Io aspetto, Davide Calì, Serge Bloch
Kite 2015
ILLUSTRATI
"Io aspetto
... di crescere
... il bacio della
buonanotte
... che il dolce sia
pronto
... che smetta di
piovere
... che venga
Natale"
Un
bambino, il bambino di Davide Calì, si misura con alcune delle
attese che scandiscono la sua giornata. Quel bambino, attesa dopo
attesa, poi diventa un ragazzo e le sue attese cambiano.
Si legano a
un desiderio indistinto di amare, quindi a un amore che nasce, a un
amore che mette radici, a una separazione che lo mette alla prova, a
una lettera che arriva al fronte, a un sì pronunciato sull'altare. E
a questa seconda fase se ne aggiunge una terza, ulteriore: oramai il
ragazzo si è fatto uomo e l'attesa diventa condivisa ed è quella di
un figlio, quella del vederlo crescere o del vederlo andare via.
Se
si segue il percorso di questa esistenza si verifica che l'attesa è
anche fatta di incertezze, di paure, di dolori e di distacchi.
Il
bambino che aspettava l'arrivo del Natale ora è un uomo maturo che,
seduto accanto a un letto d'ospedale, aspetta che la sua compagna
di una vita smetta di soffrire.
E'
l'inverno della vita, questo. Eppure anche quando aspettare sembra
avere perso ogni senso, la primavera ritorna. E si ricomincia ad
aspettare, che qualcuno suoni alla porta con una notizia feconda,
magari proprio l'arrivo di un nuovo bambino...
La
condizione dell'attesa appartiene all'umanità. E' uno stato
primigenio e, a ben vedere, la vita stessa, prima di essere tale, è
già ben impastata di attesa.
Aspettare
è quasi naturale come respirare. Si impara da subito. E da subito se
ne verifica l'aspetto di sospensione che essa porta con sé.
A
voler essere analitici, si potrebbe dire che la condizione di attesa
occupa la maggior parte del tempo che si dilata tra il nostro agire e
quello degli altri.
Se
mi si concede di prendere a prestito l'immaginario cui attinge Serge
Bloch, nell'illustrare il testo di Calì, l'attesa è quel filo rosso
che collega e tiene insieme un'intera esistenza e anche più d'una.
Per
questo, ad aspettare conviene abituarsi fin da piccoli, perché nel
corso di un'esistenza sono enne le occasioni in cui ci si deve
misurare con questo stato d'animo sospeso. Sospeso nel tempo, tra un
qui e ora reale e tangibile e un futuro misterioso e indeterminato.
Ed
è proprio la peculiarità dell'incertezza, dell'imperscrutabilità
che rende l'attesa una condizione non per tutti confortevole.
Eppure,
sostengo, aspettare è un essenziale e fondamentale esercizio per
l'anima, ma, come accade per ogni 'ginnastica mentale', richiede
impegno e allenamento.
Come
spesso succede per i grandi libri, anche questo nasce da un
infinitesimale seme, ovvero una fila all'ufficio postale, che ha
innescato una riflessione sul fatto che, nell'arco di un'esistenza,
molto del tempo lo si passa ad aspettare.
Tre,
almeno, sono i punti di forza che fanno di questo libro un
capolavoro.
Il
primo consiste nell'aver saputo 'asciugare' il racconto fino a
ridurlo all'essenziale. Esso si presenta come una lista, un elenco,
un catalogo di attese, ordinate e scandite nel tempo, secondo una
sensibilità rara, quella che Calì ha dimostrato spesso di avere.
Il
secondo ne è naturale conseguenza e consiste, appunto, nell'aver
saputo costruire, nel testo come nell'immagine, una trama sottile
come un filo di seta da ricamo, ma nel contempo assolutamente
resistente, perché universale.
Cinque
volte il testo ricomincia con quel Io aspetto,
una sorta di ritornello, che
scandisce le cinque fasi dell'esistenza di quel bambino, dal quale
tutto ha avuto origine.
Il
terzo elemento è proprio il filo rosso, le fil rouge, che Bloch
sceglie come Leitmotiv
ed elemento evocativo che attraversa l'intero libro. Unico
particolare tridimensionale, se si fa eccezione per la busta
commerciale che dà vita a quella meraviglia di copertina, è il
legame che tiene insieme tutta la storia e anche il tratto nero della
china di personaggi e luoghi. Il filo rosso è esso stesso
narrazione: diventa dettaglio, a volte connessione, a volte
espressione di un'emozione.
Sempre, comunque, protagonista assoluto.
Lo è a tal punto che Kite (o forse c'è lo zampino e lo stile di Elisabetta Cremaschi?) a dieci anni dalla prima pubblicazione per Emme, lo
spedisce avvolto in un foglio di carta leggera e bianca lungo cui
corre un tratto di pennarello rosso continuo che ne preannuncia
l'atteso contenuto.
Carla
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