare un bel pupazzo di neve. E all’ora del tè, è incredibile poter proseguire la conversazione davanti a una grande torta di cioccolato e facendo conversazione niente meno che con un poliziotto in carne ed ossa.


Arriva l’ora della partenza, baci e abbracci e il poliziotto riporta Hilda e il bambino alla fermata del bus. E’ amico del conducente e gli presenta il piccolo Brown, che si sentirà molto fiero di essere il solo a conoscerlo in mezzo agli sconosciuti che via via salgono e prendono posto accanto a lui. Una volta in città, gli spazzaneve hanno già cancellato il poetico manto bianco e quando si ritrova in ascensore, è talmente affollato che il piccolo Brown non riesce suo malgrado a raccontare al portiere della magnifica giornata trascorsa. Ma la sera, grazie a Hilda che fa finta di trovarlo già addormentato, il bambino può almeno saltare il rituale del pigiama e acciambellarsi tenendosi addosso i panni con cui ha trascorso ore indimenticabili. Tutto quello che desidera è prendere sonno fingendo di essere ancora nel piccolo cottage in mezzo alla neve…


Un racconto sull’importanza di uscire allo scoperto, in tutti i sensi. E di misurarsi con una dimensione di vita meno “inscatolata” di quella che fatalmente ci tocca stando in città, forse anche meno… borghese. Una dimensione di vita più diretta, osmotica e integrata. Una storia semplice, senza colpi di scena, ma intrisa di un garbo raffinatissimo, dovuto soprattutto alla bravura di André François. Il testo, volutamente elementare (il resoconto di una giornata speciale narrato in prima persona dal suo giovane protagonista) fa da sponda al tratto sempre veloce, fluido, brioso, elegantemente grafico, essenziale e guizzante al tempo stesso di un artista pieno d’ironia e di sagacia. La mano si muove con estrema naturalezza quando deve cogliere la prospettiva vertiginosa di un incrocio metropolitano come quando tratteggia una fisionomia. E l’approccio è sempre divertito, empatico, sornione. François coglie la realtà con uno sguardo d’insieme istantaneo, ma anche capace di svelare il dettaglio, tutto ciò che osserva sembra piacergli, fa scivolare lesto il pennino sul foglio e con pochi tocchi di acquerello marroncino rende l’effetto più caldo e vivido. Il suo è un gioco pieno di consapevolezza, la facilità – quasi bozzettistica - con cui rende gl’interni, le fisionomie e gli scorci cittadini, si basa in verità su un’osservanza molto scrupolosa delle regole della narrazione e della composizione. E sa comunicare con grande efficacia lo stupore grato di un bambino che (forse anche dimenticando per un giorno d’essere figlio unico?) scopre un modo diverso di stare al mondo, abitudini che non richiedono troppi cerimoniali e paratie stagne, a contatto con le semplici cose che ci rendono altresì più allegri, partecipi e vivi. 

Daniela (Tordi)


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